Tempo, spazio, luoghi: sono i concetti basilari dai quali Kali Malone prende spunto per ogni sua opera. Che a tesserne le note siano le trombe, le voci, l’organo o altri strumenti a fiato non ha importanza, perché la musica dell’artista americana, ora di stanza in Svezia, è una ricca sfida culturale, un progetto che racchiude elementi antropologici e spirituali, nei quali immergersi con rinnovata consapevolezza.
“All Life Long” riconsegna all’organo un ruolo primario, strumento che Kali Malone decontestualizza dalla sacralità offerta dai culti religiosi, una scelta che ha provocato reazioni violente da parte di gruppi cattolici oltranzisti al punto da obbligare l’artista ad annullare alcuni concerti o di munirsi di un servizio d’ordine, per evitare tumulti con elementi di estrema destra che hanno cercato di impedirle di suonare in una chiesa. E’ strano immaginare che la sacralità pagana della musica di Kali Malone possa essere così rivoluzionaria da sollevare sommosse e critiche sull’utilizzo di luoghi sacri.
“All Life Long” è l’opera che, più delle altre che l’hanno preceduta, invita alla riflessione e alla pace interiore, un disco dove la parola chiave è: pazienza.
Gran parte delle composizioni sono nate durante la pandemia, partiture per coro, organo e fiati rappresentano una sfida concettuale all’isolamento coatto, alla profonda e traumatica mancanza di correlazione tra gli esseri umani. L’inedita configurazione di tempo, spazio e luoghi causata dal lockdown ne ha modificato le prospettive creative: alla serenità è subentrata la riflessione, al passare delle ore si è avvicendato il silenzio di giornate sempre più lunghe, composizioni appena accennate o comunque brevi si sono così estese fino a catturare l’essenza di un'era in cui la stasi emotiva o la rinuncia sembravano le uniche vie possibili di fuga dalla follia.
Comporre musica concepita per voci e strumenti quando era impossibile riunirsi per poterla eseguire o registrare è stata l’ulteriore sfida. Non stupisce, dunque, che dietro le variazioni di corpi armonici austeri si percepisca un’inquietudine che nasce dalla volontà di spingersi oltre i confini degli strumenti, fino a creare maestose composizioni per fiati e ottoni che trascinano l’ascoltatore in un’estatica dimensione parallela (“No Sun To Burn (For Brass)”), o nuove forme di drone music (“All Life Long (For Organ)”) che non nascondono alcune assonanze con quelle create da Ellen Arkbro, artista che Kali Malone ha conosciuto quando si è trasferita in Svezia e che l’ha introdotta nel circuito dei musicisti locali.
Al Macadam Ensemble Choir è concessa l’apertura dell’album, con una delle pagine apparentemente più canoniche e spirituali, in cui dominano le voci e la magia del canto liturgico, il tutto arricchito dagli scritti filosofici di Giorgio Agamben. Il canto torna protagonista nelle seconda versione della title track (“All Life Long (For Voice)”), con toni lievemente più dissonanti e una poesia di Arthur Symons che celebra l'eterno dialogo tra spiritualità e morte. Stephen O’Malley dei Sun O))) affianca ancora una volta Kali Malone nel suo excursus cromatico, non solo accogliendo l’artista nella sua etichetta discografica, ma anche collaborando alla trasfigurazione del corpo sonoro, essendo complice di alcune delle pagine più innovative del disco, come la rilettura per organo di “No Sun To Burn” e le splendide “Prisoned On Watery Shore” e “The Unification Of Inner & Outer Life”.
“All Life Long” è una delle esperienze più profonde e culturalmente rilevanti degli ultimi tempi, un disco destinato a essere punto di riferimento per il futuro della musica d’avanguardia e neoclassica.
16/02/2024