Introduzione a Stephen O’Malley e ai Sunn O)))
di Francesco Farabegoli
La figura di Stephen O'Malley diventa capitale nei discorsi sulla musica "rock", in senso molto lato, dall'inizio degli anni 00 in poi. Stephen è già da tempo musicista metal di valore, coinvolto in progetti di grande caratura e buon successo presso la critica; ma è con l'esplosione del progetto Sunn O))) che le cose iniziano a cambiare. Sunn (o))) è gruppo a due elementi (l'altro titolare, il Greg Anderson che gestisce Southern Lord, è spesso colpevolmente dimenticato), apertissimo a collaborazioni esterne e nato sotto l'egida di una calligrafica riproposizione del momento di massimo fulgore di Earth, cioè il celeberrimo (si fa per dire) "Earth2" del 1991.
Da "White1" in poi il progetto Sunn O))) si mostra in tutte le sue sfaccettature, mirando alla creazione di un immaginario dell'estremo ex-novo, che prenda elementi più o meno a caso da doom e black-metal e li riproponga in una versione sostanzialmente interiore, per quanto sgravata da qualsiasi livello di emotività.
Riuscendo nell'impresa, in larga parte per merito del lavoro grafico di O'Malley che ripesca vent'anni di black-metal e li scarnifica di ogni orpello riportandoli a un immaginario punto di partenza in cui tutto è vergine. Da qui in poi Stephen O'Malley diventa affare della musica avant, ponendosi in maniera chiassosa e critica al centro della contemporaneità in quella tradizione che unisce musica sperimentale ed estremismo rock. Con la significativa differenza che un John Zorn inserisce elementi heavy-metal in un contesto jazz/sperimentale, mentre O'Malley parte dal metal estremo e non si stacca mai da esso.
Stephen è importante, al giorno d'oggi, soprattutto per la creazione di un vero e proprio giro di artisti che opera in un sistema a raggi, con lui al centro e a gravitare attorno gente come Oren Ambarchi e Nico Vascellari, Pita e Attila Csihar, in un buco nero in cui l'immaginario diventa immagine e il suono implode in innumerevoli declinazioni della stessa idea, con dischi il cui valore oggettivo verrà molto probabilmente ridimensionato da una prospettiva storica, ma nondimeno indiscutibile manifesto rock degli anni 00.
L'abbiamo incrociato e intervistato in occasione dell'Uovo Performing Arts Festival, quando ha collaborato alla performance di Gisèle Vienne in "Kindertotenlieder" (Canti dei bambini morti).
Intervista a Stephen O’Malley
di Livia Fagnocchi
Milano. Sono una coppia fantastica, Gisèle Vienne e Stephen O’Malley. Entrambi sorridenti, gentili, educati, di quelle persone con cui ci si sente subito a proprio agio. Di quelle persone, però, da cui non ti aspetti un’estetica così cupa e un lato artistico così controverso (vedi quello di Gisèle in "Kindertotenlieder", e quello di O’Malley nei Sunn O))) e nei suoi vari progetti).
Lei arriva a Milano giovedì sera, lui sbarca venerdì mattina. Si ritrovano alla sala centrale del Superstudio Più di via Tortona dove ha sede "Uovo – Performing Arts Festival". Gisèle ha l’onore di chiudere una sesta edizione che ha fatto il tutto esaurito ogni sera; e anche i suoi 220 posti a sedere per la prima di "Kindertotenlieder" sono già stati assegnati. In scena, insieme ai danzatori-performer e alle bambole robotizzate, ci sono Stephen O’Malley e Peter Rehberg, ovvero il progetto KTL. L’ambientazione di "Kindertotenlieder" è dark, mistica ed elegante: è notte, c’è la neve, la nebbia, due giovani dagli istinti omicidi, una giovane dall’istinto suicida, ci sono morti resuscitati e violenze che sublimano solo la violenza. In questo contesto, la musica dei KTL è un amplificatore di emozioni contrastanti. Se all’inizio coccolano il pubblico con la romantica melodia di "The Sinking Belle" (Boris e O’Malley), poi si lasciano andare in almeno 20 minuti di doom-drone-metal, senza sosta.
Di questo e del suo lavoro artistico, abbiamo parlato con Stephen O’Malley.
Giusto per riscaldarci, posso chiederti qualche informazione di base sulla tua vita?
Non vorrei parlare della mia vita personale, ma della mia musica.
Vorrei solo sapere dove sei cresciuto, qual è stato il primo album di cui ti sei innamorato, cose così. Ti va?
Sì, allora, sono cresciuto a Seattle e da bambino ascoltavo molti dischi di mio padre, Led Zeppelin, David Bowie, Brian Eno, e tanti altri. Non sapevo cosa volesse dire comprare un disco – cioè, non me ne importava nulla – fino all’età di 11-12 anni, età in cui io e il mio amico ci siamo appassionati pesantemente dei Led Zeppelin, ai quali è seguita la fase Metallica. Poi l’interesse si è spostato verso i Dead Brain Cells e su band più hardcore. Per caso ci siamo imbattuti anche in musica più underground, ma c’erano così tante band che non sto a raccontarle.
Mi piacerebbe conoscere le idee che stanno alla base del tuo lavoro artistico, quali sono i punti in comune fra tutti i progetti che porti avanti in campi diversi (in questo caso, con il teatro). In breve: cosa vai cercando attraverso il tuo modo di fare arte?
La comprensione: quando suono la chitarra cerco di capire la geometria dei modi che esistono per creare accordi, notazione e scale. Cerco di capire bene anche gli aspetti elettronici degli amplificatori, il feedback, i principi di acustica. Sono totalmente ingenuo in questo campo, perché non ho studiato fisica o ingegneria, ma quando suono la chitarra penso che lo strumento sia appropriato per ottenere una buona comprensione delle dinamiche musicali. Più studio, più divento esperto e maggiori sono le aperture alla comprensione che si sviluppano. Uno di questi giorni, però, inizierò davvero a studiare bene composizione. È interessante perché la considero una delle tante chiavi d’accesso all’interpretazione del linguaggio della musica.
Recentemente ho lavorato con alcuni compositori e ho capito che si tratta di un vero linguaggio che esprime mondi diversi attraverso la musica. Inoltre, se conosci bene la teoria compositiva puoi dire tutto ciò che vuoi, anche ciò che non potresti dire con strumenti di cui non sei un musicista esperto. Infatti, piuttosto che imparare a suonare altri strumenti, sento il bisogno di dirigere persone a suonare la mia musica. Ultimamente ho iniziato alcuni progetti lavorando in questo modo, ma ora con il nuovo materiale, dovrei sempre assumere ottimi musicisti per suonare le parti delle mie composizioni.
Infatti il mio problema sarebbe proprio suonare la musica che scrivo! Il risultato sarebbe minimo. Vorrei in effetti imparare a suonare altre cose, come il piano e le tastiere (multi-strumentisti come David Bowie e Prince sono dei geni!), ma, conoscendo i miei limiti, preferisco esplorare i toni e i suoni dei diversi strumenti: la migliore applicazione è scrivere, dirigere, nascondersi.
Mentre parlavi di geometria del suono mi sono venute in mente le antiche teorie greche sulle corrispondenze fra le proporzioni musicali e quelle astrali, attribuendo alla musica poteri sacri: ti interessano queste cose?
Sì, in maniera limitata conosco le teorie pitagoriche e lo considero l’approccio matematico che dà avvio al processo di fondazione della struttura musicale europea. Ci sono poi molti aspetti mistici legati alla struttura fisica che io però ignoro. Conosco un libro "L’armonia delle sfere" che espande largamente queste idee, è interessante, ma non ho mai approfondito l’argomento. Per me è più, sai, avere una frequenza che corrisponde a questo numero, poi quest’altra frequenza a quest’altro numero e suona in questo modo. È più un esercizio di matematica e una questione di stile. Però è interessante vedere quanti modi ci sono di interpretare la struttura della musica.
Nel tuo modo di suonare la chitarra si sente l’influenza di strutture ritmico/melodiche ripetitive, quasi ipnotiche, droni, elementi caratteristici della ritualità nord-africana ritenuti in grado di creare un legame fra il fedele e la divinità. Come ti relazioni con la musica drone? Quanto di "rituale" c’è nella tua musica?
Credo che la drone music sia solo un’idea che ci può aiutare ad analizzare un certo modo di suonare la chitarra o la moderna musica nera. Un drone è musica certo, ma non è un tipo di musica, è un suono. C’è sempre un drone da qualche parte, anche in questo condizionatore, lo senti? Piuttosto la struttura ripetitiva è ciò che qualifica l’accadere dei miei pensieri. Anche questo è un aspetto interessante del contesto musicale, perché puoi sempre usare la tua sensibilità, puoi prendere un ritmo e seguirlo, oppure aprirlo e sfuggirvi.
L’idea del drone è fonte di ispirazione?
Oh, sì, è uno stato della mente. Ho incontrato diversi tipi di musica per questo genere di cose: mi piace la musica costruita su forme semplici, basiche e su un suono violento, che rappresenta la melodia della natura. In questo senso il drone è una campana regolare che tu puoi ascoltare, ma anche no.
Leghi la tua musica a una forma contemporanea di rituale?
Non direttamente, ma di certo mi dà ispirazione. Trovo ispirazione in tipi diversi di rituali, in qualcosa che è in grado di trasportare la tua mente lontano dalla realtà usando musica, ballo e manipolazione di cose.
Se ti chiedessero di organizzare una "Stephen O’Malley Experience", una performance singolare per un tuo pubblico, cosa faresti?
Organizzerei una spedizione in Antartide con pochissime persone, per essere del tutto fuori dai contatti quotidiani e per fare esperienza viva della natura, che in Antartide immagino rifletta l’idea di natura di molti luoghi.
Ci sei mai stato?
Non ancora, ma amo viaggiare e prima o poi ci andrò.
Ora vivi a Parigi, ti trasferiresti altrove?
No, non adesso, sono sempre in giro e cerco un po’ di stabilità. Però non sogno di trovare il luogo che ti faccia sentire stabile, lo spirito rimane nomade.
Se tu dovessi tradurre la tua musica in parole, o in un romanzo, in una poesia, quale sarebbe?
Odio collegare la mia musica al lavoro di qualcun altro, specialmente con la scrittura. È un processo di pensiero completamente diverso. Questo è il motivo principale per cui la mia musica è puramente strumentale. La mia teoria, nella composizione, non è seguire un processo lineare: suonare e ascoltare musica sono processi individuali, dove ognuno si prende il suo tempo per seguire la musica e percorrere le proprie traiettorie temporali.
Certamente alcuni scrittori non hanno seguito traiettorie lineari, e sono sì ispirato dalla letteratura, ma non voglio comparare la mia musica e trovarmi a dire che l’emozione finale è il risultato di un’atmosfera, di una struttura stilistica, o del mio scrittore preferito. Certo, ho scrittori e registi preferiti, ma direi che il lavoro di ogni persona creativa in qualche aspetto è il risultato di tutto un suo mondo vissuto e filtrato attraverso il corpo e la mente dell’individuo.
Quando hai iniziato la tua collaborazione artistica con Gisèle?
Nel 2006. Ci siamo conosciuti grazie all’amico comune Peter Rehberg.
E come avete scoperto di avere un territorio artistico comune su cui poter costruire una collaborazione?
In realtà penso che abbiamo background completamente diversi, ma tramite la sua enorme personalità e tante conversazioni insieme ci siamo eccitati all’idea di poter lavorare insieme. Mi sono chiesto per diversi mesi quale fosse il mio coinvolgimento artistico, se fosse appropriato. Mi ci è voluto parecchio tempo per poter dire "sì, ora capisco qual è il nesso con la mia mentalità": è il lavoro di Gisèle con il tempo e con la struttura. Trovo interessante il modo in cui lei ha il comando tecnico sulla temporalità dello spettacolo. Questo è molto importante anche nella mia musica. Poi diventa quasi un metodo piuttosto che uno stile o un movimento estetico.
E’ ciò che lega i vostri due approcci?
Credo di sì, almeno in quest’opera.
Lavorerete ancora insieme?
Sì stiamo lavorando a un altro spettacolo. Direi che la mia musica può essere, dal mio punto di vista, o una pura atmosfera generale, oppure, due, può essere un dettaglio diretto che entra in scena, quando una band suona canzoni di fronte a un pubblico e lo spazio fra il pubblico e il palco si avvicina molto. È bello perché il focus passa da noi e si espande verso il pubblico, e non ha niente a che vedere con la pratica/narrazione bensì con il solo lato emotivo.
I tuoi prossimi progetti?
Sto lavorando al nuovo album dei Sunn O))). Non so ancora quando sarà pubblicato, ma credo all’inizio dell’anno prossimo.
Grazie mille Stephen.
E’ stato un piacere. Puoi inserire il mio website in fondo?
Come no?! www.ideologic.org