In tutte le arti la via dell’understatement si rivela essere una delle più insidiose e seducenti, recesso segreto di una bellezza discreta e accessibile ai meno. E se tanti compositori ambient, nel corso dei decenni, hanno trovato il modo di “purificare” l’espressione sonora attraverso il più estremo riduzionismo, lo stesso non poteva dirsi del profeta drone-doom Stephen O’Malley, almeno sino a qualche tempo fa.
Con i Sunn O))) egli ha perseguito l’idea di una musica totale e assoluta, un rito di trascendenza celebrato attraverso volumi e frequenze debordanti. Il suo recente interessamento ad ambiti quasi diametralmente opposti lo ha visto maturare una sensibilità tutta nuova, esercitata con un controllo dei propri mezzi altrettanto estremo: si pensi non soltanto all’interpretazione di Alvin Lucier, ma anche al quattro-mani con Anthony Pateras (“Rêve Noir”) e alla suite finale del recente doppio Lp di Félicia Atkinson (“The Flower And The Vessel”).
Da diversi anni residente a Parigi, O’Malley ha avuto occasione di incontrare questi e altri autori contemporanei di spicco: non ultimo per importanza proprio François Bonnet (alias Kassel Jaeger), che gli ha aperto le porte degli storici studi della INA-GRM di cui è oggi direttore artistico; le registrazioni effettuate nel maggio del 2018 hanno dato vita a “Cylene”, eccellente compendio della ferrea disciplina con cui il chitarrista, in piena coerenza, si è man mano avvicinato all’estremo opposto della propria ricerca.
I sette brani atmosferici qui raccolti non spalancano visioni mistiche abbacinanti, bensì indagano lo spazio acustico a partire dal rapporto tra il suono amplificato e il silenzio nel quale fa breccia. Nessun cedimento a impressionismi melodici o saturazioni impenetrabili: l’ampio riverbero e i feedback senza distorsione di O’Malley, flessi da minuscoli spostamenti tonali, sono la materia prima per la sapiente rielaborazione in studio di Bonnet, che li plasma nuovamente in soundscape a-descrittivi (nonostante le immagini naturali evocate da titoli come “Erosion Always Wins” e “Des pas dans les cendres”) e unicamente incentrati sull’identità e l’essenza ultima delle frequenze in propagazione. Come un grido attutito da una spessa parete traslucente, i toni alternatamente acuti e gravi delle corde si mescolano in un denso impasto che elude forme dai contorni definiti in favore di un perpetuo, baluginante chiaroscuro sonoro.
Anche in questo caso, dunque, non è difficile riconoscere il carattere ascetico che da sempre guida la pratica di O’Malley: ma è la sensibilità propria di sound artist puri come Bonnet a far sì che il barlume nascosto di tali esplorazioni – talvolta ai limiti dell’incolore – possa affiorare e diffondersi in un quadro d’insieme che, in maniera ossimorica, si offre attraverso la propria negazione, sublima in virtù di quel trattenimento forzato che contraddistingue l’ala più radicale e innovativa della composizione contemporanea.
13/09/2019