Che il più influente sacerdote doom di questi anni abbia imboccato definitivamente la strada della composizione? Dopo “Gruidés” questo doppio vinile è la seconda commissione pubblicata su disco nel 2015, consolidando l'identità di Stephen O'Malley in qualità di sound artist, e non più soltanto di produttore e soggetto principale del monstrum Sunn O))).
“Éternelle Idole” è la messa in musica dell'eponima performance (per una pattinatrice su ghiaccio e un attore in costume) della regista e coreografa Gisèle Vienne. Uno score che vuole idealmente coniugare la fisicità della prova sportiva nella sua dimensione plateale e la tensione, il più intimo sentire delle danzatrici nella fase di preparazione e nel backstage, un istante prima di esibirsi.
Un lavoro concettualmente essenziale, dunque, che ciononostante vede una fitta line-up di collaboratori storici nelle retrovie, da Peter Rehberg – col quale torna in vita il binomio KTL – al pianista e producer Steve Moore, da Randall Dunn (Master Musicians Of Bukkake) a Daniel O'Sullivan, proficuo addendo compositivo degli ultimi Ulver. E quest'ultimo, in particolare, si direbbe un'influenza cruciale nel sound dominante dello score, la cui tensione costante tra dramma e poesia richiama il gran finale di “Wars Of The Roses” e le liturgie più introspettive di “Messe I.X-VI.X”.
Sei movimenti – uno dei quali completamente silenzioso – per tre facciate di Lp, in una confezione dominata dal candore di un bianco purissimo, talmente elegante e ricca di stampe d'alta qualità che diviene impossibile ignorarne il potere evocativo in relazione alle musiche di O'Malley.
“L’étang” (Lo stagno) introduce uno scenario desolato in chiave cosmica, con suoni di matrice digitale elaborati a immagine e somiglianza della Berlin School settantiana di Klaus Schulze e Manuel Göttsching. Gli stessi accordi si propagano nel “tema di Aurore” della seconda sezione, col pianoforte di Steve Moore nella maniera lamentosa degli intermezzi godspeediani.
Le sequenze rispettano una logica progressione di componenti strumentali, che nella title track vede aggiungersi un clavicembalo speculare al piano: l'unione di questi diventa accompagnamento alla voce entrante di Jesse Sykes, la cui fragile melodia – invero scarsamente “lirica” – ricorda le grottesche infiltrazioni canore di Toby Driver nei formulari dei Kayo Dot più arcigni.
Arriviamo dunque al fulcro del concept, dove un collage di field recordings, rallentati e amplificati all'occorrenza, fa risaltare la violenta fisicità delle lame dei pattini nel contatto col pavimento ghiacciato, alternato alle severe incitazioni dell'allenatore. È dopo la concretezza sonora di questa prova che l'arena ridiviene spazio sacro e immaginario, avvolto da un coro iper-riverberato e rintocchi di campane, sui quali continua ad atterrare una sparuta grandine d'acciaio.
Gli applausi di un pubblico non molto numeroso si spengono nel vuoto dei minuti che precederanno l'ultimo movimento (“Return/Escape”), nel quale riecheggiano gli elementi sacri assieme al gravame dell'organo, che prevedibilmente si tramuta in un bordone a sostegno delle ultime manovre elettroniche con O’Sullivan e Dunn.
Esperimento che sulle prime lascia perplessi, “Éternelle Idole” finisce per raggiungere – con un impegno compositivo alquanto esiguo – quel fine intepretativo che ne stava all'origine, descrivendo in modo suggestivo una pratica artistica non facile da sviluppare in termini esclusivamente sonori. L'imperfetta esecuzione di una pièce che mantiene integro il suo fascino.
27/09/2015