Venuti in contatto per comporre le musiche di "Kindertotenlieder", pièce teatrale della coppia artistica Gisele Vienne-Dennis Cooper, Stephen O'Malley (Sunn O))), Khanate) e Peter Rehberg (Pita), ritrovatisi successivamente nel sud della Francia, in una giornata particolarmente tempestosa, si chiudono in studio e partoriscono i settantotto minuti scarsi di "KTL", opera claustrofobica, oscura, vitalissima. La collisione asfissiante tra il drone/black-metal di O' Malley e l'elettronica dissonante e glitchy di Pita dà vita a una delle opere più importanti dell'anno, destinata a segnare il passo per future, similari esperienze.
L'immersione totale in un'aliena ambientazione gotica come quella di "Estranged", in bilico tra l'afflato metafisico di Burzum e le "ghiacciate" profondità elettroniche di Köner, ci lascia nei pressi di una spazialità crepuscolare che aggredisce d'intorno, affamata di silenzi, di cavità impenetrabili. Il buio e la luce, come eterni principi in lotta, ma convergenti. E mentre i suoni riecheggiano algidi e minacciosi, un senso di perdita, di desolazione infinita s'impossessa di noi.
Lì in mezzo, intanto, ci attende una "Forest Floor" divisa in quattro parti e per un totale di ben quaranta minuti. "Forest Floor 1" riprocessa l'attacco black-metal di O' Malley, con tutte le occorrenze digitali del caso (velenosissime scorie rumoriste, frequenze di rumore bianco, tormente Merzbow-iane) e conferendogli un viscido appeal mortifero. È un gioco di specchi deformanti e "futuristici" che si fa carico di numerose e recenti esperienze sperimentali in ambito doom e black-metal, gettando una luce rivelatrice sull'entità del progetto.
L'ossessiva e stridente tortura a base di radiazioni, feedback e maelstrom di power-electronics di "Forest Floor 2" s'inalbera senza timori reverenziali, quasi sfiorando lidi Wolf Eyes, ma costantemente mantenuta al di qua della linea di confine dalle reiterate "convergenze" doomy di O' Malley. Colossale, invece, la traversata pantagruelica & kosmische di "Forest Floor 3", invero una sorta di ibrido monstre tra i Dead C di "Driver U.F.O." e i primi, fondamentali Earth, ma sepolta da aurore digitali, folate di oscillatori a brandelli, modulazioni titaniche, sovratoni come catastrofi annunciate.
Ultimo avamposto di questa terrificante suite, "Forest Floor 4": un riff di chitarra (quel rifferama black: parossistico, spettrale ed esangue a là Striborg, in loop circolare, come una folgorante, accecante e totalizzante visione iconoclasta) tagliente come una motosega, ma incline ad una sorta di melodismo trasfigurato e post-industriale. Uno sfondo ronzante, panoramico, che, indenne, si carica di innumerevoli fendenti astrali. E, in definitiva, un mare montante di angoscia... una coltre impenetrabile di rumor bianco che prende alla gola.
E, poi, come a volersi riappacificare con la placida bellezza di un mondo invisibile, la neve che tutto placa, con il suo manto di gelido incanto. "Snow" è, infatti, nella scia dei lavori solisti di Pita, un'esplorazione di dettagli sonici, una lente d'ingrandimento appoggiata su di un micromondo vicinissimo, eppure insondabile senza uno sguardo che sia, innanzitutto, semplice e curioso. È la percezione della lotta continua tra silenzio e suono, tra la forza annichilente ed estatica del primo e la capacità rivelatoria e lirica del secondo.
Perfetta via d'uscita da un'altro lavoro basilare di questo 2006 ormai con l'acqua alla gola.
09/12/2006