Condivisa col pubblico un'era, è già tempo di pensare alla successiva. Più rapido e fagocitante che mai, il mercato musicale tritura a velocità ipersonica ogni novità, chiedendone di fresche nell'arco di mesi, quando non settimane. Ben poco atterrita dal lavorare a ritmi serrati, Kali Uchis è conscia di trovarsi in una posizione di assoluto privilegio, capace di sfruttare il suo naturale bilinguismo e la sua collocazione a cavallo tra mainstream e indie per muoversi in piena libertà tra scenari e contesti, senza perdere la specificità di passionale e accorta autrice latin-pop. Soprattutto riesce a mantenere buoni/ottimi livelli qualitativi pur muovendosi con estrema rapidità produttiva. E così, a soli nove mesi da “Red Moon In Venus”, lo psichedelico (e leggermente frainteso) album rosso, arriva “Orquídeas”, quasi integralmente interpretato in spagnolo e col suo tripudio di sensualità spiattellato sin dalla copertina. Soul? A questo giro il suo contributo si assottiglia piuttosto prepotentemente, a favore di un eclettico banchetto costituito da portate in costante mutamento sonoro. Più marcatamente latino, decisamente più attento alle sonorità da club, il nuovo album restituisce l'immagine di una popstar sui generis, dirompente e prorompente ma allo stesso tempo dotata di una sottigliezza unica nel settore. E pensare che poteva andare in maniera decisamente diversa.
Fatta eccezione per “Te mata”, rigoglioso bolero che assorbe tutto il dramma che ha reso grandi i classici del genere, gli altri singoli che hanno anticipato l'album sono materia decisamente più diretta, saggi di reggaeton moderno con cui Kali Uchis si è cimentata anche in passato, ma che qui diventano più sfacciati e aggressivi che mai. Sarà che i nomi che la accompagnano sono di richiamo garantito, ma una simil-cover di “Papi Chulo” quale “ Muñekita”, con tanto di moine a rendere evidente l'affiliazione, e una leggermente più sottile “Labios perdidos”, in compagnia della regina delle reggaetoneras contemporanee Karol G, fanno poco per mostrare l'attitudine e il carisma di una voce che sa meritarsi ben altri contesti. E che li sfrutta, lungo tutto il corso dell'album.
Meno omogeneo del suo diretto predecessore, “Orquídeas” è comunque un progetto che fa di tutto per esaltare l'istintiva passionalità della sua autrice, che mette in risalto i rapidi chiaroscuri di un timbro pronto a lanciarsi in affermazioni arrischiate (la suadente slow-jam in zona funk “Igual que un ángel”, collaborazione davvero efficace con Peso Pluma) e ovviamente disposto a manifestare tutto il suo potere seduttivo, come Venere alla toeletta (i tratteggi bass che accompagnano il rapido snocciolare di “Diosa”).
Tutta la prima metà in realtà è costellata di momenti che si posizionano in uno spazio ibrido, in cui il ritmo si fa ballabile (l'iniziale “¿Cómo así?” ha dalla sua un battito che è pura garage-house, appena arricciata da un ostinato di basso) ma il tono sa essere ossessivo (la funktronica sognante di “Pensamientos intrusivos”) o addirittura vendicativo, senza mai perdere di vista la sua naturale voluttà (la dancehall scheletrica di “Perdiste”).
In questo pot-pourri di sensazioni, Kali Uchis è perfettamente a suo agio, domina il materiale con l'agio e l'eleganza che le si addicono, manovrando le fila di linguaggi apparentemente difformi tra loro, ma che sotto le sua mani diventano espressione del più puro sentimento. Giustamente indisposta a scindere i lati del suo essere in pacchetti precompilati (il conclusivo passo di merengue in “Dame Beso” ne è una chiara sintesi), la musicista di origini colombiane è un'autentica diva pan-latina, sicuramente la più titolata attualmente a ricoprire un simile ruolo. E chissà il quinto album, già annunciato per la seconda metà dell'anno, quali nuovi risvolti vorrà presentarci. L'attuale gravidanza potrebbe essere più di un semplice indizio...
22/01/2024