Cosa inventarsi con l'album numero sette? Boh, chiamiamolo "7" e mettiamoci un tatuaggio in copertina, nel caso non sia abbastanza chiaro. Per la foto, invece, facciamo la solita posa in bianco e nero, tanto il soggetto è già famoso e non ha bisogno di reinvenzioni. Et voilà: con tali scelte da vetusto dipartimento di A&R, questo disco si annuncia come il solito prodotto da classifica generalista senz'arte né parte, fatto per intrattenere il vecchio pubblico degli anni Duemila con i soliti trucchetti del mestiere ma sostanzialmente niente di nuovo da dire. Il che è un peccato, dacché Nelly Kim Furtado ha avuto una carriera strana ma avvincente e soprattutto diversa - chi altri, ai tempi, seppe creare un ponte tra downtempo, folktronica e il ruggente r&b di Timbaland?
Dotata di una voce pungente e inconfondibile, questa cantautrice porto-canadese domava in scioltezza tanto una chitarra acustica quanto sovraccariche produzioni elettroniche à-la page. Tutti aspetti oggi purtroppo assenti sin dalle anteprime: la dozzinale electro-dance da strip club semi-vuoto "Love Bites", con due campioni dello streamingcore quali SG Lewis e Tove Lo, e l'ancor più deludente cumbia di "Corazòn", con degli scarichissimi Bomba Estéreo. Possibile che il panorama anglo-ispanofono non avesse di meglio da offrire? Evidentemente no.
"Showstopper" introduce l'ascolto con una magniloquenza fuori tempo massimo, il classico ritorno in pista di una vecchia gloria a caccia di nuovi allori, il che rende l'effetto ancor più vacuo. Non va meglio su un numero alla Kylie Minogue come "Honesty", per quanto stavolta il manto sonoro, curato assieme a Orlando Higginbottom, faccia l'occhiolino a certa nu-disco d'inizio millennio.
Ma anche un brano dall'elegante propulsione sintetica come "Ready For Myself", a cavallo tra una produzione di Mousse T e una di Madison Avenue, purtroppo, appare affossato da una stanca idea melodica e da un testo inutilmente ripetitivo - effetto poi reiterato sulla torch song "Better Than Ever", certo interpretata con enfasi, ma lasciata a girare a vuoto senza fornire una progressione degna d'interesse. Ancor peggio l'orripilante "Fantasy", che oltre a non avere alcun appiglio melodico, stavolta presenta anche una produzione goffa e offuscata - un tempo, momenti come questi sarebbero rimasti nel cassetto dei demo. C'era poi bisogno di montare la lagnosa "Better For Worse" su una base trap vecchia di dieci anni? E che dire dello yodelling di "Take Me Down"? Un titolo, una minaccia.
Sarà dunque effetto nostalgia per poveri millennial spaesati, ma i momenti migliori sono proprio quelli nei quali Nelly rivanga, pur alla lontana, i fasti dei suoi primi due album, "Whoa, Nelly!" e "Folklore". In primis lo scoppiettante "Floodgate", nel quale s'intravede finalmente quella scrittura calda e acidula che aveva fatto dell'autrice un personaggio così atipico nelle nostre top ten. La cosa si ripete anche nel morbido alt-r&b di "Crown", co-scritto con Lido Pimienta, anche al netto di un posticcio inserto del trapper sudafricano Blxckie. E poi c'è l'elegante "All Come Down", sulla quale entra in contropiede la connazionale Charlotte Day Wilson, offrendosi androgina controparte sopra un tappeto pianistico anni Settanta.
Strana come i cavoli a merenda, ma avventurosa, "Save Your Breath" si avvale della collaborazione di ben quattro artisti per creare un collage di cumbia, dancehall e house, un effetto corale queer capace di offrire una rara nota di colore ed energia all'interno di un album altrimenti blando. Ed è proprio questo il punto debole di "7": un riciclo svogliato di mode latine senza offrirne indietro una versione personale.
Madre di tre figli, personalità caparbia, artista indipendente ma sempre ben connessa nell'industria: le possibilità per Nelly Furtado sono sempre infinite, ma qui se ne osserva giusto un pallido negativo in controluce. Whoa Nelly, dove sei?
25/09/2024