Il fatto ormai è pienamente risaputo: basta che la tua canzone centri il video giusto su TikTok perché si scateni un effetto a cascata devastante, tale da rendere il brano una hit, in alcuni casi lanciare addirittura una carriera intera. Nessuna strategia, nessun controllo, certamente nessun merito: tutto si affida al caso degli algoritmi, a una diffusione che spesso e volentieri prescinde totalmente dai contenuti, dall'eventuale messaggio che il pezzo intende condividere.
Lo sa bene Tinashe, ultima beneficiaria della casualità che il social network cinese ha elevato a suo dato fondante. È bastato che su un breve video di un istruttore di zumba venisse sovrimpressa "Nasty", canzone uscita senza particolari pretese, perché questa si facesse largo nel pullulare dei contenuti della piattaforma e diventasse un motivo di successo.
Poco importano gli anni di delusioni e ripartenze, di progetti di spessore e di generale disinteresse: è bastato un motivetto trap su feticismi e i propri appetiti interiori che la versatile autrice e ballerina statunitense ritrovasse la classifica a dieci anni dai suoi primi successi, rendendo una domanda come "Is somebody gonna match my freak?" uno dei quesiti più quotabili dell'anno. Canzoncina innocua, come tante del sottobosco r&b a stelle e strisce, ma che ha consentito a "Quantum Baby" di ricevere le attenzioni che tutti gli ultimi album non hanno mai ottenuto: presentato come il secondo capitolo del serrato "BB/ANG3L" che vedeva Tinashe sperimentare con una produzione composita e minuziosa, il nuovo lavoro opta invece per un approccio diretto, senza fronzoli, in grado di dare spazio a uncini e ritornelli. La decisione non necessariamente ripaga però le aspettative.
Non che il progetto non investa nel suo sound, il funk liquefatto in zona Brainfeeder dell'introduttiva "No Simulation" o la garage nervosa di "Getting No Sleep" (Nosaj Thing in regia) mostrano a sprazzi un'attenzione produttiva forse più sottile rispetto ad album passati, non meno però densa di soluzioni. Resta comunque più sullo sfondo, opera di sottigliezza rispetto a soluzioni melodiche che emergono con maggiore prepotenza. È certamente il caso di un potenziale singolo quale "No Broke Boys", una sorta di successore apocrifo di "No Scrubs" delle TLC (per quanto ben più sfacciata testualmente), o del fine melodismo di "Cross That Line", in cui Tinashe incanala la propria Brandy interiore.
Indubbiamente orecchiabili, indubbiamente sensuali, i brani però fanno poco per aggiungere spunti avvincenti a un catalogo che già dieci anni addietro si muoveva su parametri simili. Anche l'ennesimo ricorso a parentesi trap-soul, vedasi "When I Get You Alone" o "Thirsty" (sorta di Kelela in minore), inasprisce un'aura di risaputo che non aiuta nell'individuare grossi momenti di interesse. Poco importano i concept quantistici, i cambi di atmosfera, la carica espressiva della musicista, mai fuori posto in qualsivoglia momento: quando la struttura latita a ingranare, non c'è complemento che ne possa rialzare davvero le sorti.
Possibile che il successo repentino di "Nasty" possa aver portato a cambi in corso d'opera per impacchettare un prodotto più adatto alla comunicazione social. Possibile anche che sia tutta una congettura senza fondamento; resta il fatto che nello spingere in una direzione meno dinamica dal punto di vista produttivo paga molti meno dividendi rispetto al previsto. Sarà anche una cattiva ragazza, Tinashe, ma la realtà mostra che tale attitudine le riserva brutte sorprese.
06/09/2024