Viviamo in tempi talmente disconnessi che non esiste manco più il famigerato “hype elettronico” dell’anno. Ricordate quando dubstep e wonky erano gli unici termini ammessi per accedere alla conversazione? O quando Amnesia Scanner, Andy Stott, Lopatin e Shackleton rappresentavano, a turno, il nuovo presente del digitale? Alcuni di questi si saranno poi rivelati fuochi fatui, come del resto è normale in ambienti del genere. Eppure, tra ascoltatori eccitati ed eterni detrattori diffidenti, c’era ancora discussione attorno all’evoluzione della musica elettronica. Un fenomeno che appare adesso alquanto diluito, a causa di timeline personalizzate dagli algoritmi, mini-bolle fortemente autoreferenziali e tante discoteche chiuse da una generazione post-pandemica che preferisce interagire in Rete.
Il duo Two Shell, nome dietro al quale adesso sappiamo celarsi Patrick Edward Lewis e Jack Riou Benson, ha impiegato una lunga strategia di guerrilla marketing per trollare pubblico e giornalisti tramite depistaggi, burle e camuffamenti, col chiaro intento di cucirsi attorno quell’aura misteriosa che sa tanto di Banksi-ficazione della musica dance. Un escamotage che finalmente ha funzionato, viste le attenzioni mediatiche; purtroppo, però, al contrario di un Burial naturalmente schivo di fronte ai riflettori salvo poi incantare su disco, l’artificioso “Two Shell” lascia molto a desiderare una volta arrivati al dunque dell’ascolto. Questo perché gli ingredienti prescelti altro non sono che le solite tre cosette in croce, travisate in chiave bass con decostruttivista piglio post-club: ritmi sconclusionati (“₊˚⊹gimmi it”), naturale assenza di melodismo anche in presenza della voce (“/inside//”), e un riciclaggio forsennato di ogni tendenza elettronica dell’ultimo ventennio (“be somebody”), senza con questo trarne fuori una firma personale.
Tra vocine alterate (“be gentle with me”, “Everybody Worldwide”), ritmi rave (bello però il drumming su “dreamcast”) e il solito saccheggio pc-music di A.G. Cook e Danny L Harle (i sentori d’n’b di “Stars..”) e Posh Isolation ("</>"), questi tredici dimenticabili soundbyte sono incapaci di creare tensione emotiva, distratti come pesci rossi in un acquario vuoto. Poco importano i titoli a caratteri impronunciabili, il disco ondeggia continuamente tra l’astrattismo di Koreless e i cambi d’umore di un Mura Masa rimasto a secco di ospiti da invitare.
Viene meno anche la ricerca timbrica, qui sostituita da un’onnipresente patina di plastica lucida in Hd che avevamo già sentito sui lavori di Hudson Mohawke oltre un decennio fa. Possibile che il massimo offerto dalla contemporaneità sia la rilettura post-ironica delle frequenze-lampo di un TikTok?
La dance dei Two Shell sembra quindi funzionare un po’ meglio come dj-set, magari mescolata assieme a brani altrui in un intruglio multiuso che può strappare il sorriso – i due hanno già suonato sia al Primavera che al Coachella, dimostrando di avere un buon avallo manageriale alle spalle, anche grazie all’associazione col marchio Young, sotto al quale non a caso trova posto il connazionale Jamie XX. Ma su formato album, “Two Shell” è un esercizio esangue e incolore, per non dire stantìo, un taglia+cuci talmente poco furbo da dissipare ogni sorpresa già col primo ascolto e lasciarsi dietro solo un profondo senso di vuoto. Del resto, una volta arrivati a mettere a punto l’ascolto meta-post-tutto definitivo, cosa rimane? Esatto, nulla.
05/11/2024