Tyshawn Sorey - The Susceptible Now

2024 (Pi)
cool-jazz

Le mille vite di Tyshawn Sorey: batterista tra i più stimati e richiesti della scena jazz newyorkese, visionario compositore (tanto da ricevere quest'anno il Premio Pulitzer per la musica), sperimentatore indefesso, assistente universitario e, last but not least, radicale interprete di pezzi scritti da altri. Già da qualche anno attivo nella rilettura di brani appartenenti a quello che scientemente chiama “The Great American Songbook”, con “The Susceptible Now” il musicista di Newark sfrutta la collaudata dimensione del piano-trio per un'audace riproposizione di quattro brani a lui carissimi, scelti indipendentemente dall'epoca e dal contesto per la loro grande risonanza emotiva. Disco di cover? Negli ottanta minuti di questo nuovo progetto si evince tanto di più.

Rinnovato il sodalizio col pianista Aaron Diehl e con l'affermato contrabbassista Harish Raghavan a subentrare a Matt Brewer, il terzetto sposa la missione che fu propria di “Mesmerism” e “Continuing”, ma manipola in misura ben più drastica gli originali di partenza, a favore di un flusso ininterrotto, un'elegante macrosequenza che dissolve i vari atti, trasforma e contorce gli spunti iniziali fino quasi a renderli irriconoscibili, elemento integrante di un insieme che riflette in tutto e per tutto la visione di Sorey. Il tutto senza mai tendere la mano verso forme avanguardistiche, verso quel fuoco che ha animato produzioni quali “Verisimilitude” o “Pillars”.
Anche come tacita forma di protesta verso chi vuole vedere in lui soltanto l'incendario innovatore, l'iconoclasta del jazz, il fluire dei minuti adotta un approccio tangibilmente cool, raffinatissimo e dal forte carico emozionale, in cui la creatività di Sorey traspare in controluce, a illuminare la gestione dei moduli, il dosaggio dei colori.

A tratti, l'affiatamento dei tre porta all'emersione di momenti dal fascino pop. Si prenda “Your Good Lies”, levigato motivo soul-funk inizialmente concepito per il gruppo Vividry e dal testo del quale è stato tratto il titolo del progetto di Sorey. Dai tre minuti dell'originale, il musicista elabora una sterminata fuga che ne dura ben ventisei, in cui la melodia di base viene completamente stravolta, maneggiata per fungere da sostegno di un'eterogenea corrente creativa. Le quindici sezioni distinte di cui si compone spaziano dai fraseggi in chiave Bill Evans ad articolate variazioni su uno stesso tema melodico, tale da farsi poi tramite di più rarefatte scansioni ritmiche, prima che il rientro in pista del groove di contrabbasso si accresca lentamente verso un climax finale dalle fogge nu, spezzato dalla ripresa di un ritornello che il pianoforte commenta con tutta la lentezza e l'incisività del caso.

Ripresa e trasformazione, familiarità e sconcerto: il rimaneggiamento di “Peresina” di McCoy Tyner, originariamente inclusa nel capolavoro “Expansions”, gode qui di una letterale espansione, quando non di un sovvertimento e di una fusione dei moduli di partenza, utilizzati con rispetto ma mai con rigore filologico. Per quanto priva del contributo di sassofono, la riproposizione di Sorey ammanta di una sofisticata coltre meditativa la vibrante melodia iniziale, le fornisce un atteggiamento immersivo che anche il più concitato segmento intermedio non spegne mai. Il tutto a favore di interazioni sempre diverse tra i tre strumentisti, di combinazioni che volta per volta esaltino le singolarità, gli aspetti salienti dell'ispirazione primaria.

“A Chair In The Sky”, con cui il batterista è venuto a contatto guardando il documentario “Triumph Of The Underdog” sulla vita di Charles Mingus, diventa un affare del tutto emotivo, la risposta al lascito di un gigante assoluto del jazz tanto quanto alle parole pronunciate in corrispondenza di questo brano. Incluso inizialmente in “Mingus” di Joni Mitchell, di nuovo viene trasfigurato a ritenere intatta una memoria, a sospendere ogni nota in un alveo cullante, il distillato di un ricordo che si fa irresistibile, man mano più vivido e commovente.
La conclusione, affidata a “Bealtine” di Brad Mehldau, non stravolge l'originale con l'ennesimo slancio dei movimenti precedenti, dota però l'appassionato del melodismo di un andamento leggermente più moderato e di un disegno pianistico in costante tensione, che si allontana e ritorna alla linea principale con grande agio. Quel che serviva per concludere in bellezza la prova di rilettura più brillante e intrigante di Tyshawn Sorey, sempre più navigatore indefesso a cavallo tra generi, stili, attitudini.

28/12/2024

Tracklist

  1. Peresina
  2. A Chair In The Sky
  3. Your Good Lies
  4. Bealtine

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