A voler giocare, il binomio tra elefanti e psichedelia partorisce un incubo ancestrale. L'ubriacatura di Dumbo che scatena la danza degli elefanti rosa, tra visioni allucinate e musiche inquietanti, rimane una delle grandi scene horror infantili per generazioni. Non c'è nulla di tutto ciò nella terza prova di Alessio Ferrari, alias Upupayāma, fuorché l'aspetto apparentemente meno sospettabile: l'infanzia. "Non riesco a sopportare quando dicono che è un disco più maturo, al contrario penso che questo disco sia molto più infantile dei primi due".
Di più: la psichedelia di Ferrari non smette a essere frizzante e ben sopra la media del panorama di genere proprio perché rifiuta di seguire le strade consumate. L'interpretazione mistica è completamente assente, così come la contaminazione con generi (blues e hard rock-metal su tutti) che troppo spesso si avverte nelle band psych contemporanee; nella sua psichedelia tutto è gioco, a partire dalle magnifiche copertine con cui ci delizia di Lp in Lp, maniacale nell'attenzione con cui interpreta graficamente la sua musica, affidando ogni volta la realizzazione a un artista diverso (stavolta è toccato alla giapponese Natsuki Tawatari).
"Mount Elephant" rappresenta allo stesso tempo un filo di continuità con i precedenti album, ma anche un nuovo inizio. Filo di continuità perché gli ingredienti già assaggiati nell'esordio omonimo e in "The Golden Pond" ci sono tutti, a partire da un uso della glossolalia molto sui generis: non - come fecero in passato ad esempio Lisa Gerrard e Elizabeth Fraser - per esaltare doti vocali fuori scala, ma al contrario per rendere un limite tecnico uno strumento aggiunto che va a insinuarsi nell'acquarello cullante complessivo (oltre che per rifiutare un ulteriore cliché del verbo psichedelico, quello di farsi veicolo di messaggi "alti"). Un nuovo inizio perché il disco è il primo prodotto dalla londinese Fuzz Club, una delle etichette di riferimento per gli amanti psych: un sigillo che va a confermare l'ascesa di Ferrari, che quattro anni fa aveva esordito autoproducendosi, in solo formato digitale e con una tracklist ridotta, su Bandcamp.
La musica, si diceva, non è stata rivoluzionata rispetto ai precedenti appuntamenti, ma non è rimasta nemmeno ferma: è sempre sì un acid folk che guarda alla cosmica tedesca e allo stoner (quest'ultimo elemento aggiunto in "The Golden Pond"), ma i colori sono qui aumentati, con riferimenti alla psichedelia turca ("Fil Dağı", il cui titolo è semplicemente il titolo del disco in turco), alla musica tradizionale del Bhutan ("Thimpu" è, a conferma che qui il gioco non si ferma mai, la trascrizione errata della capitale Thimphu) e alla Thai disco ("Moon Needs The Wolf", ad oggi il suo pezzo più lungo, "è ambientata in una discoteca tailandese degli anni 70 con tutte queste persone che spaccano le cose - mi sono registrato mentre spaccavo bottiglie di vino vuote - fanno casino, si divertono e ridono, poi la notte lascia il posto all'alba e tutti tornano a casa"). Come sostiene poi lo stesso musicista, il fuzz è qui più presente rispetto a "The Golden Pond", ma è meno dissonante e tranchant, più incorporato nel sound ("Lo trovo un disco paradossale perché, sebbene utilizzi molto più fuzz rispetto agli album precedenti, lo trovo un disco più rilassato e con più ritmo").
Musica ancora perfettamente casalinga, suonata e registrata dal solo Ferrari con strumenti che includono anche il sitar, il flauto, l'erhu e percussioni come conga, bongos e campanacci ("ho usato molte più percussioni rispetto al passato e le ho usate in modo più libero e giocoso"), lasciando alla sola dimensione live la sua band a sei elementi, "Mounth Elephant" è un trionfo: guai a dire che Ferrari sia maturato, ma di certo questo terzo disco lo conferma (se non consacra) come punta di diamante della scena psych non solo italiana, ma anche internazionale.
12/01/2025