C’è poco da fare, piaccia o meno, intorno al misterioso shoegazer coreano Parannoul si è ormai creato un culto – perlomeno nel sottobosco del Web. A sorprendere ancor più è però il fatto che, tramite un nugolo fittissimo di collaborazioni, split Ep e altre produzioni partecipative, il produttore e musicista abbia fondato attorno al suo sound un granuloso shoegaze con fattezze bedroom e diy, una vera e propria scena.
Tra i nomi di punta della neonata schiera vi è sicuramente Asian Glow, ossia il ventiquattrenne nativo di Seul Gyn – al secolo Gyungwon Shin. Gyn è per Parannoul una sorta di fratello in armi, ha suonato per lui il basso nello strepitoso live “After The Night” e ci ha condiviso un Ep che reca un titolo che è la crasi dei loro moniker, “Paraglow”.
“11100011” è il quinto disco in proprio di Gyungwon Shin sotto la denominazione che rimanda al rossore da alcolici tipico (soprattutto) dell’Asia dell’Est. Dopo quella che sembra una lunga sfilza di prove e deviazioni, al quinto tentativo la mutazione del musicista sembra aver trovato finalmente stabilità e concretezza: un euforico mix di shoegaze da cameretta, inclinazioni emo, intersezioni indietroniche e, ovviamente, un gusto melodico tutto orientale.
L’inizio è d’impatto, con una “M0numental” che fa già brillare tutti i colori di cui è capace Asian Glow, a suon di melodie che fioccano come stelle filanti e derapate di chitarra. Il trio che la segue è più ovattato, con le strofe permeate di indietronica da giocattoleria (altezza Mum), cantato in chiave minore e poi cascate su cascate di chitarre possedute dal feedback.
Il cuore del disco è però la sua traccia in codice binario, quella che lo intitola. Tra melodie fischiate che rimandano al giapponese Cornelius, archi sintetici, basso tortuoso, chitarre acustiche al sapore di autunno e batterie storte, gli strati non si contano. Gyn li sottrae e rimescola a piacimento, combinandoli ogni volta diversamente scombina le emozioni, confonde, ammalia. Lasciatemelo dire, un piccolo miracolo.
Con i suoi sette minuti di durata “Jitnunkebi (Winter’s Song)”, una lunga cavalcata emozionale con uno schema evolutivo post-rock e zuccherosi caroselli di sintetizzatori orientali. La drum and bass più incalzante e spezzettata prende invece il controllo nella conclusiva “Dorothee Thines”, ma soltanto dopo una lunga sortita shoegaze carica di archi ed emozioni.
La fantasia non è mai mancata ad Asian Glow, le soluzioni men che meno, ma questa volta il genietto coreano è riuscito a far coesistere tutto con brillantezza. Non senza qualche intoppo e allungo di troppo, va detto, la rotta per nuove magie è però tracciata e nitida.
16/01/2025