Non ci vuole un fiuto speciale per intuire il richiamo del progressive in "The Scholars". Una copertina così - colorata, fantastica, effetto anticato - ce la si può aspettare giusto da qualche gruppo neoprog anni Novanta e dai Chameleons. Oppure dai Car Seat Headrest, perché da loro ci si può aspettare tutto. Dopo la capovolta synth-rock di "Making A Door Less Open", il fu enfant prodige del revival slacker rock Will Toledo guida una delle formazioni cult del momento verso i territori più cult di tutti: l'età dell'oro rock dei primi anni Settanta.
Quale impresa è più appropriata, per gettarsi nel campo, di un bel concept-album - anzi, di più: una rock opera? Forse, in realtà, non è questa la domanda giusta. Ci si va più vicino con un: "Beh, davvero è tutto qui?".
Figurarsi! Il gioco non è così semplice, e l'iniziale "CCF (I'm Gonna Stay With You)" lo mette subito in chiaro. Intro e costruzione graduale - prima piano e qualche piatto, poi synth, chitarra, batteria, cori via via più roboanti - sono perfettamente credibili per un pezzone pomp rock aggiornato ai tempi correnti, ma quando i chitarroni annunciano la piega heartland che prenderà la strofa, qualcosa fa clic. Col cavolo che Toledo e soci si atterranno a un copione già scritto. Perché accontentarsi del revival quando si può mettere sul piatto una commistione sostanzialmente mai sentita? (Ok, c'era già stato lo stravenduto "Bat Out Of Hell", ma qualche secondo di ascolto dovrebbe presto chiarire che le somiglianze sono circa nulle).
Insomma, rock teatrale sì, ma non è che dobbiate aspettarvi i Genesis, i Marillion, i Rush o scegliete voi chi. Facciamo piuttosto gli Who. O i Green Day, come il passo iniziale di "Deveraux" sembra voler dichiarare apertamente. Secco e baldanzoso, è un episodio a fuoco, ma con la successiva "Lady Gay Approximately" è solo riscaldamento in attesa del vero pezzo da ko - l'energica "The Catastrophe", di nuovo fragorosa e heartland, e con in più una grinta ruvida simile a quella che nel nuovo millennio hanno sguainato The Hold Steady o Titus Andronicus.
Fin qui tutto abbastanza misurato, si potrebbe dire, ma la grandeur inizia a farsi importante nell'organo di "Equals", e l'ambizione compositiva prende una svolta in "Gethsemane". Quasi undici minuti che partono come cavalcata krauta, presto alzano il tiro con synth autointersecanti in zona Terry Riley/Tangerine Dream, e giunti al minuto tre dischiudono una cazzimma chitarristica via via sempre più esasperata da drumming tentacolare e tastiere rampanti. Basta? No, perché il flusso è abilmente irrobustito e giostrato per sfociare, sul più bello, nei Clash di "I Fought The Law" (ascoltare per credere!). Se poi il tutto finisce con una tirata dance-punk - volta però in chiave psych-stoner - a questo punto non c'è più granché da sorprendersi.
Per il momento, però, si è detto molto degli stili musicali ma nulla della narrazione. Perché in fin dei conti anche quella c'è, e la lore associata - spalmata su venti e rotte pagine di libretto e ricondotta principalmente a un componimento apocrifo di tal "Archbishop Guillermo Guadalupe del Toledo" - contribuisce non poco al fascino del disco.
Breve sintesi fino a questo punto, ovvero la prima parte dell'album intitolata "The Companions": gli alunni e i docenti del college della Parnassus University (gli "Scholars") attraversano un periodo di confusione e crisi spirituale. Le singole canzoni, spesso introdotte dal misterioso trovatore Chanticleer, sviluppano i crucci e le incognite dei diversi protagonisti: "CCF" è dedicata al giovane drammaturgo Beolco, che sente una connessione con il fondatore del college; il protagonista di "Devereux" si scontra invece con il conservatorismo del suo retroterra religioso e sceglie di abbandonare il Parnassus per l'adiacente Clown College.
"Gethsemane" è già nella seconda parte ("The Ransom", il riscatto), e tratta la vicenda di Rosa, studentessa di medicina che è in grado di guarire gli altri assorbendo i loro mali. In questo secondo arco narrativo, tra le mura del collegio si consuma uno scontro fra cultori della tradizione e innovatori, ma libretto e note aggiuntive non bastano da sole a comporre univocamente il patchwork della trama. Nella finzione della cornice, solo frammenti del poema dell'arcivescovo Toledo sono stati rinvenuti, e il compito di elaborare un'eventuale ricostruzione coerente delle vicende dei personaggi è lasciato, in ultima analisi, all'ascoltatore.
Ascoltatore che avrà il suo bel da fare con i 18 minuti di "Planet Desperation", aperta da armonie radioheadiane e da un richiamo diretto a Ziggy Stardust, e da lì in poi rapita in una girandola di ribaltamenti e continue intensificazioni tra punk-rock, schaffel beat electroclash e colossalismi settantiani. Una suite in piena regola, insomma, che sul piano narrativo affronta l'avvelenamento del preside Hyacinth da parte dei membri del Clown College, e le sue visioni di distruzione mentre si aggira per l'istituto, senza poter sapere se corrispondano a verità o a effetti allucinatori delle tossine ormai in circolo.
La conclusione è affidata a "True/False Lover", che svela l'identità di Chanticleer: si tratta del bibliotecario del college, che in "Reality" ha finto la sua stessa morte. Chitarre prima urlanti e poi briosamente jangly si sommano nel gran finale a quello che, stilisticamente, è un plateale riconoscimento della parentela fra il contorto concept di Toledo e il controverso (ma epocale) "American Idiot".
"Are you proud of your son? Are you proud of how he turned out?", si interrogano le ultime parole del disco, e in effetti la domanda resta sospesa, come ulteriore compito per l'ascoltatore. "The Scholars" è un'opera che non si fa capire subito - e forse neanche dopo - ma senz'altro sa suggestionare e spingere al riascolto. Volendone già azzardare un limite, ecco il più vistoso: ha alcuni brani così galvanizzanti che altri - pur efficaci e funzionali - non ne reggono il peso. E avere un difetto così è in fin dei conti un gran bel lusso.
19/05/2025