Ha radici lontane la connessione profonda tra architettura e suono, due forme d’arte intimamente legate da un rapporto di mutua influenza. Una compenetrazione flessibile che agisce secondo dinamiche differenti, una delle quali è la creazione di flussi aurali pensati per occupare uno spazio specifico divenendone parte integrante. Su tale presupposto è stata sviluppata l’ultima produzione discografica firmata da Lawrence English, invitato nel 2022 dal curatore Jonathan Wilson a definire un ambiente sonoro per il Naala Badu della Art Gallery Of NSW.
Per rispondere alla richiesta il musicista australiano ha chiamato in causa un gruppo variegato di artisti, lasciandoli liberi di intervenire su due canovacci da lui plasmati. Jim O’Rourke, Claire Rousay, Chris Abrahams (Necks), Norman Westberg e Stephen Vitiello sono solo alcuni dei nomi coinvolti per innescare una sinergia incanalata nella creazione di un paesaggio atmosferico, tendenzialmente ambient, colorato da partiture strumentali, field recordings e bordoni oscuri. Si tratta di ambiti ampiamente esplorati da English, il cui ruolo qui è soprattutto quello di dirigere e addensare le frequenze acquisite, conferendo all’insieme una coesione tutt’altro che scontata, vista la varietà degli autori in gioco.
La ruvida corrente sintetica che apre la scena viene fin da subito guidata dalle partiture pianistiche di Abrahams, generando un itinerario meditabondo dai tratti spettrali, con modulazioni ruvide che danzano in secondo piano senza trovare mai l’impeto proprio di lavori quali “Wilderness Of Mirrors” o “Cruel Optimism”. C’è un diverso senso della misura che non rinuncia ai toni algidi e a quell’oscurità solenne cara a English, ma la stempera nell’elegia di frequenze armoniche che riecheggiano la caducità della presenza umana all’interno dello spazio costruito, passaggio che lentamente si fa memoria, lasciando tracce diafane.
Estrapolato dal contesto l’itinerario - come in tante strutture aurali del non musicista per antonomasia – continua a presentarsi potenzialmente privo di limiti temporali, proiettato verso un orizzonte immersivo memore dei dettami del Deep Listening di Pauline Oliveros. Un’opera che di certo non persegue intenti di innovazione, ma sa nutrirsi della perizia dei suoi attori e dell’esperienza del suo ideatore, confluendo in una delle sue migliori pagine recenti.
12/03/2025