Scorpions

Scorpions

L'eterno ritorno

L'incredibile storia dei cinque terribili tedeschi che hanno conquistato il mondo. Da gruppo di culto nei piccoli locali di Hannover a fenomeno di costume globale. Una carriera ultra-decennale sempre all'insegna del rock, passando con disinvoltura da pezzi di pura potenza a linee melodiche indimenticabili

di Fabio Ferrara

La carriera degli Scorpions, iniziata a Hannover ben prima che l'uomo sbarcasse sulla Luna, ha attraversato indenne un insieme di epoche e li ha fatti assurgere nel tempo al ruolo di icone globali della scena rock mondiale.
Idolatrati dall'America all'Estremo Oriente, possono vantare ancora oggi il numero maggiore di dischi venduti nella storia fra le rock band continentali europee. I maestri teutonici hanno intercettato i gusti del pubblico, passando con disinvoltura da pezzi di pura potenza a brani di atmosfera, da schitarrate selvagge a linee melodiche indimenticabili. Non c'è praticamente alcun gruppo o artista hard-rock sviluppatosi negli anni Ottanta che non indichi in loro un riferimento importante. La loro influenza riuscì a travalicare confini ritenuti fino ad allora invalicabili, come quando furono fra i primi gruppi rock occidentali a essere ammessi a suonare in Russia ai tempi del blocco sovietico esibendosi nell'allora Leningrado per cinque giorni di fila, in spettacoli che andarono subito sold-out all'apertura del botteghino.

Tanto affabili e tranquilli nella vita di tutti i giorni quanto straripanti e scatenati sul palco, gli Scorpions hanno incarnato al meglio le follie, gli eccessi e l'energia di un intero movimento musicale. Durante l'apice della loro carriera, riuscivano a smuovere nei loro tour folle di milioni di spettatori che rispondevano entusiasti alla chiamata alle armi (a Parigi la foga dei fan spostò il palco di oltre due metri!).
Fanno girare la testa i numeri dietro la logistica dei loro spettacoli. Solo per il tour di "Love At First Sting" negli anni 80, dovettero trasportare in giro per il mondo cinquanta tonnellate di strumentazione. Incluse non meno di diecimila corde di chitarra, letteralmente fatte a pezzi durante i concerti dalla veemenza con la quale i musicisti tedeschi frantumavano i loro strumenti.

Gli esordi

1rudolfschenkerofthescorpions_04La loro fondazione avvenne nel lontano 1965 per opera di Rudolph Schenker, giovanotto di belle speranze appassionato di musica rock, che aveva sempre vissuto in una cittadina della Bassa Sassonia nei pressi di Hildesheim. Tale località, famosa per la sua amena piazza del mercato, non si distingueva certo per vivacità culturale e divertimenti notturni. Cosicché fu alla terra di Albione che Schenker rivolgeva più volentieri le sue attenzioni. Inizialmente fu catturato dai ritmi della beat music ma non ancora ventenne rimase folgorato dal blues-rock di band come gli Yardbirds di Jeff Beck e Jimmy Page, i Pretty Things e i Cream, che proprio in quegli anni si stavano prepotentemente diffondendo dall'Inghilterra in tutto il mondo.
Prima degli Scorpions aveva già fondato un gruppo, i Copernicus, che proponeva cover di canzoni rock e blues. In famiglia avevano all'epoca una sola chitarra elettrica a disposizione e se la doveva dividere con il fratello minore Michael, che aveva fondato un altro gruppo, The Enervates, alla veneranda età di undici anni. Era stato proprio Rudolph a instillargli la passione per la sei corde, ma ben presto lo superò in maestria diventando un vero e proprio enfant prodige della chitarra. I rapporti fra loro non saranno sempre felicissimi, ma ci fu un periodo in cui entrambi condivisero il palco con gli Scorpions prima che Michael intraprendesse una folgorante carriera per conto proprio.
Nella formazione originaria degli Scorpions, Schenker si occupava di voce e chitarra ma la lineup fu più volte rivoluzionata. Nel solo tempo intercorso fra la creazione della band e la pubblicazione del suo primo album, sette anni più tardi, ben dieci persone presero parte al progetto e solo il batterista Wolfgang Dziony venne confermato al suo posto. Nel 1969 vennero arruolati anche Michael, Lothar Heimberg al basso e Klause Meine alla voce. Quest'ultimo accompagnerà il fondatore per tutti i successivi album della band e può essere considerato, al pari di costui, la memoria storica del gruppo.

L'album di debutto Lonesome Crow fu pubblicato nel 1972 e ottenne un buon riscontro, almeno da parte della critica, che ne lodò la compattezza del suono e la qualità strumentale incredibilmente matura per un gruppo di esordienti.
Le sonorità che gli Scorpions scelsero per questa loro prima fatica erano profondamente influenzate dalla musica psichedelica di fine anni 60. La title track è una lunghissima traccia di tredici minuti che inizia in modo lento e poi progredisce fra assoli di chitarra e basso verso una dimensione mistica, accentuata anche da un testo criptico e misterioso.
In tutte le tracce il basso e le chitarre hanno un ruolo preponderante rispetto alla voce, che spesso è presente sotto forma di urla o con tonalità inquietanti. Anche quando Meine mostra le sue abilità canore con una interessante melodia in "In Search Of The Peace Of Mind", una linea di basso minacciosa la sovrasta e fa tracimare il suono verso ritmi frenetici e deliranti.
In altre tracce come “I Am Going Mad” anche le percussioni contribuiscono a creare un’atmosfera molto intensa. Sicuramente il materiale proposto si distingue nettamente da tutto quello che produrranno nei successivi album e rende Lonesome Crow più gradito ai fan di gruppi come i Thin Lizzy, i primi Black Sabbath o i Doors piuttosto che a quelli degli Scorpions stessi. Ad ogni modo, fu sufficiente per convincere la band inglese U.F.O.a chieder loro di fare da gruppo spalla nel loro tour. Durante questa esperienza, il leader Phil Mogg rimase impressionato dall’incredibile talento di Michael e gli propose di unirsi a loro. Il giovane Schenker non se lo fece ripetere due volte e chiese al suo amico Uli Jon Roth di completare il tour al posto suo.
Al termine di questa esperienza, gli Scorpions sembravano ormai destinati a sciogliersi, cosicché Rudolph e Klaus decisero di unirsi ai Dawn Road's, piccolo gruppo capitanato dallo stesso Roth per continuare a suonare insieme. Curiosamente  decisero di convertire il nome della band nuovamente in “Scorpions” per sfruttare la piccola notorietà acquisita con il primo album.

Alla chitarra: Uli Jon Roth!

3_uli_roth_01La band, completamente rinnovata, rilasciò nel 1974 Fly To The Rainbow. Composto da sole sette tracce, è ancora influenzato dalle atmosfere della psichedelia ma fisserà lo standard che svilupperanno più compiutamente nei successivi lavori. L’album risulta in generale molto coinvolgente anche grazie ad arpeggi dal forte impatto sonoro e per un approccio molto più rock e diretto. Il brano di apertura “Speedy’s Coming” sarà uno dei cavalli di battaglia in tutti i loro concerti del primo decennio della loro carriera.  Roth e Schenker mostrano un’intesa quasi perfetta e il basso di Francis Buchholz è semplicemente superbo in tutto l’album. Rispetto al lavoro precedente, però, il disco si presenta meno omogeneo e non sempre si riesce a trovare un filo conduttore fra le tracce proposte.
Merita sicuramente di essere citata ”Fly People Fly”, primo lentone della loro prolifica collezione, e la famosissima title track, composta da Roth e Michael Schenker, che è posta in conclusione e funge da punto di raccordo perfetto fra le atmosfere oniriche del primo album e gli attacchi esplosivi tipici dell’hard-rock. Questa canzone per il suo stile epico, le melodie armoniche e i suoi cambi di tempo veloci affascinò molti altri artisti tedeschi come i Gamma Ray e gli Helloween, che la considerarono fondamentale per lo sviluppo dello stile power metal nel decennio seguente.

Le buone cose realizzate fino ad allora lasciavano già presagire un futuro radioso, ma quanto proposto nei tre anni successivi sarà semplicemente clamoroso.
Sotto la guida dell’esperto produttore Dieter Dierks, gli Scorpions diedero infatti alla luce tre album fondamentali per la loro storia e per tutto lo sviluppo dell’heavy metal.
In Trance (1975) mette definitivamente da parte tutte le influenze psichedeliche e progressive ed è focalizzato su una linea rock melodica. In una cavalcata di dieci tracce la voce di Meine si erige possente in mezzo a linee pulitissime di chitarra, splendidi assoli e accordi ricchi di pathos. Non c’è alcuna sbavatura, niente fuori posto. Anche la batteria del nuovo arrivato Rudy Lenners si inserisce perfettamente e l’intesa fra tutti i componenti del gruppo è perfetta.
Le tracce partorite dal genio crativo di Roth presentano frequenti cambi di tempo e non offrono alcun punto di riferimento all’ascoltatore. In “Dark Lady” il chitarrista sostituisce Meine alla voce che si “limita” a emettere urla sovraumane prima del ritornello; le chitarre sono distorte per quasi tutto il brano e presentano cambi di ritmo continui fino ad arrestarsi in fade dopo un crescendo tumultuoso.
Le distorsioni dominano anche le altre sue composizioni come “Evening Wind” e la strumentale “Nights Lights”. In “Sun My Hand” si possono anche ravvisare dei rimandi alle atmosfere di Jimy Hendrix Experience che il chitarrista tedesco stimava in modo particolare. “In Trance” si avvale anche di molti pezzi composti dall’accoppiata Meine e Schenker, che presenta generalmente una partitura più lineare e un ritmo rapido. I risultati sono sempre all’altezza, ma brillano rispetto alle altre la title track e “Top Of The Bill”, con un riff pulitissimo di chitarra che imperversa per tutti i tre minuti della traccia. C’è spazio anche per una canzone dai ritmi melodici e sognanti come “Life’s Like A River”, in cui i toni si fanno più epici e malinconici, complice anche un testo straordinariamente poetico e ispirato.

A distanza di solo un anno registrarono Virgin Killer e decisero di alzare ancora il tasso di energia, portandolo ai massimi livelli. In brani come “Catch Your Train” e “Hell Cat”, il lavoro sulla chitarra è superlativo e la velocità di esecuzione raggiunge risultati al di là di ogni immaginazione. Anche le tracce apparentemente meno ispirate vengono innalzate dall’esperienza dei componenti del gruppo, come “In Your Park”, in cui Meine tira fuori degli acuti niente male, e in “Yellow Raven”, in cui il basso di Bucholz imperversa sovrano.
Purtroppo all’epoca della sua uscita Virgin Killer fece molto più scalpore per la sua cover, raffigurante una bambina nuda con una crepa all’altezza del pube. Da allora in avanti, divenne quasi un marchio di fabbrica del gruppo tedesco elaborare copertine provocatorie, spesso a sfondo sessuale, con donne discinte o in pose equivoche. In alcuni casi c’era anche un’ironia di fondo che le rendeva divertenti. Nel caso di Virgin Killer, invece, si fa davvero fatica a dare torto ai detrattori di una scelta inverosimilmente di cattivo gusto.
Ad ogni modo l’album fu il primo grande successo del gruppo teutonico fuori dalla madrepatria e ne sancì anche il ruolo di star indiscusse all’interno del suolo natio. Il ritmo diretto e sfrontato di alcune canzoni, come “Pictured Life” o “Virgin Killer”, catturava particolarmente nella dimensione live, in cui le due chitarre svariavano in maniera travolgente, alternando assoli mozzafiato con scale di una difficoltà tecnica impressionante. Alla voce Meine è sempre superlativo ma probabimente la traccia migliore per ispirazione è “Polar Nights”, dove curiosamente non ricopre alcun ruolo e cede il microfono a Roth.

Toccò a Taken By The Force chiudere la trilogia della perfezione e fu anche l’ultimo album in studio con gli Scorpions di Roth, che poi decise di proseguire da solo la sua carriera. Confrontato con i suoi illustri predecessori, l'album impresse una svolta sorprendente nella carriera della band tedesca grazie alla forza trainante di “Steamrock  Fever”, in heavy rotation su tutte le emittenti radiofoniche. Artisti del calibro di Yngwie Malmsteen e Dave Mustaine dei Megadeth hanno confessato di ritenere decisiva per la loro formazione musicale questo album. Effettivamente in esso sono contenuti brani precursori dell’heavy metal, ad esempio l’ottima “He's A Woman, She's A Man”, riproposta qualche anno più tardi come cover dal gruppo trash Evildead, o la potentissima “We’ll Burn The Sky”, con un assolo di chitarra di Roth da standing ovation.
A volte i ritmi incalzanti lasciano spazio ad atmosfere più soffuse, come nella tenera e maestosa ballad “Born To Touch Your Feelings”, oppure nel capolavoro "Sails Of Charon", che racconta una sorta di viaggio negli inferi. Il brano, per le sue sonorità oscure, eleganti ed esotiche, rappresenta un unicum nella loro produzione e anticipa di decenni pattern che furono sviluppati più avanti nella musica metal europea. Probabilmente  può essere considerato il punto più alto della loro produzione dei 70's.

La conquista del mondo

ScorpionsRoth affiancherà ancora una volta gli altri scorpioni solo per l’indimenticabile live Tokio Tapes, che immortala gli straordinari concerti tenuti nell’aprile del 1978 presso la Sun Plaza Hall di Tokyo, dove gli Scorpions furono accolti da un pubblico numerosissimo ed entusiasta. Effettivamente il vento ormai era cambiato per loro e da gruppo di nicchia si stavano pian piano imponendo in aree sempre più vaste del globo. La casa di produzione Mercure si interessò a loro e offrì loro un ottimo contratto. Restava solo da trovare un possibile sostituto del carismatico Roth. Si dice che furono provinati più di 150 chitarristi prima di far ricadere la scelta sul buon Matthias Jabs, che con l’innesto del nuovo batterista Herman Rarebell completerà il quintetto più famoso della Germania per tutto il decennio successivo. Inizialmente Jabs era stato preso come sostituto temporaneo, ma con lui gli artisti teutonici ritrovarono un amalgama e una coesione che prima, schiacciati dalle idee ambiziose e visionarie del predecessore, erano semplicemente irraggiungibili.

Il nuovo chitarrista non fece in tempo a partecipare alla stesura di Lovedrive (1979) e il gruppo richiamò alle armi Michael Shenker che era fuoriuscito nel frattempo dagli U.F.O. per gravissimi problemi di dipendenza dall’alcol. Il giovane Schenker curò gli arpeggi nei tre brani “Another Piece Of Meat”, “Coast To Coast” e “Lovedrive”. Stando a quanto ha affermato in una intervista, la sua presenza fu determinante in tutte le tracce e diede l’impulso decisivo per un gruppo che stava ancora cercando di trovare una sua formula.
Non è chiaro quanto ci sia di vero nelle sue affermazioni, anche perché i rapporti fra i fratelli Schenker non sono sempre stati idilliaci. Sicuramente, a detta di molti, questo lavoro può essere considerato il più "classico" degli album degli Scorpions. Non soltanto per lo straordinario numero di copie vendute e il numero di grandi successi che contiene (“Loving You Sunday Morning”, “Cant Get Enough”, “Holiday”, giusto per citarne qualcuno) ma perché fissò le giuste dosi per preparare quella miscela esplosiva di canzoni hard-rock e ballate melodiche che li ha resi famosi nel mondo. Tutte le tracce sono dirette, dure con una punta melodica e funzionano prese singolarmente ma anche in relazione l’una con l’altra. Per chi ama ascoltare musica ad alto volume, chitarre scatenate e intonazioni morbide e rassicuranti, Lovedrive rimane una stella polare che ha definito (che piaccia o meno) le coordinate e la direzione della musica hard-rock prodotta negli anni successivi.

Il  successivo Animal Magnetism (1980) non fece altro che certificare  il loro status indiscusso di celebrità. Canzoni come “The Zoo” e “Falling In Love” sono fondamentali per chiunque voglia avvicinarsi all’hard-rock. “Lady Starlight” è il classico pezzo da cantare con accendini alla mano (almeno prima dell’avvento dei telefonini) e lo stadio gremito. Non mancarono neanche in questo caso delle polemiche per la cover dell’album, che raffigurava un Dobermann e una donna inginocchiata di fronte a un uomo di spalle, ma ormai i tedeschi ci avevano preso gusto a surriscaldare gli animi dei benpensanti. Malgrado qualche passaggio a vuoto, anche questo lavoro può essere considerato un grande classico della band e se non se ne parla mai abbastanza, è solo perché incuneato fra il fortunato album precedente e il sublime successore, che molti considerano la vetta più alta della loro carriera (almeno con Jabs alla chitarra).

Blackout, ottavo lavoro in studio della band tedesca, non contiene molta sperimentazione ma per solidità, forza e carisma può ritenere meritata la sua fama. Idealmente l’album può essere diviso in due parti: all’inizio i pezzi più dirompenti che servono  a surriscaldare gli animi, nella seconda parte le canzoni più elaborate o che richiedono più di un ascolto per essere assimilate. La title track è un terremoto di chitarra, violenza e vetri in frantumi, “No One Like You” alterna momenti da ballad a esplosioni di rabbia e cattiveria, “Now!” e “Dynamite” sono un vertiginoso crescendo di velocità di esecuzione. “Arizona” e “China White” sono meno orecchiabili al primo impatto, ma è davvero eccellente il lavoro fatto sulle chitarre. Il gran finale è lasciato ad una ballata malinconica e bellissima (“When The Smoke Is Going Down”), che descrive la particolare emozione che attraversa i musicisti al termine dello spettacolo, quando tutti sono andati via.
Blackout non passò inosservato e raggiunse quote di vendita stratosferiche, conseguendo anche il disco di platino negli Stati Uniti. Storica fu la loro partecipazione al festival di San Bernardino davanti a 375.000 persone. Da quel momento anche l’emittente Mtv diede molto spazio alle loro perfomance e ai loro video permettendo loro di raggiungere anche un’audience poco avvezza ad ascoltare hard-rock.

Non fu una sorpresa quindi che nel 1984 Love At First Sting ebbe un riscontro di pubblico ancora maggiore bissando il numero di copie del suo predecessore e diventando in poco tempo il loro più grande successo commerciale. Effettivamente è un album concepito per intercettare una fascia di pubblico molto più ampia. I ritmi sono ancora duri e quadrati. I riff e gli assoli non mancano. Eppure è tutto ammorbidito da una mancanza di imprevedibilità che raramente fa debordare una canzone fuori dagli schemi. Certo, rileggendo la tracklist dell’album, sembra di trovarsi di fronte a una loro antologia. "Rock You Like A Hurricane" divenne una sorta di un inno dell’hard-rock, "Bad Boys Running Wild" e “I’m Leaving You” erano cantate a squarciagola dai fan  in tutti i loro concerti. La ballata "Still Loving You" posta in finale è ancora oggi un invitato immancabile in tutte le loro antologie.
Si potrebbe dire che è il primo lavoro in cui il gruppo tedesco comincia a virare verso il pop-rock. Tutto sommato una canzone che ebbe un buon esito come “Big City Nights” non ha una ritmica tanto diversa da quella che ci si aspetterebbe di trovare in un album dei primi Bon Jovi. Questo approccio diede i suoi frutti in termini commerciali, ma rese meno interessante la loro produzione e probabilmente inficiò a lungo andare anche la loro vena creativa.

Il loro successivo album Savage Amusement nel 1988 ribadì i toni più commerciali del precedente lavoro, ma con meno idee e con una resa decisamente inferiore. Malgrado il titolo, si tratta un album decisamente più pop che rock, più festaiolo che selvaggio. Le tracce sono chiaramente concepite per esaltare una rock arena. I momenti lenti sono i più deboli, ma si ascolta ancora con piacere la ballata "Walking On The Edge", con un lavoro sulle sei corde meno scontato e più intrigante. È un disco che si esalta maggiormente nei momenti più energici come “Love On The Run” o in quelli più ardenti come "Don't Stop At The Top".
In definitiva, si tratta però del primo, vero passo falso della loro carriera.

Il periodo che intercorse fra l’uscita di Love At First Sting e la fine degli anni 80 fu ad ogni modo una stagione irripetibile per la band tedesca. Intrapresero tour estenuanti che fecero toccare loro letteralmente ogni angolo del globo, registrando il tutto esaurito quasi in ogni tappa. D'altra parte, sin dagli esordi gli Scorpions si erano sempre mostrati inclini a raggiungere i loro fan dovunque si trovassero, toccando nei loro tour anche paesi normalmente fuori dalle solite rotte.  Ormai all'apice della loro carriera, varcarono il confine sovietico, si esibirono nel famosissimo concerto a Rio e si imposero come una band dalla forte vocazione live.
Pubblicarono anche nel 1985 un doppio album, chiamato World Wide Live che ripercorre i momenti salienti del tour del 1984 e contiene anche una videocassetta. Superfluo aggiungere che anche con questo lavoro raggiunsero il disco d’oro in molti paesi e quello di platino in Canada e Stati Uniti. A causa del cambio di etichetta discografica, questo live non presenta alcuna canzone in comune con il precedente. Chi fosse interessato ad approfondire la carica dirompente dei teutonici e la loro evoluzione nel tempo può riferirsi prioritariamente a questi due live, che racchiudono quanto di meglio abbiano realizzato nella prima parte della loro carriera.

Il Vento del cambiamento

Gli Scorpions ebbero l’onere/onore di comporre la canzone-emblema dell’evento che “concluse” il cosiddetto secolo breve. “Wind Of Change” fu composta un anno dopo il crollo del Muro di Berlino e, sebbene non contenga alcun riferimento diretto all’evento, divenne una sorta di inno di celebrazione della fine della Guerra Fredda. L’incipit fischiettante, riconoscibile all’istante da chiunque la abbia ascoltata almeno una volta, finì per catalizzare tutte le attenzioni su di sé e rese il singolo uno dei più grandi successi commerciali della storia della musica.
È un peccato, vista la loro carriera, che agli occhi di molti Schenker e compagni siano considerati solo come “quelli di Wind Of Change”. È anche vero, però, che tutta la produzione successiva non regalò ai fan nulla di memorabile.

L’album Crazy World (1990) contiene la celeberrima canzone, qualche hit, come “Send Me An Angel”, ma per il resto scivola via piatto nella sua mancanza di idee, ancor più significativa se si pensa alle solide proposte musicali che si stavano manifestando proprio  in quegli anni in altri ambiti del rock (grunge, shoegaze, metal). Le atmosfere sciroppose e le frequenti tracce riempitive danno l’idea di un prodotto invecchiato male. Non tutta la band approvava il nuovo sound e i contrasti finirono nel tempo per sfaldare lo storico quintetto. Già alla fine del tour il bassista Bucholz fu licenziato dalla band, a causa di problemi di natura finanziaria.

Con Face The Heat (1993) gli Scorpions provarono a risalire la china, ma senza ottenere molto clamore. Probabilmente i fan che li avevano conosciuti solo di recente rimasero spiazzati dalla mancanza assoluta di toni caramellosi. Al contrario, brani come “Alien Nations” e “Ship Of Fools” erano concepiti per far sobbalzare dalla sedia l’ascoltatore. Ciononostante nel pungiglione degli Scorpions c’è sempre spazio anche per qualche ballad romantica: le non eccelse ma orecchiabili “Under The Same Sun” e “Woman” e la discreta ma purtoppo sottovalutata “Lonely Nights”.
Curiosamente inserirono in scaletta anche “No Pain No Gain” che, secondo i loro desideri, sarebbe dovuta diventare una sorta di inno da cantare a squarciagola nei mondiali di calcio statunitensi. Sfortunatamente per loro, la nazionale tedesca non riuscì a ripetere le Notti Magiche italiane e la loro canzone fu accolta piuttosto tiepidamente.

Negli anni che seguirono, gli Scorpions sembrarono più interessati a massimizzare i profitti per quanto fatto fino ad allora che a creare nuova musica. In soli dieci anni rilasciarono ben dodici antologie (una nel 2002 contenente anche due nuove tracce) e due album live. Nel 2000 registrarono anche un album in collaborazione con l'Orchestra Filarmonica di Berlino dove proponevano brani riarrangiati dal loro repertorio e un nuovo singolo, "Moment Of Glory", che diede anche il nome all’esperienza.
Due anni più tardi pubblicarono Acoustica, nel quale i loro grandi classici erano riarrangiati in versione acustica.
Gli unici due album di inediti che pubblicarono ancora negli anni 90 servirono solo a certificare definitivamente la loro crisi ispirativa.

Con Pure Instinct (1996) cercarono di riacciuffare i nostalgici di “Wind Of Change” pubblicando una canzone come “Does Anyone Know” che ne sembra una copia sbiadita e affiancandola a una sequenza interminabile della loro specialità della casa: le ballad rock romantiche. Anche non volendosi soffermare sui testi, abbastanza scontati pure per i loro standard, una buona metà del disco è davvero grossolana. Klaus Meine fa del suo meglio con le sue capacità interpretative, ma tutto il resto della band si limita a suonare il compitino, fatto di quattro accordi e di strofe poco accativanti.
Per quanto riguarda le ballate, non se ne rinviene neanche una all’altezza delle loro migliori, ma vale la pena dare una possibilità di ascolto a “Where The Rivers Flows”, che risulta almeno un buon sottofondo musicale.
In linea di massima, si può dire che le canzoni composte da Schenker in questo album risultano superiori alle altre, ma anche queste non si discostano da quell’aura di prevedibilità che circonda l’intero album.

Eye II Eye (1999) conferma il trend negativo che stava lentamente inghiottendo la band teutonica verso dischi di qualità minore. In questo caso, però, i termini “tracollo” e “disfatta” risultano più appropriati. Non è chiaro se nell’intento del gruppo tedesco vi fosse l’idea di rimpinguare il suo conto in banca scimmiottando uno stile di musica più moderno o se semplicemente abbiano pensato di poter rivoluzionare il loro approccio alla musica. Sicuramente l’esito è a dir poco maldestro e in fin dei conti le loro fonti di ispirazione non sembrano neanche tanto alte. “Obsession” fa pensare al pop mieloso dei Backstreet Boys; “To Be N° 1” sembra un incrocio fra i giovani Hansom e il George Michael di quegli anni; “What U Give U Get Back” ricorda il rock melodico e senza complicazioni dei Nickelback. Fa sorridere ascoltare gli Scorpions provare a rappare in tedesco in "Du Bist So Schmutzig" e il ritornello di “Aleya” verrebbe scartato senza esitazioni anche da una band easy-pop.

Tempi Moderni

12_humanityL’album del 2004 Unbreakable segnò un ritorno del gruppo all’hard-rock duro e puro e venne salutato con enorme enfasi dai fan, che tanto speravano in un ritorno dei loro beniamini sulla “retta” via. Per la verità, non si tratta di un lavoro eccelso, ma ebbe il merito di riportare alla base i fedelissimi strizzando anche l’occhio al rock del nuovo millennio. Probabilmente, per una migliore fruizione, avrebbe giovato rimuovere qualche traccia riempitiva che appesantisce l’ascolto di un lavoro che d’altra parte supera abbondantemente l’ora.
La band tedesca è ancora trascinata dal duo storico Meine e Schenker. Mąciwoda al basso si limita a seguire le chitarre e ad aggiungere qualche variazione di tempo, Kottak alla batteria partecipa anche come autore, ma nel complesso fa rimpiangere il precedessore. La chitarra di Jabs sembra ancora non essersi destata del tutto dal torpore che la affligge da parecchio tempo, ma la buona notizia è che la musica di una delle migliori canzoni dell’album, “Deep In Dark”,  è stata composta proprio dal primo chitarrista. Degne dei tempi migliori anche le ottime “Love 'Em Or Leave 'Em”, da cui è stato estratto un singolo, “Someday Is Now”, con uno stupendo assolo di chitarra, e la suggestiva “Through My Eyes”.
In Unbreakable c’è spazio anche per un’insolita collaborazione con il pianista iraniano Anoushiravan Rohani, autore delle musiche di “Maybe I Maybe You”, che si presta alla perfezione per mettere in mostra le incredibili doti da vocalist di Meine. Si tratta dunque di un lavoro che supera ampiamente la sufficienza e lascia ben sperare in un nuovo millennio in crescendo per i cinque terribili tedeschi.

Sicuramente continuò a crescere il loro conto in banca e non misero fine all’emorrargia di antologie iniziata dopo l’uscita di “Wind Of Change”. Curiosamente, ad oggi, le raccolte pubblicate superano abbondantemente il numero di album in studio.
Nel 2007 provarono a rilanciarsi definitivamente con Humanity: Hour I, un album molto ambizioso, in cui non hanno badato a spese in termini di produzioni e collaborazioni. I tedeschi si avvalgono, in particolare, della mano esperta di Desmond Child, autore di molti successi commerciali di band come Bon Jovi, Aerosmith e Kiss. Il titolo allude a un futuro distopico apocalittico, in cui umani e robot affrontano una sorta di guerra civile.
I brani tratteggiano una sorta di storia al punto da far intendere l'opera come una sorta di concept-album. Non è un buon punto di partenza per una band che si è sempre distinta nel creare melodie coinvolgenti e maestosi riff di chitarra più che per le competenze nel songwriting. E non sarà certo questo disco a far cambiare opinione su di loro, considerando la pochezza di certi testi ("Save me/ Cause the world's gonna stop/ Baby 321/ Are you ready to rock").
A confondere ancora di più le idee si aggiunge il fatto che nelle liriche di una buona metà delle canzoni non si ravvisa apparentemente alcun accenno al tema portante della guerra tra uomini e macchine. Ad ogni modo, almeno in ambito musicale, gli Scorpions dimostrano di avere ancora le idee chiare sul tipo di musica da proporre. Pur strizzando entrambi gli occhi alle sonorità nu metal molto in voga nel periodo, Humanity non appare mai un ibrido mal riuscito come la sfortunata esperienza di Eye II Eye.
Ancora una volta da applausi la prova canora dell’intramontabile Meine, che alle soglie dei sessant’anni continua a svolazzare leggiadro verso tonalità altissime. Particolare non da poco, se si considera che ha rischiato addirittura di perdere la voce per problemi alle corde vocali ai tempi di Blackout. In “The Cross” condivide il microfono con Billy Corgan, ma la collaborazione sarebbe dovuta essere gestita meglio, magari con un duetto fra due artisti che hanno peculiarità vocali molto caratteristiche.
Le dodici tracce dell’album sono di buona fattura e scivolano via senza grosse cadute, ma svaniscono nella memoria abbastanza in fretta. Per chi era abituato a consumare i piatti ruspanti e saporiti dei maestri teutonici, le brevi tracce igienizzate e radiofoniche appaiono un po’ impersonali. Senza dubbio in questo ha pesato la scarsa esperienza che gli Scorpions avevano nel circondarsi di collaboratori nella stesura delle canzoni e il fatto di aver deciso di creare canzoni di facile consumo anche per le nuove generazioni di fan.

Humanity: Hour I ottenne un discreto successo, soprattutto in Russia dove gli Scorpions conseguirono il disco di platino e si esibirono al Cremlino in un concerto celebrativo della Cheka (anche se loro giustificarono la loro presenza dicendo che pensavano che lo spettacolo fosse stato organizzato per festeggiare il Natale). Voci insistenti riportavano che la band stesse già pensando a un seguito dell’album Hour II, ma nel 2010 rilasciarono inaspettatamente il loro nuovo lavoro Sting In The Tail che, secondo le intenzioni iniziali, sarebbe stato anche l’ultimo. Successivamente cambiarono idea, ma all’epoca destò unanime commozione pensare che la lunga carriera degli Scorpions era ai titoli di coda.
Il sound ricorda più Unbreakable che il predecessore. Schenker disse che l’idea era di riavvicinarsi alle radici e questo obiettivo è suggerito anche dalla rassomiglianza nel titolo con il loro celebre album del 1984. Sebbene si avvalsero anche questa volta di molti collaboratori esterni, cercarono di sforzarsi di  tornare al loro inconfondibile suono degli anni 80.
L’inizio dell’album è più che promettente. La band ha ormai trovato un nuovo equilibrio e anche le performance di Mąciwoda e Kottak portano fantasia e idee nuove. "Raised On Rock", "Sting In The Tail" e “Turn You On” sono canzoni egregie, che avrebbero potuto ben figurare anche in album di 25 anni prima.
Non si può dire lo stesso degli altri brani che alla fine risultano una minestra riscaldata e ripetitiva: purtoppo gli Scorpions non sono riusciti ad accumulare abbastanza veleno per produrre un intero album all’altezza. Riescono a pungere ancora una volta nella canzone finale, “The Best Is Yet To Come”, con cui sembrano accomiatarsi definitivamente dal loro pubblico, facendo scappare qualche lacrimuccia agl aficionados di sempre.

Malgrado le intenzioni iniziali, tuttavia, lo scioglimento non si concretizzò e la band tedesca proseguì le sue performance live e la sua indefessa attività di pubblicazione di antologie, live o semplicemente ristampe di vecchi album in edizione rimasterizzata. Degno di nota il live Unplugged di Atene del 2014 che contiene anche alcuni inediti.
In occasione del cinquantesimo anniversario, rilasciarono un nuovo album Return to Forever, raccolta di B-side, outtake e inediti scritti negli ultimi anni. Un lavoro che si pone in continuità con il tentativo di recupero della tradizione e della base più nostalgica che gli Scorpions stanno percorrendo nello scorcio finale della loro carriera. Trattandosi di un lavoro che include materiale molto eterogeneo, può essere valutato solo per la somma delle sue parti. Gli ascoltatori non troveranno tesori sepolti e gemme dimenticate, ma ascoltarlo può essere un’occasione per i collezionisti della loro musica per confrontarsi con le evoluzioni/involuzioni del loro stile dagli anni 80 ad oggi.

Noncuranti del passare delle stagioni, nel 2021 gli Scorpions annunciano di aver programmato per l’anno seguente un nuovo album, Rock Believer, e un tour mondiale.
In questo nuovo lavoro, la band teutonica conferma l’approccio muscolare che sta caratterizzando l'ultima parte di carriera e si esibisce in una prova ad altissima intensità. Già nella traccia di apertura “Gas In The Tank” dimostra di avere ancora benzina nel serbatoio e fra sirene assordanti e chitarre spianate, promette riff martellanti e buona musica rock. Le chitarre ringhiose e i ritmi incalzanti delle successive canzoni esaltano le qualità di Meine, che alla veneranda età di 73 anni sfoggia ancora modulazioni vocali irresistibili. Inoltre gli Scorpions sembrano rivitalizzati dal ritmo indemoniato imposto dal nuovo innesto alla batteria Mikkey Dee. Grazie anche ai suoi trascorsi in un gruppo importante come i Motorhead, il drummer porta con sé quel giusto mix di esperienza e spirito di squadra necessari per suonare in una band dalla storia così altisonante.
L’intera opera si potrebbe definire come una chiamata alle armi per i nostalgici dell’hard-rock anni 80. Brani come “Seventh Sun” e “Hot And Cold” sembrano essere stati catapultati direttamente dal World Wide Tour. C’è poco spazio per le ballate melodiche che hanno fatto la fortuna del gruppo negli anni 90. Non c’è alcuna concessione ad atmosfere più moderne, né una reale volontà di aprire la strada verso nuove possibilità sonore. È un disco finalizzato a confermare al loro pubblico che il modo di fare musica degli Scorpions non è destinato ad appassire. Le nuove canzoni aggiungono ulteriori motivi per scatenarsi durante i loro infuocati tour e, al netto di alcuni momenti poco ispirati nella seconda parte dell’album (nonché di tutte le bonus track nella versione deluxe), risultano soddisfacenti.
Rock Believer non sembra il disco di commiato di una band a fine carriera. Il sapore vintage di questi inni appare ancora lucidato di fresco e si presta bene a essere suonato nella dimensione live, dove i tedeschi non hanno mai mostrato segni di cedimento.

In rotta verso i sessant’anni di carriera gli Scorpions mostrano ancora passione per il rock e una voglia di mettersi in gioco che è anche la ragione della loro lunga e bella carriera.

Scorpions

Discografia

Lonesome Crow(Brain, 1972)

7,5

Fly To The Rainbow(RCA, 1974)

7

In Trance(RCA, 1975)

9

Virgin Killers(RCA, 1976)

8,5

Taken By The Force(RCA, 1977)

8

Tokyo Tapes(live, RCA, 1978)

Lovedrive(Harvest, 1979)

8

Best of Scorpions(antologia, RCA, 1979)

Animal Magnetism(Harvest, 1980)

7,5

Blackout(Harvest, 1982)

8,5

Hot & Heavy(antologia, RCA, 1982)

Love At First Sting(Harvest, 1984)

7

Best Of Scorpions vol. 2(antologia, RCA, 1984)

Gold Ballads(antologia, Harverst/EMI, 1984)

World Wide Live(live, Harverst/EMI, 1985)

Savage Amusement(Harvest, 1988)

5,5

Best Of Rockers 'n' Ballads(EMI, 1989)

Crazy World(Vertigo, 1990)

5

Hot & Slow: The Best of the Ballads(antologia, RCA, 1991)

Still Loving You(antologia, Harverst/EMI, 1992)

Hot & Hard(antologia, RCA, 1993)

Face The Heat(Polygram, 1993)

6

Deadly Sting(antologia, EMI, 1995)

Born To Touch Your Feelings(antologia, RCA, 1995)

Live Bites(live, Polygram, 1995)

Pure Instinct(East West, 1996)

4,5

Still Loving You- The Best Of(antologia, Odeon, 1997)

Hot & Slow: Best Masters of the 70's(antologia, BMG, 1998)

Big City Nights(antologia, Universal, 1998)

Eye II Eye(East West, 1999)

3

Best(antologia, EMI, 1999)

Pictured Life: All The Best(antologia, BMG, 2000)

Moment Of Glory(antologia, EMI Classics, 2000)

Acoustica(antologia, East West, 2001)

20th Century Masters - The Millennium Collection: The Best of Scorpions(antologia, Mercury, 2001)

Bad For Good(antologia, Hip-O, 2002)

Classic Bites(antologia, Mercury, 2002)

Ballads(antologia, EMI, 2003)

Box Of Scorpions(antologia, Hip-O, 2004)

Unbreakable(BMG, 2004)

6,5

The Platinum Collection(antologia, EMI, 2005)

No 1's(antologia, EMI, 2006)

Gold(antologia, Hip-O, 2006)

Humanity: Hour I(Sony Music, 2007)

6

Deadliest Stings: Greatest Hits(antologia, Warner, 2007)

Sting In The Tail(Sony Music, 2010)

5,5

Icon/Icon 2(antologia, Island, 2010)

Live 2011: Get Your Sting & Blackout(live, Sony Music, 2011)

Comeblack(antologia, Sony Music, 2011)

Wind Of Change: The Collection(antologia, Universal, 2013)

MTV Unplugged: Live In Athens(live, Sony Music, 2013)

Return To Forever(RCA/SevenOne Music, 2015)

5
Born To Touch Your Feelings: Best Of Rock Ballads(antologia, RCA, 2015)

Rock Believer (Vertigo, 2022)

6,5

Pietra miliare
Consigliato da OR

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The Sails Of Charon
(da Taken By The Force, 1977)

Fly To The Rainbow
(da Tokyo Tapes, 1978)

Holiday
(da Lovedrive, 1979)

  The Zoo
(da Animal Magnetism, 1980)
  No One Like You
(da Blackout, 1982)
Still Loving You
(da Love At First Sting, 1984)
Wind Of Change
(da Crazy World, 1990)
Hurricane 2000
(da Moment Of Glory, 2000)
Love'em Or Leave 'em
(da Unbreakable, 2004)

Where The River Flows
(da MTV Unplugged: Live In Athens, 2013)

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