Stagnant Waters

Stagnant Waters - Un'alchemica folie à trois

Formato dal cantante Svein Egil “Zweizz” Hatlevik, dal batterista, clarinettista e appassionato di elettronica Aymeric Thomas e dal chitarrista/bassista Camillle Giraudeau, il gruppo franco-norvegese è autore di uno spaventoso connubio di post black-metal, elettronica ultraterrena, industrial, improvvisazione dadaista e scampoli di classica contemporanea. In diciotto anni di attività ha realizzato solo due album, l'ultimo dei quali è un inquietante viaggio attraverso una foresta di simboli stranianti

di Francesco Nunziata

Quando il chitarrista francese Camille Giraudeau si rese conto che le sue ultime sperimentazioni metal stavano andando in una direzione più elettronica e violenta, evidentemente influenzato dai dischi di band quali Dødheimsgard o Atomsmasher/ Phantomsmasher, decise che non ne avrebbe tratto le conseguenze nel recinto dei Dreams of the Drowned, la band di black-metal in cui all’epoca militava (siamo intorno al 2007), ma che quello era il momento giusto per “crescere ancora di più”. Messosi alla ricerca di un batterista, nel giro di poco tempo incontrò Aymeric Thomas, che suonava anche il clarinetto e smanettava pure con l’elettronica: “Camille mi chiese di fare delle prove insieme, così ci scambiammo idee per un po' e il risultato fu piuttosto stimolante. Poi, il nostro divenne un progetto a due facce, con molte idee e intuizioni casuali che si fondevano insieme. Quando ci fu abbastanza materiale per un album, decidemmo di chiedere a Svein Egil (che aveva già diverse esperienze alle spalle, le più importanti delle quali con Dødheimsgard e Fleurety, ndr) di unirsi a noi in qualità di cantante. La prima volta che finalmente ci incontrammo dal vivo fu dopo quasi due anni di collaborazione sul web”.
Come nome di battaglia venne scelto quello di Stagnant Waters e galeotta fu la canzone omonima dei Dälek: “Sono piuttosto ossessionato dall'acqua in generale”, confessa Giraudeau. “Inoltre, stavo iniziando a sperimentare anch'io la stagnazione, essendo un individuo depresso e legato all'acqua, quindi tutto aveva senso. ‘Algae’, la prima traccia che mettemmo a punto, parlava in un certo senso di questo”.

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Lavorando insieme, i tre misero a punto un sound black-metal molto sperimentale, dissonante e, direi, persino dadaista. “Siamo giunti a definire il nostro sound cavalcando il caso così come Isabelle Adjani cavalcava la follia in ‘Possession’, il film diretto da Andrzej Żuławski nel 1981. Ma anche sacralizzando qualsiasi cosa accada in un istante, quando due o tre anime o non-anime si toccano. Corpi di musica, corpi malati che si divertono a vicenda, includendo se stessi. Un'alchemica folie à trois”. Sono parole di Giraudeau, cui si aggiungono quelle di Thomas: “Per quanto mi riguarda, l'unico precetto di questa band è l'assenza di confini. Essere senza regole nel processo creativo. Pur restando vicino ai sottogeneri del metal, non sono mai stato troppo legato ai codici musicali interni che di solito definiscono una band. Le frontiere sono fatte per essere infrante.”

stagnant_waters_same_ondarock_nunziataTestate le proprie capacità nello split Ep “Sea Of Abandoned Polaroids”, condiviso nel 2009 con i conterranei Phlegma, gli Stagnant Waters dovettero attendere ancora tre anni prima di vedere pubblicato il loro primo, omonimo disco (8 tracce; 45:43). Se ne occupò l’etichetta belga Adversum, che presentò il disco come “un mix altamente radioattivo di chitarre graffianti, elettronica ultraterrena, improvvisazione dadaista, complessità senza compromessi e ritmi innaturali”, insomma un “caos post-black metal caleidoscopico e sconvolgente”, figlio di una band nata “da uova deposte a cavallo tra il XIX e il XX secolo, quando il black metal si è liberato dalla trappola delle convenzioni per cercare nuove forme e dimensioni”. Esagerazioni? Nemmeno per sogno!
Aperto proprio dal loro primo brano in assoluto, “Algae”, che fonde febbrili sfuriate old-school, meccaniche ottundenti e interludi disorientanti nella loro astrattezza, il tutto proiettato in un universo in cui la stagnazione è sinonimo di angoscia esistenziale (“Non sentire nulla è contagioso/ L'asse del vivere in silenzio/ Sono qui, impotente/ Non c'è mai fine al nulla/ I miei dolori sono tristi cacciavite nella cassetta degli attrezzi/ Non mi adeguo mai, non mi alieno mai, non sogno mai”), l’esordio degli Stagnant Waters, ancorché ancora acerbo, suona ancora oggi vitale, muovendosi tra bizzarrie assortite (“Ссаер цнапял пнои тат”: clarinetto, pianoforte, voci: tutto filtrato, sfigurato, abnorme, in linea con l'idea di una perfetta “colonna sonora della nostra mummificazione”), cacofonie come allucinazioni (“Of Salt And Water”), tracce di death-metal disseminate tra i corridoi di un castello in cui passato e presente sono liquefatti (“Castle”), free-jazz nelle mani di pazzi furiosi (“Concrete”, un brano che invita l’Europa a svegliarsi e a prendere sul serio il problema delle scorie radioattive) e il black-metal insegnato agli omini dei videogiochi (“From The Breaking Neck To Infinity”). Nei dieci minuti di “Axolotl”, infine, tutta la follia del disco sembra condensarsi, per di più tirando in ballo citazioni bibliche e altre tratte dalle “Epistulae morales ad Lucilium” di Seneca!

Dimmi, Lucilio,
cosa c'è da trovare se non l'assurdità delle nostre passioni,
la vanità della nostra fede,
la follia delle nostre ambizioni?
Quando uno ha visto naufragare la sua misera anima nel vuoto infinito di questa cosiddetta vita,
cosa resta se non il punto di vista oggettivo derivato dall'odio e dall'assoluta assurdità?

Dopo l'esordio, per trovare traccia di un altro disco degli Stagnant Waters bisognerà aspettare ben dodici anni! “‘Rifts’ ha richiesto moltissimo tempo per essere completato, tra crolli nevrotici, distanze geografiche, progetti paralleli e olocausti termonucleari. Ma alla fine abbiamo prevalso”, spiega Giraudeau.
“Ha sicuramente inciso anche il fatto che viviamo tutti in paesi diversi", aggiunge Thomas, "ma immagino ci sia voluto questo lungo periodo di tempo anche per maturare. I primi schizzi risalgono a dieci anni fa e i risultati sono molto diversi”.
Rispetto al suo predecessore, Rifts è un disco più maturo e riuscito, ancorché sempre fuori dagli schemi. “Tutto è iniziato con una creazione molto intensa e viscerale, per poi trasformarsi in una musica più cerebrale. Probabilmente, ciò è dipeso dal tempo che abbiamo dedicato alla composizione di ‘Rifts’. È fondamentalmente questo che è cambiato. Ci sono stati molti viaggi di andata e ritorno tra persone, idee, arrangiamenti e registrazioni, rispetto al biglietto di sola andata del nostro primo lavoro”.

stagnant_waters_rifts_ondarock_nunziataPubblicato in versione “doppia”, “A” e “C” (gli stessi brani dell’Lp sono presentati in alternate version su cd), Rifts (14 tracce; 98:40) si muove in una zona di confine dove si riconoscono le bandiere dei Ved Buens Ende, degli Arcturus de “La masquerade infernale”, dei Dødheimsgard, dei Fleurety, ma anche quelle di band apparentemente più lontane dal loro universo sonoro, come gli alfieri del grindcore sperimentale Discordance Axis, i Blind Idiot God, i Mr. Bungle, Amon Tobin, i Virus (quelli norvegesi, ovviamente), i Jaga Jazzist e i This Heat, tutte sventolanti sullo sfondo di un manicomio dove si aggira il fantasma di David Lynch, regista molto caro alla band. Tra le influenze extra-musicali, il gruppo cita invece “autismo, caos, divertimento, tristezza, sfumature di grigio e di arcobaleni, gatti, volpi, solitudine, danni cerebrali, serietà e un curioso senso dell'umorismo”.
Giraudeau: “L'idea della doppia versione del disco ci è venuta spontaneamente attraverso il corso degli eventi. Vedete, dopo la frattura, invece di lasciare che una di queste versioni prevalesse sull'altra, abbiamo deciso di trasformare il tutto in un'opportunità tenendo presente il paradosso del gatto di Schrödinger. Una prospettiva davvero anarchico-quantistica sulla collaborazione musicale! Il risultato è un ascolto molto inquietante, ma siamo molto felici che le persone sembrino apprezzarlo, anche se richiede di uscire un po' dalla propria comfort zone. Inoltre, sembra che questa pubblicazione simultanea di due versioni completamente diverse dello stesso album all'interno di un'unica entità non fosse mai stata realizzata prima. L'idea potrebbe essere nata da ‘Department Of Apocalyptic Affairs’ dei Fleurety, dato che il brano ‘Face In A Fever’ era presente in due versioni”.
Accompagnato da una copertina piuttosto inquietante, realizzata da Svein Egil (che “voleva trasmettere un senso di mostruoso agguato/inseguimento post-foresta. Sei il cacciatore o la preda? Il mostro o la norma? L'identità della terra, il paesaggista e i vagabondi”), Rifts è dominato da brani privi di un vero baricentro, testimonianza del fatto che la musica degli Stagnant Waters si è fatta, durante gli anni, sempre più libera e incentrata sull’improvvisazione, intesa come la possibilità di “cristallizzare gli istanti, fidandosi di ciò che si cela intorno: la magia del caos”.
Si comincia con “Black Fields (C)”, aperto da quello che sembra un folk-metal della terra dei ghiacci. La band, in ogni caso, vi ribadisce che il proprio suono è una foresta di simboli stranianti, invero forse più uno stato mentale, come chiarisce la variante “(A)” del brano, più soffocante, ma anche, per certi versi, ottundente e galattica. Nel testo, l'eco di un mondo ormai al collasso: "La peste vomitata in massa ha cambiato tutto (…) Sembra un fottuto fallimento".

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"Split And Spilled (C)" non molla la presa, lasciando dunque spazio a “Gonad Waltz”, un assalto a testa bassa, disorientante, con improvvisi squarci di strambi carillon e assoli al fulmicotone, pronti a innescare scorrazzate a velocità sempre più folle, interrotte solo da inquietanti rituali per il dopo-bomba. La versione “A” di “Gonad Waltz”, più lunga (siamo intorno ai dodici minuti), si lascia nel complesso preferire, grazie a un uso più massiccio dell'elettronica e a un’infernale tensione da incubo post-umano. Se “Crackle (C)” è stranamente “pulita”, sia nel suono delle chitarre, che nell’atmosfera dilatata e risuonante, “Crackle (A)” è scandita invece da un meccanismo ad orologeria, con sax free-jazz, colpi di tosse e un finale allucinato. Una barocca scarica di digitalismo impazzito costituisce, invece, l’ossatura di “Forced To Go”, mentre “Battle Tactics Of General Nonsense (C)” alterna momenti più distesi a violente discese nel turbine della violenza dissonante, lasciando spazio, all’occorrenza, a defaticamenti atmosferici in cui sembra di intravedere dei Mamaleek intossicati e sfiancati da potenti radiazioni. Nella sua seconda versione, questo brano presenta inserti acustici e un mix di cybergrind e breakcore.
Il brano eponimo si accende, infine, con vampate nucleari e costruisce una partitura altamente drammatica, con la voce di Hatlevik a coprire lo spettro sonoro che intercorre tra il sussurro agonizzante e l’urlo bestiale.

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Stagnant Waters

Discografia

Stagnant Waters(Adversum Records, 2012)
Rifts(Neuropa Records, 2024)
Pietra miliare
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