Aphex Twin

Quarant'anni di metodica elusività

Prendiamo Kafka: niente è più elusivo della sua verità, e tuttavia ogni sua pagina è inconfondibile
(Italo Calvino, "Lezioni americane")

Se dovessimo cercare nel mondo musicale un corrispettivo dell'elusività di Kafka, il nome più papabile sarebbe probabilmente Richard David James, ovvero colui che si nasconde dietro uno dei più influenti pseudonimi degli ultimi quarant'anni: Aphex Twin.
Esattamente come per Kafka, la cui elusività viene tratteggiata da Calvino nel suo saggio non come assenza di significato, ma sottrazione a una chiara decodifica, tutto il repertorio di James si snoda attraverso percorsi sfuggenti e, spesso, disorientanti. Per entrambi vale la necessità di esprimersi attraverso situazioni limite, immagini potenti e, in larga misura, assenza di spiegazioni, con l'obiettivo di portare il lettore/ascoltatore in territori poco rassicuranti, ma non per questo privi di fascino.
Aphex Twin è oggi per le nuove generazioni quanto di più lontano possa esistere dal concetto di artista. Da sempre refrattario al presenzialismo, alle interviste, al dare al pubblico quello che si aspetta. Non per cattiveria, ma per manifesta idiosincrasia nei confronti delle regole dello stardom. Quello che si sa di lui lo si deve fondamentalmente alla Rete, e metà di quello che si sa potrebbe essere falso. In quattro decadi di carriera è riuscito a dare ai suoi fan un'unica possibilità: quella di provare a conoscerlo esclusivamente attraverso il materiale pubblicato.

Richard D. James comincia a fare musica nel 1985, a quattordici anni (lo stesso anno in cui Calvino comincia a redigere il ciclo di conferenze citato in apertura), ed è chiaro fin da subito che il suo approccio ha poco da spartire con la leva degli artisti elettronici dell'epoca. È un ragazzino apparentemente silenzioso, con la passione per l'elettronica, nato in Irlanda da genitori gallesi e cresciuto in un contesto da "periferia dell'impero" (la Cornovaglia), un posto perfetto per assorbire la cosa più underground che la musica basata sulla tecnologia riesca a produrre in quel periodo: l'acid house.
Richard si innamora dei sintetizzatori, li smonta, li modifica per personalizzare il suono che ha in mente. Si dice che vinca anche un concorso per essere riuscito a tirare fuori un suono vero e proprio dal Sinclair ZX81 (uno dei primi home computer di inizio anni Ottanta, completamente privo di hardware audio), ma questa è forse la prima di tante leggende metropolitane che lo riguardano, materiale ideale per alimentare lo status di enigma e semidio dell'elettronica che gli si riconosce tuttora.

In una intervista di metà 1993 fatta in un McDonald di Oxford Street a Londra, Paul Benney (co-fondatore della rivista Jockey Slut), racconta che da subito ha l'impressione di trovarsi di fronte a un personaggio con il senso dell’umorismo piuttosto marcato, a differenza di molti produttori elettronici dell’epoca. Di certo, uno che non si prende troppo sul serio.
In quel momento Richard sta attirando le attenzioni della stampa specializzata grazie al suo album d'esordio, il fondamentale "Selected Ambient Works 85-92", ma nei due anni precedenti si è già fatto conoscere per il gran numero di singoli ed Ep pubblicati utilizzando quasi sempre un moniker diverso: AFX, Bradley Strider, Caustic Window, Universal Indicator, Power-Pill, Q-Chastic, The Dice Man, Soit - P.P., Blue Calx, Polygon Window (successivamente userà anche Gak e The Tuss).

La mia idea è sempre stata che tu vieni per ascoltare la musica, non per vedere una celebrità
(Richard D. James, intervista su Jockey Slut, 1993)

1 - Sparire tra sequenze di nomi

Il caleidoscopico elenco di pseudonimi è già uno dei primi elementi utili per comprendere le modalità di "occultamento" di Richard.
Se è vero che il suo habitat naturale all'inizio è la scena rave, soprattutto per la garanzia di libertà espressiva, sono probabilmente la curiosità e l'indubbia capacità di manipolare il suono a spingerlo a produrre materiale molto eterogeneo e con diverse gradazioni di fruibilità. In quel contesto, la cosa più ovvia diventa pubblicare in maniera istintiva tutto quello che considera valido senza scomodare ogni volta un unico, limitante, marchio di fabbrica.
La confusione aumenta considerando che alcuni moniker diventano anche il nome di brani pubblicati sotto altri pseudonimi. Ad esempio, Blue Calx diventa anche una traccia di "Selected Ambient Works Volume II", pubblicato con il moniker principale.
Il suo primo vero pseudonimo è comunque Phonic Boy On Dope, il cui materiale (risalente al 1989) viene reso pubblico su Soundcloud ufficialmente soltanto nel 2015, insieme a centinaia di altre tracce inedite. Uno dei suoi primi compagni di avventura, Tom Middleton, racconta che, nel periodo Phonic Boy On Dope, Richard aveva nello studio un sintetizzatore Roland SH-101 e due altoparlanti oscillanti appesi al soffitto. Modificando la risposta in frequenza del Roland, riusciva a produrre note sia nello spettro degli infrasuoni che degli ultrasuoni, attirando leggende scherzose su pipistrelli intorno allo studio e cani abbaianti all'esterno. Tom invece usa lo pseudonimo Schizophrenia, come indicato nei credits di "En Trance To Exit" e "AFX2" dall'Ep "Analogue Bubblebath 1" (1991).

L'origine del nome Aphex Twin (utilizzato a partire dal 1990) è, almeno inizialmente, poco intuibile. Mentre Aphex è un sicuro un riferimento alla Aphex Systems Limited (azienda di processori di segnali audio), la parola Twin sembra invece riferirsi per un certo periodo a un gemello morto alla nascita. In realtà, il fratello deceduto non è un gemello, ma è morto alla nascita diversi anni prima (la lapide è immortalata nella copertina del "Girl/Boy Ep"). Inoltre, Richard e il suo primo socio in affari, il sopracitato Tom Middleton, sono nati esattamente lo stesso giorno/anno. Quindi, anche se nei primi mesi il progetto Aphex Twin sembra essere attinente a un duo, il riferimento originale resta il fratello morto, soprattutto perché i genitori hanno deciso di mettere lo stesso nome a entrambi (aggiungendo soltanto la D di David al secondo nato). L'elusività si estende anche ai nomi delle tracce di tutto il repertorio, che sono storicamente senza significato e/o difficilmente leggibili. Possono contenere parole inventate, storpiate, o riferimenti a hardware audio. Non c'è mai alcun legame con il contenuto della traccia vera e propria.

2 - Sparire tra scaffali di materiale

La quantità di materiale pubblicata con i vari pseudonimi è già davvero notevole quando, nel 2015, Richard decide di caricare su un account Soundcloud praticamente la totalità delle sue produzioni rimaste inedite dagli anni Ottanta in poi. La piattaforma impone però dei limiti di caricamento sugli account gratuiti, e questo porta a rimaneggiarne il contenuto fino ad arrivare alle attuali 59 tracce di user18081971 (consigliatissimo), il cui nome contiene un altro riferimento alla sua data di nascita.
Una delle ragioni dietro questa operazione monstre ha carattere decisamente pratico: "Ho tutta questa musica salvata su hard disk e ho pensato: se muoio, cosa diavolo farebbero i miei figli? Cosa farebbe mia moglie? Si stresserebbero molto e non saprebbero cosa farne. Quindi ho pensato di regalarla, così non devono pensarci loro". In realtà, tutte le pubblicazioni di Richard sono figlie del pragmatismo. Pubblica dischi solo quando qualcuno (e.g. le case discografiche) glielo chiede espressamente, e in quel caso preleva dal suo archivio qualcosa che esiste già e lo consegna. Lavora su commissione soltanto in caso di remix (stravolgendo spesso l’originale) o di spot pubblicitari, come quello per Pirelli del 1995.

3 - Sparire tra autostrade digitali

Richard è un nerd musicale in piena regola, di quelli che amano giocare con l'hardware e con il software audio ogni volta che la tecnologia glielo permette. Ha una particolare predilezione per gli easter egg, ovvero quelle sorprese sonore che il pubblico scopre per caso (o dopo accurato passaparola) e che necessitano di un processo attivo da parte dell'utente/ascoltatore per essere scovate. Un comportamento frutto sia della malcelata indole scherzosa che della volontà di provocare piccoli shock al pubblico.
Sull'Ep "Analogue Bubblebath 3" (1993), il brano ".0180871" contiene in sequenza prima il canale sinistro poi il canale destro della traccia stessa, quindi per ascoltarla davvero bisogna separare con un taglio i due canali e unirli su una nuova traccia stereo.
La seconda traccia dell'Ep "Windowlicker" (1999) ha nel titolo una formula matematica (ribattezzata dai fan per semplicità Complex Matematical Equation, oppure [Equation] oppure [Formula]) e al suo interno (al minuto 5:28) è possibile vedere il volto digitale dello stesso Richard se viene ascoltata con qualsiasi software in grado di visualizzarne lo spettrogramma.

Richard non sa suonare approfonditamente alcuno strumento, ma sa come parlare alle macchine, sa come tirare fuori da loro cose apparentemente nascoste. In passato ha affermato di poter ottenere risultati anche lasciando suonare in maniera asincrona diverse macchine/Mac ognuna in una stanza diversa. A seconda poi del punto della casa dal quale ascolta la sovrapposizione sonora, gli è possibile registrare al volo il frutto di quella sessione per provare poi a ricrearla in studio partendo da zero.

4 - Sparire tra vecchie e nuove bugie

Richard sopporta a fatica le interviste e le domande scontate. Conversa amabilmente solo di cose che ritiene divertenti, innovative o disturbanti, soprattutto se figlie della tecnologia usata in maniera non convenzionale (non è un caso se una delle interviste più lunghe che lo riguardano è la conversazione con Tatsuya Takahashi, l'ingegnere giapponese della Korg che gli ha permesso di contribuire alla progettazione del Monologue, un sintetizzatore analogico monofonico uscito nel 2016). Questa caratteristica, a seconda dei casi, può rendere l'intervista imprevedibile - e le risposte astute, ingannevoli, capaci di ferire con brutale onestà – oppure amichevole, alla mano e leale. Gran parte delle leggende costruite sulla figura di Aphex Twin derivano nel corso del tempo da risposte discordanti a domande apparentemente simili.

5 - Sparire dietro a una maschera di gomma

Uno dei segni più distintivi del brand Aphex Twin da almeno metà anni Novanta è il sistematico processo di distruzione operato ai danni del volto di Richard.
A cominciare dall'autoritratto fatto con Photoshop per la cover di "...I Care Because You Do" fino alla risata beffarda della copertina di "Richard D. James Album" o alla disturbante applicazione della stessa maschera sogghignante a tutti i protagonisti dei video di "Come To Daddy" e "Windowlicker" (opera di Chris Cunnigham), l’impressione è che Richard ci tenga a procurare una sensazione di scherno già al solo contatto visivo. È un modo per mettere le cose in chiaro: sì mi sto facendo beffe di voi, ma quello che vi do non lo dimenticherete mai.

6 - Sparire davanti al proprio pubblico

Se vi siete dati il compito di capire l’artista Aphex Twin andando a vederlo dal vivo, molto probabilmente vi siete ritrovati con un pugno di mosche in mano.
La quasi totalità dei dj-set preparati nel corso degli anni non ha infatti praticamente nulla a che vedere con le tracce degli album ufficiali. Da sempre Richard prepara i suoi set attingendo da materiale altrui, nello specifico da cose che trova interessanti e che spesso sono prodotte da artisti provenienti dalla zona della location dove si esibisce. Soltanto in rari casi aggiunge alcune sue tracce al mix, ma mai nella versione originale, ritenuta spesso un'opzione noiosa.
Quando va bene, dagli altoparlanti fa uscire quindi un oggetto riorganizzato o remixato, soltanto parzialmente riconoscibile. Inoltre, è noto per essersi presentato in passato tra il pubblico ai suoi stessi concerti (mentre qualcun altro mandava avanti il dj-set) "solo per fare impazzire i raver" - come raccontato da John Doran di Bbc Radio, che ricorda di essere stato a un live nei primi tempi, nel quale Richard gli passò accanto ridendo a crepapelle. "Se quello era davvero lui, chi c'era alla consolle allora?".

7 - Sparire tra sottogeneri elettronici

Come già detto, Richard non ha mai preso in considerazione l'idea di inseguire il consenso. Tutto il suo percorso artistico scarta a priori la possibilità di dare al pubblico una comfort zone. È il caso di "Selected Ambient Works (85-92)", uscito nel 1992 e considerato quasi unanimemente la pietra miliare dell'ambient-techno, al quale Richard fa seguire, due anni dopo, "Selected Ambient Works Volume II", un vero e proprio capolavoro di ambient pura (votato in retrospettiva da Pitchfork come il secondo miglior album di sempre dopo "Music For Airports" di Brian Eno), che lascia spiazzati e incazzati i raver della prima ora. Poi, dopo il ritorno ai beat acidi di derivazione Idm su "...I Care Because You Do" (1995), fa squadra con l'amico di università Mike Paradinas (conosciuto ai più con il nome μ-Ziq) per dare alle stampe quel divertissement di psichedelia campionata che va sotto il nome di "Expert Knob Twiddlers", provocando nuove reazioni scomposte da parte di chi pensa di aver documentato a dovere la sua cifra stilistica.
Certo, gli anni Novanta sono il momento perfetto per sperimentare attraverso la commistione di generi, ma grazie alla sua capacità di assorbire e integrare electro, hip-hop, house, techno, hardcore/rave, jungle, musica classica d’avanguardia (si vedano gli esperimenti del periodo "Drukqs" – un disco pubblicato soltanto perché un lettore mp3 contenente 300 tracce era stato perso su un aereo - o la collaborazione con Philip Glass), Richard diventa la scintilla che fa esplodere una pletora di sottogeneri destinati a fare storia nell'elettronica (come Idm, drill’n’bass, braindance) e il punto di riferimento luminoso per tanti nuovi artisti (come i Radiohead) febbrilmente attratti dalla sua militante inaccessibilità e dalla sua tendenza a precorrere i tempi.

I soldi mi interessano soltanto nella misura in cui mi permettono di non avere un lavoro. Così posso continuare a fare esclusivamente la musica che voglio.
(Richard D. James, intervista su Jockey Slut, 1993)

E quindi, dopo quarant'anni, chi è Aphex Twin?
Essendo impossibile aspettarsi qualcosa di preciso da lui (o anche: non aspettarselo), è ancora oggi consigliato approcciare la sua opera come se si trattasse di un paesaggio da cartografare, sapendo che, anche una volta mappato, “la mappa non è il territorio”. Per chi vi scrive, Richard resta una delle personalità misteriose meglio preservate del music business, una di quelle che spesso danno l’impressione di prenderti per il culo, almeno fino a quando non ti accorgi che sta solo facendo onestamente sempre la sua cosa (e che quelli che ti prendono per il culo sono invece probabilmente altri).
Nell’avvicinare ogni stile in maniera non convenzionale, nella scelta di essere accessibile o meno, nella capacità di estrarre un suono anche da un cassetto di posate che cade dalle scale, c’è un livello di maestria che resta a tutt’oggi ineguagliato. Pochi hanno saputo passare con la stessa naturalezza dalla acid house alla drill’n’bass ipercinetica, dalla psichedelia figlia della loop culture alla ambient più angelica senza risultare sterili o fuori fuoco.

Ma il marchio Aphex Twin va un po’ oltre le definizioni stilistiche, perché si tratta di uno di quei casi in cui il risultato è maggiore della somma delle sue parti. Esiste un suono à-la Aphex Twin che è diventato archetipico, che ha fatto scuola e che continua a essere un riferimento (si veda il continuo uso di “QKThr” nei meme sui social), anche se Richard sembra non essere interessato più di tanto a dare in pasto al mercato un’evoluzione del suo processo compositivo.
Da anni ci si aspetta che faccia nuovamente qualcosa di ascrivibile alla categoria capolavoro – come una certa sua produzione anni Novanta – senza contare che il gioco della prevedibilità è proprio quello che lui detesta. In una delle interviste per la promozione di “Syro”, il suo dignitosissimo ultimo lavoro sulla lunga distanza (assemblato, come da prassi, a partire da materiale già esistente), alla domanda se avesse inserito brani con un potenziale da classifica, la sua risposta è andata nella direzione “se avessi voluto, certamente. Posso farlo in qualunque momento”.

Negli ultimi anni, Richard David James viene quindi giudicato maggiormente per quello che non fa. A ben vedere, è proprio l’unica cosa sotto gli occhi di tutti, cioè la sua elusività, a fornire le coordinate essenziali per la caccia al tesoro. Solo partendo da tutto quello che Richard non è (e non fa) è possibile arrivare a una possibile declinazione della sua arte. Se volete davvero essere intrattenuti, dovete provare a essere parte attiva del gioco di sottrazione.
Come sottolinea il suo caro amico Mike Paradinas, alla fine ciò che conta è la musica: “Richard non vuole rivelare nulla del suo processo creativo, né spiegare perché fa certe cose. Vuole che ognuno si faccia la propria idea sulla sua musica e su tutto quello che la circonda, come le copertine o i titoli. Vuole che tutto resti non spiegato. Quello che pubblica è tutto ciò che offre".

15/06/2025