AFTERHOURS - Meet Some Freaks On Route 66 (2012, Germi)
alt-rock
Certo, gli Afterhours non possono essere considerati "piccoli" italiani, ma questa rubrica è stata concepita anche per dare spazio a produzioni minori di artisti noti, Ep e lavori secondari. "Meet Some Freaks On Route 66" raccoglie otto registrazioni assemblate durante il recente viaggio negli Stati Uniti della band milanese, dove è tornata ad esibirsi in piccoli locali, respirando quel contatto più diretto col pubblico oramai impensabile in Italia, ed a registrare in studi a cinque stelle, come gli Electrical Audio di Chicago, quelli di Steve Albini, tanto per intenderci. "Meet Some Freaks" è stato distribuito in abbinamento ad un noto magazine italiano poche settimane prima dell'uscita di "Padania", e a corollario gli Afterhours hanno realizzato un documentario a puntate, andato in onda su un canale satellitare, che ha simpaticamente raccontato peripezie ed aneddoti del tour. Le versioni qui contenute si dimostrano interessanti più che altro per studiare il lavoro del rientrante Xabier Iriondo sulle tracce che non ha mai suonato in studio. Il risultato è particolarmente eclatante ne "La sottile linea bianca", da dimenticare invece la rivisitazione di "Male di miele" (e qui Iriondo nell'originale c'era). Buona anche la versione de "La vedova bianca" e l'unica cover del disco, "Dolphins" di Fred Neil, eseguita insieme ai Majakovich, i quali hanno accompagnato gli Afterhours nel tour americano dopo essersi aggiudicati il Jack On Tour, il contest pensato per selezionare i compagni di viaggio di Agnelli e soci. Accanto a una "Pelle" giocata tutta sul piano, e ad una "Ballata per la mia piccola iena" lievemente sottotono, manca il colpo da maestro in grado di rivitalizzare le scialbe "E' solo febbre" ed "Il paese è reale". Da una band della loro caratura è lecito attendersi sempre qualcosa in più di uno stanco cadeaux buono solo per maniaci completisti e curiosi dell'ultim'ora. (Claudio Lancia 5,5/10)
JOCELYN PULSAR - Aiuole Spartitraffico Coltivate A Grano (2012, Garrincha)
pop
Al quinto album, i pregi e i limiti della proposta di Francesaco Pizzinelli, in arte Jocelyn Pulsar, sono ormai noti. Da un lato c'è la capacità di far vivere a chi ha almeno trent'anni ricordi d'infanzia e di adolescenza con racconti in cui emergono situazioni o anche solo piccoli oggetti che credevamo di esserci dimenticati e con cui, invece, ognuno di noi ha avuto a che fare; dall'altro Pizzinelli non è mai stato in grado di uscire da questo spicchio, con lo spettro dell'eccesiva prevedibilità che si aggira sempre più minaccioso. Il problema di questo lavoro, in realtà, non è tanto la ripetizione dello stesso stile melodico e canoro e delle stesse tematiche nei testi, anche perchè il suono è più ricco e strutturato senza affatto perdere in leggerezza e, quindi, per l'ascoltatore di nuovi spunti in realtà ce ne sono. Il punto è che le intuizioni migliori di Jocelyn Pulsar, dal punto di vista proprio delle melodie e dei testi, appartengono al passato e non a questo lavoro. Canzoni belle come "Jennifer e la piazza" o "W la tecnologia", qui, semplicemente, non ci sono. C'è comunque un gruppo di brani senz'altro piacevoli e che si lasciano ascoltare con estrema facilità, quindi la sufficienza è raggiunta. Speriamo solo che in futuro Jocelyn Pulsar non solo mantenga la prorpia qualità media, ma ritrovi anche i propri picchi. (Stefano Bartolotta 6/10)
LIGHT SOUND DIAMOND - Demo (2012, autoproduzione)
alt-rock
Settembre 2008: Luca Risitano (chitarre) e Marco Mangraviti (voce e chitarre) delineano l'idea di un gruppo che, nonostante background artistici diversi, sia in grado di muoversi in una direzione ben definita. Insieme a Giuliana (basso, poi sostituita da Aldo Mollica) danno vita alla prima cellula dei Light Sound Diamond, ai quali si aggiungerà presto un batterista (prima Antonio Ramires, poi Checco Ghirlanda). Ad inizio 2010 la band ha già una bella esperienza live, e iniziano le prime session di registrazione, spunti realizzati interamente a casa di Luca. Il risultato sono le sette tracce contenute in questo esordio homemade che hanno scelto di intitolare "Demo" nonostante suoni alla grande e tutt'altro che grezzo. La dichiarazione d'intenti è chiarissima: essere i nuovi Verdena, se possibile con un piglio ancor più aggressivo rispetto alle recenti mosse del trio bergamasco. L'iniziale "Residui di Cristina", tanto per fare un esempio, è un gran pezzo di sanguigno ed elaborato alt-rock, che riporta alle meraviglie di "Solo un grande sasso". Già da sola varrebbe tutta l'attenzione del mondo, ma poi c'è molto altro: l'obliquo post grunge strumentale "Due Novembre", i Marlene Kuntz iper-anfetaminici di "Agite, godete e soffrite", le dissonanti dolcezze di "Telaio celeste" (nei pressi di certi Sonic Youth), le apparentemente più canoniche "Afta" e "Macchie d'inchiostro", la torrenziale "Il cerchio" che con i suoi otto minuti chiude egregiamente i giochi. Tanti riferimenti importanti, tutti puntellati senza mai sfigurare, mostrando una personalità davvero fuori dal comune. Chiamarlo "Demo" pare davvero svilente, avrei optato per un meno timido self titled, ma il risultato finale cambia poco, i contenuti sono comunque spettacolari. Da consigliare a tutti coloro che vanno ad un concerto dei Verdena e poi dicono "bello Wow, però quando fanno i pezzi vecchi è un'altra cosa". (Claudio Lancia 7,5/10)
ORYZON - Taste The Flavour Ep (2012, autoproduzione)
rock
Gli Oryzon sono un quartetto milanese formatosi verso la fine del 2005 e che, con questo, è arrivato al secondo Ep. I cinque brani sono caratterizzati da un forte impatto rock, ben controllato nel modo in cui le linee delle due chitarre si incorciano e anche nell'interazione complesiva dei diversi elementi tra loro, le chitarre, appunto, il cantato e la sezione ritmica. Melodie facili da ascoltare e che mettono una gran voglia di cantare ma che non sono facilmente assimilabili al primo ascolto, una buona capacità di inserire momenti nei quali si tira il fiato senza che cali la tensione, un suono pulito e impeccabile che però non attenua affatto l'importante carica emozionale dei diversi brani. Una prova riuscita, in definitiva, in un ambito, quello del rock epico e fortemente emotivo, ultimamente poco esplorato in Italia. I migliori nel campo rimangono sempre i bellunesi Planet Brain, ma questi Oryzon, se continuano così, sono sulla buona strada per spalleggiarli. (Stefano Bartolotta 7/10)
LA FINE DEL MONDO - Siamo nati lontano Ep (2012, Salmone Records)
spoken rock
Simone Molinaroli è un poeta, Alessio Chiappelli un chitarrista/compositore, Matteo Parlanti è un batterista, Simone Naviragni un bassista e Valentina Innocenti una danzatrice. Tutti insieme si fanno chiamare La Fine del Mondo ed hanno deciso di collaborare per contribuire all'incremento di percentuale di poesia nel mondo, raccontando la vertigine dell'esistenza degli ultimi uomini. "Siamo nati lontano" è il loro Ep d'esordio, uno spoken, un reading, un concerto rock, con tanto di chitarre fiammeggianti. Non c'è rimpianto in questi testi, solo constatazione, nessun chiostro di pietà, semmai un nuovo inizio all'alba della disfatta. Come giocolieri in equilibrio sull'abisso ci propongono una vertigine di rock, musica d'autore, pop umbratile e avanguardie assortite. Quattro tracce con un'impostazione prossima al piglio degli Offlaga Disco Pax, ma con gli accenti spostati dall'elettronica al rock, roba che va di moda di questi tempi. Dal punto di vista musicale di carne al fuoco ce ne è in abbondanza: "Forse un giorno fissammo l'orizzonte" è dark wave, "Illuminazione Nr. 1" ha le chitarre dei pezzi slow dei Marlene Kuntz con inserti di fiato dal sapore ispanico, la title track ha languori post rock, con tanto di crescendo elettrico finale, "Tutti siamo morti" ha mostruosi spiragli light noise. Ogni volta in cui ascolto qualcosa del genere ripenso alla meravigliosa parabola degli inavvicinabili Massimo Volume, pertanto non vedo l'ora di avere fra le mani il primo album de La Fine del Mondo per vedere come andrà a finire questa storia. (Claudio Lancia 7/10)
MERÇE VIVO - Lasortedelcanecheleccalalana (2012, I Dischi Del Minollo)
songwriting, rock
Quartetto torinese nato nel 2006 e giunto al secondo lavoro sulla lunga distanza, i Merçe Vivo propongono, con queste sette canzoni, un interessante tentativo di unire le suggestioni del songwriting a quelle di un suono rock curato ma allo stesso tempo un po' sporco. La maggior parte dei brani ha un'impronta decisamente elettrica sulla quale, però, si inseriscono efficaci linee di sax, e la voce appare sempre in equilibrio precario nell'interazione con la parte musicale, rimanendo a un palmo dall'essere coperta, ma è un effetto voluto e il bilanciamento rischioso e ardito trova sempre la quadratura del cerchio ed un risultato efficace e di buona personalità. Anche la voglia di mettere a confronto la pienezza del suono con un mood molto introspettivo non è certo una scelta facile di per sé, ma anche qui la fusione dei due elementi apparentemente in antitesi riesce. Ulteriori tocchi suggestivi sono dati da morbidi incroci tra due voci che viaggiano su differenti tonalità. Un disco davvero ben riuscito, quindi, e lo dice uno che si era approcciato all'ascolto in modo scettico, non avendo apprezzato per niente il debutto. Riscontrare un tale miglioramento è stata una sorpresa davvero graditissima e il consiglio, quindi, è quello di dare una chance a questo disco, anche se, come a me, non dovesse esservi piaciuto il precedente (Stefano Bartolotta 7/10)
DIVA - Il Paradiso Su Retequattro Ep (2012, autoproduzione)
pop
I Diva sono un trio proveniente da Padova, e talvolta diventano un quartetto con la collaborazione di un batterista. Questo loro primo Ep consta di sei tracce, ma due sono versioni alternative di canzoni già presenti nel lavoro e una è una cover di "Autostop" di Patty Pravo. Lo stile è puramente pop ed è improntato alla leggerezza: melodie immediate, canzoni ancorate allo schema strofa/ritornello, suoni altrettanto semplici e accomodanti, in alcuni casi più caratterizzati da tastiere e synth e in altre occasioni con la chitarra in primo piano. Anche il cantato e i testi, coerentemente con l'impianto musicale, non cercano voli pindarici. Il punto, in questi casi, è sempre lo stesso: si deve parlare di un lavoro interlocutorio e dimenticabile, vista la semplicità dei vari elementi, oppure è possibile riscontrare almeno un po' di qualità artistica? Perché si possa optare per la seconda risposta, normalmente è necessario che le canzoni vadano oltre al risultare un ascolto poco impegnativo, ma devono essere portatrici di una forza espressiva ben riconoscibile e non banale. Ed è proprio ciò che fanno la title track e "Narciso lava i piatti", non a caso i due brani riproposti anche nelle versioni alternative. Qui troviamo un tiro, un'ispirazione e una capacità di descrivere un immaginario davvero promettenti; queste due canzoni hanno davvero tutto per piacere, anche a un pubblico ampio. La citata cover di Patty Pravo e l'altro inedito "Un uomo, una donna" si lasciano ascoltare ma non convincono allo stesso modo. Insomma, le potenzialità per i Diva non mancano, sta a loro riconoscere i propri punti di forza ed esprimerli al meglio in futuro. (Stefano Bartolotta 6,5/10).
EPO - Ogni cosa è al suo posto (2012, Polosud Records)
pop-rock
Trio di Napoli nato nel 2000, gli EPO giungono al terzo album, a cinque anni di distanza dal precedente "Silenzio Assenso". Nella biografia della band si accenna alla necessità di tornare a suoni più scarni e ad atomosfere più intime come motivazione di un periodo di tempo così lungo prima di riproporsi sulla lunga distanza. Effettivamente, queste dieci canzoni rappresentano altrettanti episodi di pop/rock senza frozoli, dal punto di vista delle melodie, del suono, del cantato e dei testi. anche la ricerca delle atmosfere intime è ben presente e tutto il disco ha un tono senz'altro introspettivo, anche quando le chitarre si elettrificano. Il disco è solido e senza punti deboli dall'inizio alla fine; manca, però, almeno una canzone davvero forte, che faccia saltare l'ascoltatore dalla sedia. Poco male, comunque: meglio un disco con tute canzoni di discreto livello che merita di essere ascoltato tutto piuttosto che un lavoro con pochi picchi e molti riempitivi, tanto più che in questo lavoro è anche riscontrabile una buona varietà negli arrangiamenti, tra chitarre elettriche e acustiche da un lato e tastiere e pianoforte dall'altro. Diciamo che questo lavoro può essere considerato come una ripartenza ben orchestrata ma che non è riuscita a concretizzarsi in gol, ma nulla impedisce di pensare che alla prossima azione manovrata l'obiettivo sarà raggiunto. (Stefano Bartolotta 6,5/10)
SYNDONE - La bella e la bestia (2012, NMS)
neo-prog
I Syndone sono uno storico gruppo torinese attivo nell'area neo-prog dal 1989. Dopo un paio di album si sciolsero per riformarsi due anni fa con la pubblicazione di "Melapesante". Accanto all'unico superstite della prima line up Nik Comoglio (piano, tastiere) oggi ci sono Riccardo Ruggeri (voce ed autore di tutti i testi) e Francesco Pinetti (percussioni assortite), oltre ad un'intera orchestra pronta a sostenerli. "La bella e la bestia" è il quarto disco dei Syndone, un concept basato sulla rilettura attraverso gli occhi dell'uomo moderno della celebre fiaba di Beaumont. Un lavoro imponente che prende le sembianze di una vera e propria opera rock. Il romanticismo prog dei Genesis si arricchisce dell'imprevedibilità dei Mothers Of Invention (soprattutto in certi inserti di fiati) e delle bordate tastieristiche alla Keith Emerson, ricercando quella scrittura polifonica tanto cara ai migliori Gentle Giant. Nel disco svettano le partecipazioni del membro fondatore dei Moody Blues Ray Thomas (al flauto in un paio di tracce), e del celebre produttore Greg Walsh (importanti collaborazioni anche con Lucio Battisti) che ha dato una mano in cabina di regia. Il mastering è stato curato negli Abbey Road Studios di Londra. Il risultato finale, secondo le parole di Nik Comoglio, rappresenta l'idea di come i Syndone intendono la musica prog nel 2012. (Claudio Lancia 6/10)
ARABESKI ROCK - Il viaggio (2012, Virtual Studio)
world, fusion, rock
Musiche da "mille e una notte" nel lavoro d'esordio degli Arabeski Rock, band romana capitanata dal chitarrista Tiziano Novelli che si rifà apertamente alle fascinazioni di terre mediorientali e nord-africane. Influenze arabe innestate in strutture occidentali, in una sorta di nouvelle world music, pronta ad accogliere i sapori e gli odori che oggi, grazie ai voli charter e agli imponenti villaggi vacanze last minute, siamo un po' tutti in grado di sentire meno lontani. Le sensazioni dei Tinariwen si adagiano su tessuti classic rock (con lievi venature prog) di matrice seventies, sviluppando uno scenario multiculturale, rafforzato dalla presenza del percussionista egiziano Ashrad Saif. Ethno-rock che si caratterizza per la vastità del linguaggio e l'ampiezza delle connessioni, una bella vetrina inaugurata dall'egregia "Cargo", alla quale seguono altre otto tracce, prevalentemente strumentali che tendono la mano ai suoni del mondo arabo. Non ha la portata rivoluzionaria di un "My Life In The Bush Of Ghosts", ma "Il viaggio" si pone comunque come un buon ascolto, alternativo alla piattezza diffusa dai network radiofonici e da "Sua Patinatezza" MTV. Semmai si avvicina alle etnicità scaturite da certi slanci di Andy Summers (basti ricordare "Behind My Camel" o "Bombs Away" su "Zenyatta Mondatta") o al jazz rock dei Brand X (andatevi a ricercare almeno "Nightmare Patrol" sullo splendido "Livestock" del 1977). (Claudio Lancia 6/10)
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