Steve Winwood
Auditorium Parco della Musica
Roma
3 ottobre 2010
Come mettersi nei confronti del tuo idolo di gioventù, quando finalmente torna a pochi chilometri da casa tua, e porti mezza famiglia, e metti nello zaino per l'autografo il fotolibro che è ispirato a lui e ai suoi amici di viaggio astrale, e ti aspetti che, ancora una volta, quella voce ti porti in luoghi che sono stati fra i migliori della tua vita? Come mettersi quando, a famiglia felicemente fotografata e libro autografato, esci nella notte e senti che qualcosa non quadra?
Provo a raccontare. A 62 anni, portati alla grandissima, Winwood è depositario di un patrimonio di incalcolabile valore, una sostanziosa fetta di storia del rock. Prima prodigio del blue-eyed soul degli anni 60, con quei due classici scritti da teenager ("Gimme Some Lovin'" e "I'm A Man") che ancor oggi può orgogliosamente inserire in qualsiasi scaletta, cum laude. Coi Traffic mi/ci ha portato in un reame capace di incorporare evocazione e magie, tradizione e avanguardia, riempiendo il vaso delle possibilità con un debordante fiume di ispirazione: alterna, sempre precaria, ma ogni volta unica. Stile ed emozione, jazz e folk e rock e blues, pochissimi lo hanno saputo fare a quel livello. Una lunga carriera solista che gli ha dato successo, visibilità, stima, glorie imperiture (per me era valido già vent'anni prima, ma si sa come vanno le regole e i tempi del mercato...). Negli ultimi anni, il percorso solista si è stabilizzato su un flusso di album eleganti, di discreto successo, senza canzoni memorabili. Come molti della sua generazione, peraltro.
Da un artista così, che ha davvero messo più di un mattoncino nella tua vita (sappiamo tutti dei miei i vari intrecci intorno a Mr. Fantasy, giusto?), ti aspetti che ogni volta sia un evento. Almeno emotivo, almeno per te. Alcuni artisti ne sono capaci, vedi - con tutti i distinguo - Peter Gabriel. Steve è però un artista old school: musicista e solo in minima parte showman, per creare un evento live che sia memorabile ha bisogno, per esempio, del vecchio amico Eric. Li abbiamo visti, a Berlino, e nonostante una serata probabilmente non delle migliori, c'era in pista un grande show: talento e classe da vendere, finezze che uscivano da tutte le parti, e una scelta di repertorio perfetta. Il meglio di entrambi, più classici del blues e dei loro contemporanei (la cover di "Voodoo Chile", che anche Jimi avrebbe sottoscritto, sicuro), grande band e super-suono perfetto. I brividi c'erano.
Lo Steve solista di ieri sera aveva un sapore molto diverso. Forse un filo di non necessaria promozione (buona parte della scaletta costruita sul recente "Nine Lives"), buchi neri nel repertorio (si può dimenticare "Glad", "John Barleycorn", "While You See A Chance"?), una band competente ma non stellare. Divertimento sì, emozioni vere poche, devo essere sincero. Più qualche stranezza un po' così: il suo abituale, meraviglioso solo di pianoforte al centro di "Low Spark" sostituito dalla chitarra (non sua), forse un'eredità del tour con Santana (la cui Gibson, però, è un dono di Dio), mi è sembrato un po' sacrilego. Non si uccide così un ricordo (...scherzo Steve, non te la prendere, fa' quello che vuoi, ma ricordati che ci siamo anche noi).
Poi, sia ben chiaro, Winwood sempre Winwood è. Canta ancora alla grande, il suo timbro è pura gioia anche per il "terzo orecchio", quello dell'anima. Il suo Hammond (che ogni tanto ha bisogno di manutenzione in corso d'opera) sa farlo viaggiare pieno e ricco di quelle squassanti, melodiche, regali ondate sonore che nessuna tastiera elettronica saprà mai regalarci. Quando le jam erano intorno a pezzi veri, come su "I'm a Man", c'era una bella goduria sulla faccia di tutti, e uno Steve così sorridente e divertito, che lanciava occhiate e ringraziava felice, non lo avevo mai visto. Solo che forse, con quella voglia di fare jam, e strecciare i pezzi molto più del solito, e dimenticarsi qualche pezzo di troppo della sua storia, il luogo ideale era un piccolo club, chessò Blue Note o Piper, dove si sudasse tutti un po' di più, non si stesse in poltrona guardati a vista dalla security, con un missaggio lontano che ovattava la chitarra nei momenti chiave ("Dear Mr Fantasy" sembrava uscire da sotto una coperta). Dove tutto quel ritmo batteria-percussioni servisse a far ondeggiare qualcuno, magari a fare il bis in piedi a fronte palco.
Vabbè, se pensate che parli un po' da vecchio fan troppo carico di aspettative, chiedo scusa. Magari i pezzi più recenti non li conoscevo a memoria, magari Steve si è scocciato di frugare nel catalogo, magari tre-quattro pezzi più tosti alla fine creavano più climax. O, semplicemente, bisogna saper accettare, e non chiedere di più. C'è chi si è divertito parecchio, c'era chi non lo aveva mai visto e ha fatto bene a non perdersi l'occasione. Questi artisti hanno plasmato la vita emotiva di tante persone, una loro serata normale è sempre un distillato prezioso. Il primogenito ha fatto ripasso di due ore di storia del rock (e di papà), Mrs Fantasy era raggiante. I fan fuori, nella notte romana, erano tanti e appassionati. Per tutti gli altri, farsi una playlist di Steve Winwood è sempre una opzione di ascolto di musica sublime. Scalettatela bene, però, mi raccomando.
Playlist:
1. Different Light
2. I'm A Man
3. Hungry Man
4. Can't Find My Way Home
5. Dirty City
6. Fly
7. At Times we Do Forget
8. Light Up Or leave Me Alone
9. Low Spark/ Empty Pages
10. Higher Love
Bis:
11. Dear Mr Fantasy
12. Gimme Some Lovin'
Foto di Carlo Massarini
Scheda dei Traffic |