Michele Tempera

The Doors attraverso "Strange Days"

Titolo: The Doors attraverso "Strange Days"
Autore: Michele Tempera
Editore: Youcanprint
Pagine: 177 pagine
Prezzo: 13 €

Michele Tempera - The Doors attraverso Strange DaysTra gli appassionati della musica dei Doors, il partito degli strangedaysiani - al quale chi scrive si fregia di appartenere da sempre - è notevolmente cresciuto negli ultimi anni. Considerato per molto tempo poco più che una raccolta di outtake dal monumentale esordio omonimo “The Doors”, il secondo album di Jim Morrison e compagni è progressivamente lievitato nella considerazione generale, al punto che oggi non appare (più) blasfemo affermare di preferirlo al pur leggendario debutto.
A dare un contributo alla causa, giunge ora anche questo volume firmato da Michele Tempera, “The Doors attraverso Strange Days”, che oltre a proporsi come analisi esaustiva e articolata dell’opera seconda della band californiana, cerca di inserirla anche nel complesso contesto culturale e storico dell’epoca, evidenziando i legami tra la controcultura americana degli anni 60 e le tensioni esistenziali che emergono dalle canzoni.

Uscito il 25 settembre del 1967, nove mesi dopo l’Lp d’esordio, quando quest’ultimo era ancora in classifica – circostanza che avrà un indubbio effetto negativo sulle vendite - “Strange Days” si avvale anzitutto di un salto di qualità tecnologico. Come scrive Tempera, “i Doors iniziano a trasformare le canzoni in qualcosa di più sperimentale e fuori dagli schemi”, sfruttando soprattutto tre elementi: l'uso di un’ampia gamma di strumenti, tra i quali fa la sua comparsa un avveniristico sintetizzatore Moog; frequenti distorsioni, applicate sia gli strumenti che, talvolta, alla voce; il ricorso a numerose sovraincisioni, eseguite successivamente rispetto alla traccia principale del brano. Un ambizioso progetto sperimentale reso possibile anche dalle maggiori risorse messe a disposizione della band: lo studio di registrazione, il Sunset Sound di Los Angeles, aveva infatti appena terminato di aggiornarsi alle più moderne tecnologie attestandosi all'avanguardia nel settore. Morrison e compagni potevano quindi beneficiare di un supporto tecnico di prim’ordine, valorizzato ulteriormente dalle competenze del tecnico del suono Bruce Botnick e dal produttore del debutto, Paul A. Rothchild. Tutto più curato e sofisticato, dunque, inclusa la stessa registrazione del disco, che passerà da quattro a otto piste.

The Doors - Strange DaysMa “The Doors attraverso Strange Days” mira soprattutto a mettere in luce la qualità compositiva del disco, sottolineandone il fil rouge rappresentato dal carattere psichedelico delle sue canzoni, in un clima influenzato dalla fresca uscita di “Sgt. Pepper’s” dei Beatles. Se infatti “The Doors” aveva schiuso le porte della percezione di huxleyana memoria attraverso una serie di cerimoniali lisergici e baccanali collettivi, “Strange Days” è più intimamente psichedelico: come un viaggio introspettivo diretto a scandagliare i recessi più bui della mente. La chitarra di Robby Krieger accumula tensione riff dopo riff, la batteria di John Densmore è tribale e marziale, mentre i giri delle tastiere di Manzarek suonano ancor più ipnotici. Anche i testi di Morrison si fanno più personali e decadenti, narrando storie di quotidiana alienazione e solitudine, sapientemente drammatizzate dalle sfumature del suo baritono.
Nei suoi dodici capitoli, ricchi di dettagli e approfondimenti (con più di 200 note), "The Doors attraverso Strange Days" scandaglia gli arrangiamenti, la strumentazione, le tecniche, gli effetti sonori e la struttura del disco: tutto viene in qualche modo “decodificato”, a uso e consumo del lettore, a partire dalla leggendaria intro della title track con l’organo di Manzarek filtrato attraverso l’altoparlante Leslie, i rimbombi del basso come colpi di cannone e quell’assurdo, lunare Moog ad avvolgere la voce spettrale, rifratta dall’eco, di un Jim Morrison più sciamanico che mai. A ogni canzone viene riservata un’apposita trattazione, che ne approfondisce gli aspetti tecnici e lirici.



Tempera si sofferma spesso sull'interazione tra parole e musica, con l’intento di sottolineare come il secondo Lp della band californiana rappresenti anche una profonda riflessione sui cambiamenti sociali e culturali in corso negli Stati Uniti.
Se il primo album, infatti, era legato alle energie di una Los Angeles piena di promesse, “Strange Days” inizia a mostrare le crepe nel sogno americano, in un clima sempre più pervaso da alienazione, disillusione e ribellione. In tal senso, cardinali due brani come “People Are Strange” e “You're Lost Little Girl”, espressione della frustrazione esistenziale di Morrison e della sua disillusione verso la società americana. “People Are Strange”, in particolare, viene letta come manifesto di quell’alienazione urbana, in cui Morrison articola il senso di distacco e straniamento che caratterizzava la sua percezione del mondo, dalla sua prospettiva di outsider che osserva con inquietudine il comportamento delle persone, descrivendo un mondo alienato e distorto, specchio delle sue stesse lotte interiori. Un mondo che non sa più riconoscere “l'acceso stupore di fronte a una bellezza ancora viva nella natura”, testimoniato dalla doppietta “Horse Latitudes”-“Moonlight Drive”.
Allo stesso tempo, Tempera non manca di sottolineare il carattere epico e apocalittico di “When The Music's Over”, che nei suoi oltre 10 minuti, incarna l'anima più sperimentale e free della band, con un crescendo che porta a un'esplosione sonora e lirica in cui Morrison si interroga sul significato stesso della musica e dell'arte. La ripetizione della frase "We want the world, and we want it now!" diventa così un nuovo grido generazionale, una dichiarazione di sfida contro l'establishment e contro l'apatia culturale, che l’autore definisce come “un rituale elettrico senza tempo celebrato attorno al fuoco sacro della musica dalla passione viscerale del canto dalle danze ora statiche ora sfrenate degli strumenti dall'orizzonte sconfinato che il brano trova nella morte”. Un atto finale che – si sottolinea ancora nel libro – evidenzia “la frattura tra generazioni e tra le loro rispettive aspirazioni che percorre l'intero lavoro, raccogliendo la voce della protesta giovanile con le sue fragilità e le sue contraddizioni, le sue paure e la sua vitalità”.

Al netto di qualche passaggio fin troppo tecnico e minuzioso, che rischia di appesantire un po’ la lettura, "The Doors attraverso Strange Days" si rivela dunque un prezioso vademecum per decifrare il mistero di un disco che ad oggi ci appare il più moderno dei Doors, forse anche perché racconta un senso di straniamento e desolazione non così distante da quello che viviamo in questi (strani) giorni. Allora, era un presente listato a lutto (la guerra del Vietnam, gli omicidi di John F. Kennedy e Martin Luther King, i rigurgiti del Ku Klux Klan) a guastare la festa ai figli dei fiori della Summer of Love. Ora, è un presente funestato dalle guerre e dall’emersione dei populismi più violenti e razzisti a preannunciare un futuro denso di angosciose incognite.
Strange days have found us. Oggi come allora.