Due pietre miliari cruciali per il pop-rock elettronico degli anni 80 - "Vienna" degli Ultravox e il debutto solista del loro ex-leader John Foxx, "Metamatic" - al centro della nuova puntata di Rock in Onda, il programma condotto da Claudio Fabretti tutti i mercoledì dalle 12 alle 14 sulle web-frequenze di Radio Città Aperta (www.radiocittaperta.it).
Due capolavori che sanciscono una dolorosa scissione e la nascita di due partiti contrapposti: uno fedele anche al nuovo corso degli Ultravox targati Midge Ure, l'altro irrimediabilmente legato all'ex-leader e al suo anatema contro i reduci. Ma la realtà è che si tratta di due scintillanti capolavori, che hanno gettato le basi per l'evoluzione dell'intera new wave nel decennio sintetico per eccellenza. Li raccontiamo in questa puntata, grazie anche all'aiuto del redattore di OndaRock Marco Bercella.
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Ultravox - Vienna / John Foxx - Metamatic
Orfani di Foxx, gli Ultravox sono in un vicolo cieco. Billy Currie, momentaneamente disoccupato, affoga la sua malinconia nelle notti retro-glamorous del Billy's, un club londinese di Soho in cui il dj Rusty Egan, ex-batterista dei Rich Kids, professava tutta la sua Bowie-dipendenza in un evento settimanale di nome "A Club For Heroes". Un manipolo di inguaribili romantici, eccentricamente abbigliati, tra vistosi make-up, vaporose acconciature, parrucche e abiti aristocratici, si forma attorno a queste serate danzanti, che mescolano il Duca Bianco ai Kraftwerk, le suggestioni cinematografiche d'antan al nascente electro-pop. La congrega si allarga e mette radici nel più ampio Blitz, un locale londinese in cui, oltre a Egan, si fa strada il suo coinquilino Steve Strange: uno stravagante dandy irlandese con un passato di commesso nello spaccio di una base militare. Insieme, Egan e Strange fissano le coordinate della nuova estetica New Romantic. La loro creatura musicale si chiama Visage ed è un incredibile supergruppo, che, insieme ai due sodali, annovera il trio delle meraviglie dei Magazine - John McGeoch, Barry Adamson e David Formula - e proprio Billy Currie, oltre a un cantante e chitarrista scozzese di nome Midge Ure, componente dei Slick e dei The Rich Kids (con Egan e l'ex-Sex Pistol Glen Matlock). Il frutto prelibato di tanta grazia è una fantastica ballata di dance atmosferica in puro stile new romantic, dall'accattivante titolo di "Fade To Grey"...
Non bastasse la loro breve parabola, i Visage resteranno sempre benemeriti nella storia del rock per aver fornito l'occasione agli Ultravox di una seconda vita. Currie, infatti, vede in Ure il frontman perfetto per una rinascita della band e richiama in servizio Cross e Cann. Il gruppo firma con la Chrysalis Records e pubblica "Vienna", affresco neoromantico di un'Europa corrosa dalla decadenza e raffigurata con scenari retro-glamour, ma capaci di gettare uno sguardo inquieto sul futuro
In quel periodo il punk volge ormai al tramonto. In Gran Bretagna cominciano ad affacciarsi i primi gruppi di synth-pop e di dark-punk. E si fa largo tra le nuove generazioni un umore più quieto e malinconico, destinato a pervadere l'intero decennio 80. Gli orfani di Foxx riescono a catturare lo spirito del decennio, sintetizzandolo in una nuova formula musicale. Per Midge Ure i nuovi Ultravox sono "una rock band che usa il sintetizzatore". Nasce così un sound che farà dell'equilibrio tra sperimentazione elettronica e melodismo crepuscolare la sua chiave di volta. Sontuosi sintetizzatori, ritmi ossessivi, virtuosismi di violino e tesi assoli di chitarra ne saranno i principali ingredienti.
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Via gli orpelli che facevano (e faranno, anche nella veste più "pop" del nuovo corso post-Foxx, capeggiato dallo scozzese Midge Ure) unico, ricco e bellissimo il sound degli Ultravox, tanto quelli più "barocchi" quanto quelli più rock, Foxx (al secolo Dennis Leigh) si rinchiude in una sorta di programmatico isolamento, con la sola "compagnia" musicale dei suoi sintetizzatori, portando alle estreme conseguenze quella che già era stata l’evoluzione verso la quale aveva condotto il suo gruppo, dalle ceneri del punk e della new wave verso una musica a forte componente elettronica e "sintetica". Foxx abbraccia ora senza mezzi termini il synth-pop, allora non ancora moda imperante di un decennio come sarebbe diventata nelle sue derive più banalmente commerciali, bensì moda "intellettuale" alla quale si convertivano, con risultati più o meno validi, artisti provenienti sia dal punk, come Gary Numan (oltre allo stesso Foxx), sia dall’avanguardia, come gli Orchestral Manoeuvres In The Dark o gli Human League.
Foxx rifugge la ricerca del facile successo, non è questo il motivo per il quale si serve del synth-pop: l’obiettivo è semmai mettere in scena raggelanti psicodrammi nei quali la voce è lasciata sola ad aggirarsi in un labirinto dalle pareti di metallo, avvolto nella penombra. Figlio "naturale" dei Kraftwerk e di Brian Eno, Foxx mette in scena quella stessa "land of technology" che nutriva gli incubi e i pensieri della new wave e della musica industriale, della quale si comincia a nutrire anche la nascente cultura cyberpunk. Ma se le tematiche sono spesso comuni, l’approccio distaccato e aristocratico dell’ex-leader degli Ultravox lo rende fin da subito un caso pressoché unico. Il suo non è più un disco che mette in scena la "paura" della tecnologia e il relativo tentato "esorcismo" di quella paura come da manuale della new wave, è piuttosto il quaderno di appunti di un osservatore che si aggira attraverso gli scenari ultra-moderni della metropoli, della quale si limita a osservare, ascoltare e catturare lo spirito.
La pionieristica e immensa opera dei Kraftwerk, che teorizzarono e dimostrarono le potenzialità degli strumenti elettronici applicati al "pop", oltre che riuscire nell’impresa impossibile di dare "calore" a una musica per sua stessa natura "fredda" e anti-emozionale quale l’elettronica, è un tesoro del quale Foxx si serve per creare sfondi e scenografie nelle quali ambientare i suoi canti desolati, freddi e robotici proprio come la sua musica eppure frementi di vita e di espressività.
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