Autore: Simone Nigrisoli
Titolo: Walk This Way - La subcultura Hip Hop dagli Stati Uniti all'Italia
Editore: Europa Edizioni
Pagine: 146
Prezzo: Euro 13,90
Questo libro l’ho letto al contrario, partendo dalla bibliografia, una parte sempre troppo sottovalutata che spesso cela grandi significati, in special modo nel caso di un volume come questo, dove si spazia con naturalezza da Gramsci a Damir Ivic, dalle enciclopedie del rock ai trattati socio-politici.
Perché l’hip hop è un raccoglitore di idee, stili, influenze, nel quale riesce a confluire l’immaginario omofobo del gangsta-rap ma anche quello anti sistema dei centri sociali, le inflessioni romantiche del rap più commerciale e le più concitate invettive fatali.
In questo agile saggio dal taglio fortemente sociologico, Simone Nigrisoli delinea un quadro esaustivo della subcultura hip hop, e della musica rap, che ne costituisce una delle principali espressioni artistiche. Un fenomeno nato a New York agli inizi degli anni 70 e diffusosi in tutto il mondo a partire dal decennio successivo, con caratteristiche non sempre allineate con i principi fondanti, differenziandosi anche in maniera rilevante da paese a paese.
L’autore parte dalle fondamenta, dall’analisi del concetto di “subcultura” e dalla sua evoluzione, scandagliando le principali subculture giovanili che si sono susseguite negli ultimi decenni, in particolare negli Stati Uniti e in Inghilterra, dove sono state in grado di interpretare, e in alcuni casi di sollecitare, la perdita del consenso culturale della classe dominante, imponendosi a volte anche in modo spettacolare, come nel caso dei punk nella Londra del 1977.
Nella seconda parte del libro vengono spiegate le caratteristiche della subcultura hip hop americana e le particolarità della musica rap. Sbocciato nel South Bronx, dove crew di break boy e dj si sfidavano esibendosi pubblicamente per guadagnarsi il rispetto altrui, grazie al megafono massmediatico di dischi e film l’hip hop mirerà sempre a infiltrarsi nelle stanze del potere, non per soverchiarlo, ma per assicurarsi dei benefici: un’opportunità per riscattarsi e migliorare la propria vita per coloro che provenivano dai bassifondi delle grandi metropoli americane.
Un viaggio che parte dai pionieri Afrika Bambaataa e Grandmaster Flash e giunge sino ai giorni nostri, passando per Run DMC, Cypress Hill e tutte le grandi icone del genere, tratteggiando l’evoluzione di un fenomeno socio-culturale che saprà gradualmente sdoganarsi in tutto il mondo.
Nell’ultima parte il discorso si incentra sul movimento hip hop italiano e sul rap europeo, attraverso l’analisi del concetto di appropriazione di una cultura straniera e della sua rielaborazione in ambito locale. Nigrisoli inquadra in particolare il caso Italia: nella nostra penisola la diffusione delle subculture parte spesso come fenomeno di emulazione di quelle del mondo anglosassone, tranne il caso – prettamente italiano – dei “paninari” negli anni 80.
Spesso legata agli ambienti della sinistra extraparlamentare, la scena hip hop italiana si sviluppa inizialmente all’interno dei centri sociali, sfruttando una rete d’informazione e diffusione alternativa e indipendente: una subcultura underground non influenzata dai media mainstream. Solo negli anni 90 si afferma una seconda generazione di artisti che si allontana dai contenuti politicizzati, orientandosi verso la commerciabilità del prodotto, con contenuti che includono temi sentimentali e quotidiani. Molti di questi artisti riusciranno anche a raggiungere un ampio successo, come Neffa e gli Articolo 31.
Si analizza anche il declino delle subculture, in un’epoca nella quale l’aggettivo “giovanile” tende a perdere peso: le forme di appartenenza legate alla musica e allo stile si fanno sempre più trasversali rispetto all’età, dando vita a vere e proprie scene trans-generazionali, assolutamente sconosciute nei decenni precedenti.
Chiudono il volumetto tre interviste realizzate a Ice One, Assalti Frontali e Rula degli ATPC, aventi l’obiettivo di approfondire l’evoluzione e la storia dell’hip hop italiano, passando al setaccio tre concezioni completamente diverse: la “cultura del muretto” (dal 1982 al 1990), la collaborazione con i centri sociali (dal 1990 al 1995) e la “Golden Age” del rap italiano (dal 1995 al 2000).