Tony Conrad

La teoria dell'eterno ritorno

Tony Conrad (nato nel 1940 a Concord, nel New Hampshire; Usa) è uno dei principali esponenti del minimalismo storico nonchè una delle figure più elusive ma determinanti nella musica del XX secolo. Violinista, compositore e artista visivo, ha introdotto l'idea di "musica eterna" legata a una nozione di tempo indefinitamente dilatato mentre in ambito visivo ha indirizzato la sua ricerca sul filmmaking e sulla videoarte, dando un contributo unico alla filmografia sperimentale. Nel 2008, su invito del  curatore Mark Webber, esporrà nel prestigioso spazio della Turbine Hall nella Tate Gallery a Londra. Onda Rock l'ha intervistato in esclusiva.

Quali sono state le prime influenze che hanno determinato il tuo interesse per gli aspetti reiterativi o per gli elementi architettonici che avrebbero definito le coordinate della musica cosiddetta “minimale”?
Piuttosto che parlare di influenze, credo sarebbe più opportuno affermare che m’interessasse il suono e, in particolare, il suo nucleo musicale. Trovo che le persone interpretino come una sorta di magia l’ascoltare i suoni, le intonazioni e osservare come queste possano combinarsi tra loro; da quando ho incominciato a dedicarmi al violino, ad esempio, ho capito che più ci si focalizza sul suono, sulla sua energia e su quella delle sue molteplici combinazioni, più si sviluppa capacità d’ascolto. Questa specie di disciplina è stata determinante per la mia formazione.
Un’altra importante influenza è stata la mia esperienza nella “nuova musica”; ovvero quando, da giovane, studiai la musica d’avanguardia. Ricordo di aver discusso assieme al mio amico Henry Flynt dell’idea che nulla necessitasse di essere “nuovo” e che tale concetto, nel modo in cui Henry lo delineò, assurgesse ad un qualcosa di artificioso e corrotto. Ciò stimolò in me l’esigenza di approcciare all’ascolto in maniera molto semplice e diretta, accettando senza sofismi il puro piacere suscitato da tale momento. E’ stata una risposta esauriente?

Altrochè! Tutto ciò lascia presumere che la tua proposta artistica abbia come prerogativa l’”intuizione” piuttosto che il “concetto”. Ad esempio, quando diciamo “architettonico" intendiamo generalmente un concetto ideale di edificio, mentre il nucleo dell’idea stessa – come hai detto – è correlato perlopiù ad una disciplina interiore che richiede concentrazione. Sei d’accordo?
Credo che la combinazione tra “intuizione” e “concetto” sia alla base del mio lavoro sulla reiterazione dei suoni; il modo con cui tale interazione sia stata concettualmente e direttamente collegata ad un’idea rivela quanto la cultura “progressiva" non sia un effettivo veicolo di espressione e che in tutto ciò risieda qualcosa di sbagliato, volto a mostrare ulteriori contraddizioni. Inoltre, credo sia stato utile frequentare John Cage che, in quel momento, identificai come colui che riuscì ad assegnare al compositore un nuovo ruolo in base al quale le partiture sono secondarie al desiderio e all’interesse dell’ascoltatore. In questo caso, credo che il prossimo passo sarà quello di articolare nuove proposte musicali che abbiano l’obiettivo di escludere completamente il compositore dall’opera! Questo sì sarebbe un orientamento prettamente concettuale di un progetto essenziale.

(Fatta eccezione per i problemi legali relativi ai diritti d’autore, che sono ben documentati) cosa ti è rimasto delle tue prime esperienze musicali che ti vedono coinvolto assieme a La Monte Young, Marian Zazeela, Angus MacLise e John Cale?
Ho imparato tantissimo da La Monte, così come lui da me. Da La Monte ho appreso come esercitarmi con la musica, in quanto era la persona a cui più premeva preservare l’unità, la coesione del sound del nostro collettivo. Non è una cosa da poco, questa! Oggi, questo ruolo è generalmente disciplinato dal denaro; ciò significa che si è sempre più spesso agganciati a strategie commerciali e a logiche di mercato, mentre prima l’unico legame era la generosità di qualcuno che potesse finanziare il progetto. All’inizio eravamo tutti quanti dediti a un obiettivo che procedeva da un ideale e questo per me era molto importante: quando sei giovane, hai la sensazione di come poter raggiungere i tuoi obiettivi, ma hai la necessità che le tue ambizioni siano suffragate da un continuo esercizio. Inoltre, ritengo sia stato molto importante focalizzare l’attenzione sul concetto di “lunga durata” e, in generale, concepire la “durata nel tempo” come vera e propria struttura artistica alla quale potessi rapportarmi; è stato decisivo avere la consapevolezza della lunga o breve durata del tempo e del modo in cui questi nuovi tipi d'approccio potessero relazionarsi tra loro all’interno di un contesto culturale (un po’ come accadde quando s’iniziò a considerare l’evoluzione storica in modo nettamente diverso da come eravamo abituati a fare prima di leggere Foucault). Ci sono tante piccole cose che ho acquisito da ciascuno dei nomi che hai citato, così come ce ne sono diverse parecchio importanti. Specialmente da John Cale, il cui contributo alla mia formazione è stato particolarmente rilevante.

Te la senti di raccontarci  queste “piccole cose” o, al limite, qualche aneddoto, qualche curiosità riguardo al tuo rapporto con tali persone?
Una volta, Angus (MacLise, batterista della prima incarnazione dei Velvet Underground; lasciò tuttavia il gruppo prima che venisse dato alle stampe il celebre esordio discografico: non poteva concepire di guadagnare facendo musica, ndr) mi chiese se potesse suonare il violino; il suo interrogativo mi fece tornare alla mente quando si domanda: “sai suonare il violino?” e ci si sente rispondere “non so, non ho mai provato!”. Trovai strana la sua richiesta e risposi “certo, sicuramente!”, passandogli lo strumento. Angus imbracciò il violino e inziò ad estrarne suoni mai uditi! Fui così meravigliato che compresi con chiarezza l’importanza e la completezza dell’approccio percussivo nei confronti di qualsiasi esecuzione musicale. A volte mi chiedo come mai io stesso non abbia mai pensato di imparare a suonare strumenti percussivi come tastiera o batteria…

Sono ormai trascorsi più di quarant’anni da quando il “minimalismo" inziò ad essere considerato un importante movimento musicale. Se tenessimo conto di quanto afferma Philip Glass, dovremmo considerare il “minimalismo" come un’esperienza conclusa, superata. Benché la tua carriera ti abbia spesso portato al di fuori di tale corrente, in che modo credi che possa essere valida ancora oggi?
Iniziammo a delineare questo tipo di approccio alla musica tra il ’62 e il ’ 63: la parola “minimalismo" non era mai stata udita prima e, come sai, questi termini hanno le loro proprie dinamiche. L’accezione di “minimale” può essere applicata ad una molteplicità di cose e ha avuto un’importante riscoperta durante gli anni Novanta. Soprattutto, credo rappresenti una parte di un fenomeno musicale, una sorta di “eterno ritorno” in funzione al quale la musica torna alle proprie radici in una forma piuttosto che in un’altra. In questo modo la cultura diviene più complessa, la gente più competitiva e, ad un certo punto, ci sarà una rivoluzione che determinerà un “azzeramento" secondo cui ciascuno dovrà rivolgersi indietro e ricominciare da dove ha iniziato concependo musica, suono e melodia attraverso nuove forme. Come sai, il fenomeno del rock’n’roll esplose come reazione alla complessità della musica popolare proposta dai musical di Broadway, a quel modo di comporre in voga allora, alla Beat Generation e all’imponente sound delle epoche precedenti. Analogamente, il minimalismo è da intendersi come una reazione alla complessità della musica seriale moderna e… Mi chiedi se è ancora valido? Beh, sappi che varca un territorio di espressione che comprende alcuni aspetti della semplicità ma che non è mai stato pienamente sviluppato, approfondito; in virtù del fatto di essere uno dei promotori dell’intero movimento, posso dirti che m’interessa lavorare attraverso le ulteriori opportunità che sta offrendo questo ritorno alla semplicità. Ci sono parecchie cose che altre persone non hanno fatto che m’interesserebbe portare avanti…

Il tuo contributo all’universo del rock, inclusi i tuoi lavori solisti e le collaborazioni, è stato profondamente significativo attraverso tutti questi anni. Qual è il tuo rapporto con la “musica popolare”? Hai mai concepito il tuo lavoro come tale?
Durante il periodo a cui appartengono i miei primi lavori minimalisti, ascoltavo parecchio pop e, proprio allora, i miei amici John Cale, Lou Reed e Angus MacLise  diedero vita ai Velvet Underground, un gruppo che ebbe parecchio a che fare con l’abbattimento delle barriere tra arte musicale e musica popolare. Mi affascinava l’idea che le qualità più esoteriche della cosiddetta “art music” potessero essere smembrate e che le possibilità di ascoltare la musica pop potessero espandersi qualitativamente. Così, quando permisi alla Caroline Records di realizzare "Outside The Dream Syndicate" (in collaborazione con alcuni membri dei Faust, ndr), insistetti perché lo promuovessero come disco pop: tale era il tipo di approccio che sentivo dovesse avere chiunque lo ascoltasse, in contrapposizione a quello tipico da riservare a molti dischi di classica.

Sei d’accordo nel ritenere che l’esperienza dei Dream Syndicate, al di là dei suoi molteplici meriti, abbia ridotto le distanze tra un bacino d’utenza propriamente “rock” e la musica minimalista o abbattuto barriere culturali e musicali? T’interessa ancora l’abbattimento di tali barriere, ora che la tecnologia musicale e l’atmosfera dell’età dell’informazione sono mutate rispetto a una volta?
Sì. E’ una domanda interessante, in quanto sono convinto che le barriere culturali di oggi non siano le stesse di quarant’anni fa. Oggi, più che una separazione qualitativa tra le diverse espressioni artistiche, è presente una sorta di dominazione commerciale rivolta a fruitori e culture locali. Imprese gigantesche che mirano a emarginare le voci di minoranza o, peggio, ad allinearsi a loro con il solo scopo di irrobustirsi ed estendere i propri principi su uno spettro culturale più vasto. E’ questa la minaccia più pericolosa inferta alle comunità indipendenti, che impedisce loro di focalizzare gli obiettivi, di esplorare e difendere i propri valori.

La tua risposta offre un altro spunto di discussione: internet non si limita soltanto ad abituare musicisti ed ascoltatori a “gestire” la musica con più facilità rispetto ad una volta, ma anche a creare comunità che trascurino la provenienza geografica dei propri componenti abbattendo dunque altre barriere...
Una parte importante di questo grande disegno consiste proprio nel fatto che, con l’espandersi dei confini di un determinato bacino d’utenza, si perda per strada il concetto di nicchia. Tale procedimento coinvolge musica, televisione, telefoni cellulari, poesia, teatro, etc. In ciascuno di questi campi, il nuovo modo di comunicare imposto da internet ha offerto all’individuo numerose opportunità per formare nuove comunità, per sviluppare una nuova individualità non più basata sull’appartenenza geografica ad un determinato luogo ma su una nuova forma di attinenza che riguardi molteplici sfere d’interesse. Credo che tutto questo sia molto importante a livello culturale e corporativo.

"Outside The Dream Syndicate", oltre a essere un disco leggendario, è stato considerato un sublime amalgama di differenti modi di concepire la musica; Julian Cope, nel suo libro sul kraut-rock ("Krautrocksampler ", pubblicato per la prima volta nel 1995, ndr), lo definisce come un “matrimonio paradisiaco”. A posteriori, come consideri la tua esperienza assieme ai Faust?
Con i Faust è stato come tornare alle radici, sia per me che per loro.

Durante gli anni Novanta numerosi musicisti rock (o, per dirla con Simon Reynolds, “post- rock”), tra cui Jim O’Rourke e David Grubbs, citarono i tuoi lavori come un’importante fonte d’ispirazione. Successivamente, hai collaborato con alcuni di loro; cosa pensi dei loro lavori? Hai avuto modo di riscontrare nelle loro opere elementi comuni ai tuoi?
Per quanto riguarda la mia collaborazione con Jim O’Rourke e David Grubbs posso dire che siano entrambi musicisti eccellenti, provvisiti di inventiva fenomenale e di grande talento; ciascuno di loro è stato importante per me. Jim è dotato sia come musicista che come compositore e produttore; si dedica a fondo a ciò che fa e persegue i suoi interessi con grande tenacia. In questo senso, è stato senz’altro una fonte d’ispirazione. David, che ai tempi collaborava con importanti poeti e che è sempre stato interessato tanto alla letteratura quanto alla musica, ha un modo unico ed eccezionale di esplorare le proprie attitudini.

Riesci a ritrovare le tue idee, la tua visione delle cose, nelle nuove generazioni di musicisti con cui hai collaborato? Credi ci siano differenze sostanziali nell’approccio musicale tra i giovani musicisti americani e quelli europei?
C’è una tale difformità di approcci all’interno dei confini europei che mi è difficile delineare un paragone tra americani ed europei; può essere, anzi, che ci siano più differenze tra i diversi popoli d’Europa che tra questa e gli Stati Uniti. Pensa soltanto alla proposta di un gruppo finlandese come i Paavoharju (con i quali ho collaborato di recente), che stanno portando in giro una nuova forma di folk sperimentale… Ecco, se li paragoni a formazioni del Sud Italia noterai un’incredibile diversità di suono. Così come accade tra la musica irlandese e quella celtica, tra l’avanguardia tedesca e il jazz dell’Europa dell’Est. Si tratta di autentici universi separati tra loro. Sono differenze importanti, estremamente interessanti, specie se pensi che con internet abbiamo l’opportunità di conoscerle ed esplorarle con discrezione. All’improvviso, dunque, ti ritrovi a possedere un prezioso portfolio di culture differenti, esattamente come accade da noi, negli Stati Uniti… Quando ero giovane e vivevo in povertà da qualche parte a New York, ero solito pensare  alla nostra come a una sorta di musica etnica urbana…
Per quanto riguarda le mie idee e i miei lavori che possono avere influenzato altri musicisti, credo che gran parte di essi proceda dalla proposta che portai avanti anni e anni fa e che, ancora oggi, susciti un vivido interesse presso gli ascoltatori più giovani. Ma c’è anche tanto lavoro, da me svolto negli ultimi trent’anni, che necessita di essere esacerbato ed espresso nel modo in cui lo farebbe un compositore professionista… D’altro canto, non ho mai inseguito la carriera e ho deciso di diventare un insegnante (Tony insegna Comunicazione presso l'Università di Buffalo e, tra i suoi studenti, si succedettero alcuni membri dei Mercury Rev, ndr); non posso dunque considerar mi un compositore a tempo pieno o un musicista pop. Sia chiaro il mio rispetto per chiunque scelga d’intraprendere questa strada, ma ritengo di preferire altre vie che non quella di fare della composizione una carriera. Tutto questo, comunque, mi preclude la possibilità di far eseguire miei lavori ad un’orchestra, ad un gruppo, ed interpretarli di fronte ad un pubblico numeroso.

Abbiamo recentemente apprezzato l’album che hai realizzato assieme a Charlemagne Palestine, intitolato "An Aural Symbiotic Mystery". Nelle note del libretto, Palestine chiede (e risponde, coerentemente con il titolo dell’opera): “…Com'è possibile che Tony e io siamo riusciti a suonare assieme in modo così magico senza aver prima discusso di ciò che avremmo dovuto fare o pianificarlo? Non ne ho idea!”. Saresti in grado di rispondere alla sua domanda e parlarci del tuo rapporto con Palestine (il quale, come te, è stato riscoperto da parecchi giovani musicisti che spesso sono gli stessi che amano la tua musica)?
Quando più musicisti condividono i medesimi interessi lo fanno con molta enfasi; Charlemagne ed io abbiamo modi affini di ascoltare la musica: questo è il motivo in base al quale lui ama il pianoforte (ora possiede un Bosendorfer elaborato per ottenere un’estensione delle basse frequenze) ed è interessato alla ricerca del suono. Ecco, il “suono”. E’ ciò che ci accomuna di più… Oltre ad un qualcosa che prescinde dalla nostra consapevolezza. A volte ci si chiede come possa essere stato possibile un incontro artistico tra Charlie Parker e Dizzy Gillespie. Beh, è semplice: avevano modi molto simili di ascoltare. Lo stesso accade con la musica rap, con il pop e con la classica. Ed è accaduto con Charlemagne e me.

Nell’ambito della tua intera opera musicale, sia da solista che non, quali exploit ritieni essere più significativi e perché?
Il mio primo lavoro con La Monte Young è stato per me estremamente importante; si tratta infatti di una disamina sulla struttura della musica occidentale, in generale. Ma ci sono altre opere che, a mio giudizio, hanno similare importanza: una di queste s’intitola "The Mind Of The World"; si compone di cinquecento ore di musica per pianoforte, registrate durante gli anni Ottanta, ma non è mai stata pubblicata… Poi, ci sarebbe un altro lavoro a cui tengo molto, più recente degli altri di cui ho parlato. Mi è stato commissionato da Musique Nouvelle, in Belgio, un paio di anni fa. S’intitola, quasi per scherzo, "HHHH". E’ una composizione che, tra tutte le altre che abbia concepito, si avvale del più largo ensemble di cui abbia mai disposto (dieci elementi) ed è riuscita a farmi conferire una solida reputazione. E’ un’opera differente da tutte le altre e la considero importante per la sua semplicità.

Abbiamo saputo che sei stato invitato a partecipare con una tua installazione alla prestigiosa Turbine Hall presso la Tate Gallery di Londra; potresti svelarci qualcosa a tal proposito o dirci cosa hai in serbo per il futuro? Oltre alla tua lunga carriera musicale, hai anche lavorato nel campo delle arti visive; in cosa si estrinseca, al momento, il tuo contributo a questa disciplina?
Preferirei non parlare della Turbine Hall, per ora, perché manca ancora un anno e il progetto non è ancora ben definito. Sarò a Londra il prossimo mese per un concerto e per mettermi d’accordo con alcune persone sul da farsi. Sarà un evento molto importante, comunque, a cui sto dedicando parecchio tempo. Tuttavia, sto lavorando anche per altre cose altrettanto importanti… E qui scivoliamo nell’ultima domanda riguardo al mio lavoro nelle arti visive: mettiamo tutto assieme, ok? Ho appena inaugurato una nuova esposizione, a Los Angeles, presso “Overgreen And Kite”; si tratta di una video-installazione composta approssimativamente da centocinquanta scene di un film che ho girato nel 1980, montate in ordine casuale. Ecco, questo è un nuovo formato di presentazione d’immagini visive in cui la struttura dell’immagine è ben organizzata, al contrario delle sequenze che andranno a formarla. Ci sono parecchie altre cose alle quali mi sto dedicando, ora, a cominciare da una galleria d’arte; questa esperienza è stata importante per acquisire coscienza di quanto sia scarso il supporto alla cultura alternativa da parte di un governo estremamente conservatore, di quanto internet stia rimpiazzando le inziative culturali locali e di quanto le gallerie d’arte stiano acquisendo in popolarità, cosa impensabile fino a parecchio tempo fa…

Che tipo di musica ascolti regolarmente? Te la sentiresti di elencare una manciata di nomi di musicisti contemporanei che ritieni essere tra i più significativi di oggi?
Sono parecchio eclettico e mi piace ascoltare un po’ di tutto. Dopo intere decadi trascorse ad ascoltare musica, sono arrivato a preferire cose che non mi piacciono perché le ritengo di gran lunga più interessanti di quelle che apprezzo nell’immediato. Benchè ami anche l’easy listening, continuo a cercare stimoli da ciò che ritengo avere un approccio più difficoltoso. Alla fine, la soddisfazione sarà maggiore!

Non dirmi che stai pensando di tornare ad ascoltare Schönberg!?
Ogni tanto provo ad ascoltare la musica classica contemporanea… O meglio: non più “contemporanea" ma del XX secolo… Ma… Non ritengo sia troppo complessa e la sfida, a questo punto, non m’intriga più di tanto!

Ahahah! Scherzavo, comunque… Saresti in grado di dirci un nome o un tipo di musica a cui sei particolarmente interessato in questi giorni o che hai semplicemente scoperto da poco e ti piace?
Mi piace la musica “Quan” indonesiana, un genere di musica popolare che mescola la musica tradizionale dell’Indonesia con la pop/dance europea. Poi mi piace la musica dello Zaire, specialmente quella pop degli anni Settanta, ma non la ascolto da parecchio… Al momento non sto ascoltando molta dell'attuale musica dance, ma a dire il vero ascolto soprattutto ciò in cui sono in qualche modo coinvolto. Spesso collaboro con giovani musicisti come MV Carvin, a New York, e naturalmente con Jim O’Rourke. Ho fatto diversi concerti a Buffalo con l’aiuto di Jonathan Golov e ho lavorato assieme a Davies Vavivs, un musicista gallese. Mi piacciono Karen Waltuch e Leanne Darling, due straordinarie violiniste, e così via...

…E stai per suonare con gli Å!
Sì, faremo un’improvvisazione assieme. Proprio come ho fatto assieme ai Lau Nau, in Finlandia, che sono un altro gruppo che mi piace un sacco.

Ti piace la musica degli Å?
Sì, assolutamente. Anche se il fatto di piacermi resta soltanto una parte dell’insieme… E’ infatti  necessario osservare come ci si comporta assieme ed esplorare le dinamiche che andranno a crearsi, in tempo reale, in quella determinata circostanza. Esattamente come ho detto poco fa riguardo alla mia collaborazione con Charlemagne. Vedremo, dunque! Ma da quello che sento, da ciò che mi dice la gente e dall'ascolto del materiale che ho scaricato, mi sembra che oggi, in Italia, ci sia gran fermento! 


Si ringraziano Bruno Stucchi, che ha condotto l’intervista, Keri Neff e Die Schachtel.

Discografia

TONY CONRAD
Slapping Pythagoras (Table Of The Elements, 1995) 6,5
Four Violins (LP Table Of The Elements, 1964/ristampato nel 1997)8
Early Minimalism - Volume One (4xCD, Table Of The Elements, 1997 - il titolo è poco più di uno scherzo memore del celebre contenzioso con La Monte Young. Contiene lavori eseguiti a metà degli anni Novanta, nonostante i rispettivi titoli invitino a pensare che si tratti di registrazioni del 1965; l'unica opera risalente al 1964 è "Four Violins", proposto nella sua integrità e pubblicato qui per la prima e unica volta in compact disc) 9
Fantastic Glissando (Table Of The Elements, 1969/rist. 2002) 6,5
Let's Trade Pants (Magic If, 2003; cd-r in edizione limitata a 300 copie)7,5
Bryant Park Moratorium Rally (1969) (Table Of The Elements, 1969/rist. 2005) 4
Joan Of Arc (Table Of The Elements, 1968/rist. 2006) 7,5
JOHN CALE/ TONY CONRAD/ ANGUS MACLISE/ LA MONTE YOUNG/ MARIAN ZAZEELA
Day Of Niagara: Inside The Dream Syndicate Volume One (Table Of The Elements, 1965/rist. 2000)8
TONY CONRAD/ FAUST
Outside The Dream Syndicate (2xCD, Table Of The Elements, 1972/rist. 1993 e 2002)9
Live: London Queen Elizabeth Hall (Klangbad, 2001; disponibile solo su cassetta)7,5
Outside The Dream Syndicate Alive (Table Of The Elements, 2005)7
THUUNDERBOY!
Thuunderboy! (Table Of The Elements, 1973/rist. 2002)4
TONY CONRAD/ GASTR DEL SOL
The Japanese Room At La Pagode/May (7'', Table Of The Elements, 1995) 7
TONY CONRAD/ALEXANDRIA GELENCSER/EDWARD KA-SPEL
Lactamase 01 (10'' Beta-Lactam Ring, 2001)6,5
TONY CONRAD/ TIM BARNES/ MATTIN
Tony Conrad/Tim Barnes/Mattin (Celebrate PSI Phenomenon, 2006)8
CHARLEMAGNE PALESTINE/ TONY CONRAD
An Aural Symbiotic Mystery (Sub Rosa, 2006)7,5
TONY CONRAD/JIM O'ROURKE/RALF WEHOWSKY
Avanto 2006 (Avant, 2007)7
ALTRE COLLABORAZIONI
Upgrade And Afterlife (Drag City, 1996) - accreditato ai Gastr Del Sol. Conrad suona soltanto in una traccia, una cover di John Fahey concepita anche come omaggio a quest'ultimo, intitolata "Dry Bones In The Valley". 9
The Thicket (Drag City, 1998) - accreditato al solo David Grubbs8
Les Evening Gowns Damnées: 56 Ludlow Street 1962-1964, Volume One (Table Of The Elements, 1962-1964/rist. 1999) - accreditato al solo Jack Smith4
Silent Shadows On Cinematic Island: 56 Ludlow Street 1962-1964, Volume Two (Table Of The Elements, 1962-1964/rist. 1999) - accreditato a Jack Smith e Mario Montez4
Drifting A.F.U. (Blast First/Mute, 1999) - raccolta pubblicata in edizione limitata e ceduta gratuitamente ai partecipanti del secondo festival dedicato al "drifting" (= abbandono mentale) organizzato dai Labradford e tenutosi tra Sheffield, Londra, Edinburgo e Parigi nell'agosto del 19996,5
Brain Damage In Oklahoma City (Siltbreeze, 2000) - accreditato al solo Angus MacLise7
Primordial/Lift (Deep Listening, 2000/rist. 2006) - accreditato alla sola Pauline Oliveros8
Sun Blindness Music (Table Of The Elements, 1965-1969/rist. 2000) - accreditato al solo John Cale7,5
Dream Interpretation: Inside The Dream Syndicate Volume Two (Table Of The Elements, 1965-1969/rist. 2000) - accreditato al solo John Cale8
Stainless Gamelan: Inside The Dream Syndicate Volume Three (Table Of The Elements, 1965-1969/rist. 2000) - accreditato al solo John Cale8
Act Five Scene One (Blue Chopsticks, 2002) - accreditato al solo David Grubbs6,5
The Cloud Doctrine (2xCD Sub Rosa, 2003) - accreditato al solo Angus MacLise7,5
From The Kitchen Archives: New Music New York 1979 (2xCD Orange Mountain, 2004) - raccolta che contempla estratti dai lavori degli artisti più significativi che hanno fatto parte di Kitchen, collettivo fondato da Woody e Steina Vasulka nel 1971 con la proposta di ampliare gli orizzonti artistici nel campo del video, della musica, della danza, delle performance, della letteratura e della ricerca di nuove forme di comunicazione. Conrad partecipa alla compilation con una traccia contenuta nel secondo compact disc e intitolata "Untitled Pieces For Piano".8
Gantse Mishpuchah (Fringes, 2004) - accreditato a David Coulter, Michael Gira, Jean Marie Mathoul e Charlemagne Palestine7,5
New York In The 60s (3xCD Table Of The Elements, 1962-1969/rist. 2006) - accreditato al solo John Cale, contiene per intero i suoi tre lavori di cui sopra (che, nel frattempo, sono andati fuori stampa) ed estratti dagli album di Jack Smith8
Pietra miliare
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