hamaYōko

S H A S Ō – train window –

2009 (Entr'acte)
musica concreta, avanguardia

Giapponese di nascita, ma francese d’adozione, hamaYôko (al secolo Yôko Higashi) presenta con “SHASŌ -train window-” una riflessione sul tema del viaggio (rigorosamente in treno) che ammalia per capacità espressiva e profondità emozionale.
Il viaggio come metafora della vita, naturalmente. Ma anche come “segno” di un distaccarsi incessante dalle cose, per cui la memoria finisce per diventare l’unica ancora di salvezza nel vagabondaggio dell’esistenza. Un’esistenza dove il simbolo “vocale” appare come luogo di rivelazione di un rapporto sempre incerto e problematico con il mondo circostante.

Tutto è dinamico in questo disco, perché la stasi è morte. Viaggiare per demistificare la sensazione di appartenere a dei luoghi, per essere sempre altrove, alla ricerca di se stessi. Gli occhi fissi sul vetro del finestrino del treno, a confondersi con la realtà che scorre imperturbabile, mentre le rotaie strepitano ritmicamente, dissolte nel marasma di voci filtrate che galleggiano dentro un nugolo di rumori-frequenze che filigranano trame di opacità vitali, intanto che scontrosità “concrete” richiamano l’attenzione sul significare nascosto del silenzio (“Kamakura Seven”). In “Akai Pool”, lamine caleidoscopiche di cosmo si specchiano, al chiaror di Luna, sulla superficie inerte di un lago incantato, mentre una ninnananna confonde la sua malia con lo sciabordio “carnale” delle acque.

Questo è un piccolo mondo dove non esistono barriere tra suoni artificiali e suoni della natura, tutti essendo figli di una sola volontà creatrice. Sembra il sonoro di una torbida pellicola, ma, in realtà, si tratta di un mantra alieno che disseppellisce sensazioni sotto forma di glaciali incantesimi. La forma è quella di un travaglio fortemente interiorizzato. La mente fissa su particolari-“madeleine”: crepe che squarciano il velo oscuro dell’oblio. Riaffiorano altalene che cigolano spaurite nel giardino dietro casa, una radio che diffonde disperazione, il frastuono di ferraglia spinta in un angolo, accatastata contro pareti impolverate. L’agghiacciante, “cieca” nudità di un frammento di tempo che ritorna a galla come un cadavere ("Small Blue Hand").

I dedali vocali, invasi da caustici fuzz chitarristici e da folate di elettronica, di “Headeck” preludono, invece, al momento più alto dell’opera: “Yuhi ni akago (Infant for Sunset)”, l’incubo di un’infanzia che non riesce a venire a patti con le sue fantasie più maligne. Il farfugliare inespressivo del bambino diventa, dunque, elemento cardine di una tragedia (…dell’ascolto…) in presa diretta. Un’amorfa stratificazione di eventi sonori (fa capolino anche uno stridulo violoncello) che affrescano l’orrore con tocchi morbidi come morbide sono le carezze dei ricordi, anche di quelli più dolorosi...
Penombre diafane dove olezzi psicotici di discariche soniche narrano di quella volta in cui i Residents fagocitarono i Throbbing Gristle… (“Kōrimizu no march (Icewater’s March)”). “Porta –for yokohama citizen-“ tramuta, infine, registrazioni sul campo in perlustrazioni iper-psichedeliche che raccontano l’alienazione dei corpi e l’esilio delle anime.

Come una musica industriale privata del suo referente sociale, quella di Yôko Higashi è musica che parla di un disfacimento ulteriore: quello della percezione.

31/07/2009

Tracklist

1. Kamakura Seven
2. Akai Pool
3. Small Blue Hand
4. Headeck
5. Yuhi ni akago (Infant for Sunset)
6. Kōrimizu no march (Icewater’s March)
7. Porta –for yokohama citizen-

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