Arriva, a tre anni di distanza dal precedente “Marches Of The New World”, il nuovo disco di David Maranha, tra i rappresentanti più in vista nel campo del neo-minimalismo.
Con un occhio puntato verso le esperienze fondamentali del Teatro della Musica Eterna, di Tony Conrad e, va da sé, dei Velvet Underground, il musicista portoghese offre, in quaranta minuti e rotti, altri saggi della sua visione sonora. Due lunghe tracce (venti minuti ciascuna) dove organo, violino, basso (il “nostro” Stefano Pilia), tambourine, chitarra e batteria imbastiscono avvolgenti ipnosi dal cuore tetro e dall’anima angosciata.
I due brani si assomigliano moltissimo: portamento depresso della batteria, violino intento ad arabescare con ispide dissonanze la marea montante di algida rassegnazione, organo che scivola sornione e onnipresente, basso e chitarra che completano il quadro con tocchi sparsi, sfumature sommesse, accenti sfuggenti. Esperienza di abbandono, come al solito. Ma “Antarctica”, con il suo sottotesto di solitudine e malinconia, sembra soltanto un modo come un altro per consentire a Maranha di ripresentarsi sulle scene.
Poco da dire, insomma, anche se i fan gradiranno, ne sono sicuro.
04/05/2010