Marti

Better Mistakes

2011 (Fod)
pop

"Better Mistakes", il secondo album dell'attore-cantante Andrea Bruschi, ovvero Marti, è (lo anticipo subito) una immane ciofeca, ma è anche un album che ci permette di localizzare e discutere di alcuni nei della produzione indipendente.
"Un incrocio tra Bryan Ferry, Nick Cave e i Cousteau, un album dagli echi cinematografici noir, il volto nascosto della musica italiana, un drammatico insieme di glam e storie dark"... Questi alcuni dei commenti che ne accompagnano la pubblicazione in tutta Europa, un entusiasmo comprensibile se a supportarlo è una brochure di presentazione ben calibrata e un leggero alone di ambiguità e aspirazione intellettuale.
Purtroppo tutte le migliori intenzioni non possono garantirne l'esito, ed è quello che è evidente nelle undici tracce di "Better Mistakes", che esalta tutta la boria della scena indie italiana, in perenne bilico tra originalità e sanremismi. Sì, sanremismi, perché "Better Mistakes" è un album di canzoncine pop melodiche figlie dell'Elton John più commerciale e del falso lirismo della musica italiana post-70, con un cantato inascoltabile e a tratti fastidiosissimo che è out of tune non per scelta artistica, ma per l'impossibilità dell'arrogante frontman di gestire l'estensione vocale con tecnica e pathos.

Definire la musica di Marti new-wave o dark-rock, come avviene su Wikipedia, è puro inganno - non si tratta del "Better Mistakes" del titolo ma di un vistoso esempio di menzogna stilistica, determinato dal fatto che spesso la musica adotta riferimenti fuori linea per aggiungere valore artistico a opere insulse e poco felici.
Resta difficile per il pubblico meno smaliziato riuscire a cogliere i difetti e le lacune delle undici tracce, il che rende possibile un successo da cult-status; le orchestrazioni e gli arrangiamenti sono gradevoli e raffinati, ma resta arduo sopportare gli svolazzi di Andrea. Inoltre i testi sono risibili tentativi di creare mini-film che si riducono ad una sequenza di momenti privi di alcun legame emotivo.
Pur se gradevole, il tono orchestrale dell'album racchiude un altro problema stilistico. Prendete l'esordio dei Cousteau (spesso evocati nelle undici tracce): mentre il gruppo inglese suona come una mini-orchestra, nell'album di Marti l'orchestra tenta (all'inverso) un approccio da rock-band che diluisce il patrimonio lirico che si sgretola grazie alla pessima intonazione di Andrea Bruschi.

Album non privo di alcuni momenti tollerabili, quali "The Price You Pay" e "The Girl That Turns Off Street Lamps", "Better Mistakes" conserva dignità solo nella riuscita "Havana Bride", nella quale tutto gira alla perfezione e il canto più introspettivo e rabbioso diventa perfetto.
Questo momento piacevole non basta, tuttavia, a ridurre il disappunto. E nemmeno l'amicizia con Anthony Reynolds garantisce indulgenza; se proprio volete un consiglio, ascoltatelo ma non cercate in queste tracce nulla di più di uno sfogo egoistico di un artista privo di doti e di comunicatività, che nel vorticoso insieme intellettuale della musica italiana vedremo prima o poi protagonista di un'intervista di Mollica e poi artefice della rinascita della musica italiana d'autore.... un Maalox, per favore!

P.S. La sequenza del cd non rispetta i numeri della copertina, quindi attenzione se volete ascoltare solo "Havana Bride" dovete selezionare la traccia 7, non la 6.

10/09/2011

Tracklist

  1. Intro
  2. The Price We Pay
  3. In Flagrante Delicto
  4. Wouldn't It Be Fine
  5. The Return Of The Dishwasher
  6. 10 Long Years
  7. Havana Bride
  8. Better Mistakes
  9. The Most Implausible Thing
  10. No Stains
  11. It Doesn't Make Me Happy
  12. The Girl That Turns Off Street Lamps
  13. Per Pochi Attimi

Marti sul web