I Lacuna Coil sono probabilmente la migliore espressione della (ri)nascita di una scena italiana nel campo del metal che si distacchi dai classici canoni del "power", fino a pochi anni fa unico centro di attenzione del 99 per cento dei metallari italiani. Definire la loro musica classificandola in semplici categorie non renderebbe merito alla varietà di emozioni che ogni loro canzone riesce a comunicare all'ascoltatore, così come limitarsi (od ostinarsi) a continui paragoni con "formazioni madri" rischierebbe di portare fuori strada chi si volesse accostare alla band.
Il gruppo milanese nasce con il nome di "Sleep Of Right" nel gennaio del 1994; durante questo periodo si cimenta in alcuni concerti dal vivo e registra un brano per una compilation di una etichetta indipendente nel maggio 1995. Con l'ingresso nella line-up di Claudio Leo, Leonardo Forti e Cristina Scabbia il gruppo cambia nome in "Ethereal", registrando un demo ("Promo-tape '96") recensito a pieni voti su tutte le maggiori testate italiane e che gli varrà un contratto con la casa discografica "Century Media" (primo gruppo italiano a entrare a far parte di questa "grande famiglia").
Fin dall'inizio, la band porta forte il segno dell'avvenente cantante e front-girl Cristina Scabbia. "Ho cominciato a cantare nel 1991, più che altro per divertimento - ha raccontato la vocalist milanese - Interpretavo roba soul, anche dance, e 'prestavo' la mia voce ad alcune case discografiche. Non ho mai preso lezioni, anche perché qui di solito hanno un costo esorbitante e non me lo sono mai potuto permettere. Il mio avvicinamento alla scena metal è avvenuto quando ho incontrato il mio ragazzo, Marco, che poi è il bassista del gruppo, lui è veramente un appassionato, e mi ha praticamente iniziato al genere". Tra le vocalist che più l'hanno influenzata, Cristina cita Tori Amos, ma anche la cantante dei Morcheeba, Skye Edwards. "In generale - spiega - mi piacciono tantissimo le voci nere, e non per un discorso tecnico, ma proprio per quanto riescono a dare in termini di espressività: adoro il canto che viene dal cuore".
Il nuovo cambio di nome in "Lacuna Coil", la "spirale vuota", porta con sé una trasformazione nel suono, che si permea ulteriormente di una componente gotico/ambientale che troverà sbocco nel sorprendente debutto, l'omonimo Ep Lacuna Coil, uscito verso la fine del 1997. Il disco rivela i Lacuna Coil nei panni di una sorta di "versione femminile" dei Type O Negative. La pomposità gotica si associa ad atmosfere tese e spettrali, oltre che all'energia metal. L'iniziale "No Need To Explain" riesce a combinare in modo perfetto la violenza delle chitarre, la sinuosità delle tastiere e la malinconica voce della cantante. "The Secret... " si regge sul confronto serrato tra voce maschile e femminile. "Soul Into Hades" è un'inesorabile discesa agli inferi. "Falling" è una fredda ed eterea canzone di morte. E la conclusiva "A Ghost Between Us" fonde idealmente Type O Negative e Bauhaus.
Il successo di questo piccolo gioiellino di poco più di 28 minuti è immediato e troverà ampi consensi non solo in Italia, ma anche in Europa e negli States; prima conseguenza del loro debutto, il tour svolto da supporto dei Moonspell (dicembre '97) dove il combo meneghino testerà le proprie capacità dal vivo di fronte a platee di una certa importanza. Durante la primavera dell'anno seguente il gruppo ottiene un buon successo nel tour realizzato assieme ai Gathering, portando all'attenzione di tutte le platee europee questa rivelazione italiana, e creando sin da allora una fervente attesa per il primo full-length.
Attesa che verrà soddisfatta nel febbraio del 1999, con l'uscita di In A Reverie, album destinato a far nascere un vero e proprio seguito del gruppo, a conferma delle premesse del primo Ep. I cambiamenti rispetto al mini sono tuttavia numerosi, a cominciare dalla line-up, che vede sostituiti i due chitarristi dal nuovo arrivato Cristiano Migliore, così come viene cambiato il batterista, sostituito da Cristiano Mozzati. La maturazione del gruppo è percepibile anche nel suono, con un approccio più diretto alle canzoni e un'intesa praticamente perfetta fra le due voci, quella femminile di Cristina Scabbia e quella maschile di Andrea Ferro; ottimo anche il lavoro del bassista Marco Coti Zelati, una delle menti "compositrici" del gruppo.
La tracklist contiene otto pezzi inediti più una nuova versione di "Falling" dal già citato Lacuna Coil e per l'occasione reintitolato "Falling Again". Si comincia con la coinvolgente "Circle", cui fa seguito la più lenta "Statley Lover". "Honeymoon Suite" e "My Wings" sono i pezzi forti del disco, con il cantato alternato maschile/femminile di Andrea e Cristina che rievoca i Theatre Of Tragedy. "To Myself I Turned" è scritto da Waldemar Sorychta (in un certo senso il sesto membro della band) ed è cantato esclusivamente da Cristina Scabbia. La triste "Reverie" e la struggente "Veins of Glass" completano l'opera.
Gli ampi consensi ottenuti dopo la pubblicazione dell'album troveranno conferma nelle esaltanti prestazioni dal vivo realizzate dalla band, sia nei maggiori festival internazionali (Wacken'98, Dynamo'99, Gods Of Metal'99.), sia nel loro tour europeo in compagnia dei "celtici" Skyclad.
Dopo l'uscita dell'Ep Halflife (2000), è la volta dell'album Unleashed Memories (2001). Il disco si avvale di vibranti suoni di chitarra, vividi e trascendenti al contempo, oltre che del solito, raffinato contributo ritmico di Mozzati alle pelli e delle ormai mature voci di Cristina e Andrea ai microfoni. Si respira un'aria piovigginosa, autunnale, ma con improvvisi "strappi". "Heir Of A Dying Day" si erge maestosa e umorale sin dall'inizio, mentre la versione riarrangiata dell'intensa "Senzafine" avvince ancor più dell'originale, forse per via di quella geniale coda d'archi conclusiva che sembra annunciare il temporale prossimo a venire. Ed invece la pioggia continua a scrosciare gentile, come una carezza umida nell'estasi vocale, quasi ultraterrena, della stupenda "When A Dead Man Walks" o al pari della vertiginosa certezza anelata nell'avvincente progressione chitarristica di "Cold Heritage". Il tutto prima che l'atmosfera si surriscaldi nei richiami/rituali orientaleggianti di "To Live Is To Die" e "1:19", memori del sagace percorso di ricerca sonica tracciato dall'EP "Half Life".
L'anno 2002 porta con sé Comalies, l'album della consacrazione. Molto curato dal punto di vista degli arrangiamenti e impreziosito da stacchi e interludi studiati a puntino, il disco segna anche un'evoluzione nel suono del gruppo. Più che a puro "gothic metal", infatti, siamo di fronte a una miscela di hard-rock, ritmi serrati e melodie sinfoniche difficilmente etichettabile. Il disco propone episodi romantici come la title track uniti a tracce che ricordano la giusta collocazione della musica propostaci dai Lacuna Coil, come "Angel's Punishment", decisamente heavy. A dare al tutto una marcia in più contribuiscono le melodie vocali di Andrea Ferro e della sempre più brava Cristina Scabbia, che oltre a essersi conquistata paragoni con artiste del calibro di Natalie Merchant e Kate Bush, è molto apprezzata dal pubblico maschile per il sex appeal sfoderato durante le performance dal vivo. I testi sono tutti in inglese, unica eccezione il singolo che dà il titolo all'album. Ma, secondo quanto dichiarato dagli stessi autori, si tratta solo di un esperimento estemporaneo: i Lacuna Coil continueranno infatti a prediligere la lingua straniera.
Comalies conferma le potenzialità della band come leader di una scena, quella del gothic-metal, oramai troppo impregnata di compromessi ed "evoluzioni (in)naturali", e che sentiva il bisogno di una nuova entità, potente e malinconica allo stesso tempo. E il combo milanese si è già guadagnato numerosi apprezzamenti da parte della critica, finendo anche sulle copertine di varie riviste specializzate internazionali, a partire dall'inglese "Terrorizer".
Nel frattempo, cresce la fama della band all'estero, raggiungendo anche gli Stati Uniti, e Cristina Scabbia viene perfino ritratta nella copertina di Rolling Stone. Con Comalies, per la prima volta nella loro storia, entrano nella classifica Top 200 di Billboard, che certifica i dischi più venduti negli Stati Uniti.
Nel 2006 i Lacuna Coil si ripresentano con Karmacode, disco denso e iperprodotto, forte di un basso pompato ed ossessivo, nonché di chitarroni "ribassati" di chiaro stampo nu-metal (cfr. Korn). Tale evoluzione (involuzione?) a livello strumentale è comunque resa in guisa graduale tra questi solchi, giacché i rimandi alle complesse orchestrazioni del diretto predecessore si evincono a tutt'oggi in tracce come l'opener "Fragile", "Devoted", davvero riuscita e prossima all'universo-Paradise Lost, la ficcante "To The Edge" o l'emozionante dittico composto da "In Visible Light" e "Without Fear".
Nei brani sopracitati, il mestiere e la classe dei Lacuna Coil garantiscono un ritorno (in termini di sensazioni all'ascolto) sicuramente appagante. Peccato per i riff anonimi e plastificati delle varie "What I See", "The Game" o "Fragments Of Faith", che mancano totalmente di quelle sfumature emotive (di matrice gotica, e non nu-metal) in grado di elevare a potenza l'espressività della band.
Detto delle discrete sortite in "Within Me" (ballad convenzionale eppur gradevole) e "Our Truth" (singolo che ripropone le note sonorità mediorientali), resta la riuscita cover della depechemodiana "Enjoy The Silence", che però poco aggiunge in termini di giudizio finale.
Sicuramente inferiore a Comalies, Karmacode presenta luci e ombre, pur confermando l'abilità melodica di Cristina e compagni. Più groove e meno suggestione (persino i vocals, non più in primo piano, sono stati sacrificati sull'altare dell'impatto del suono), per un album di transizione.
Assurti a star internazionali, con tanto di copertina di Rolling Stone, Cristina Scabbia e compagni, però, sono rimasti a corto di benzina. Shallow Life (2009), il loro sesto lavoro sulla lunga distanza, raschia il fondo del barile, indulgendo in facili soluzioni melodiche e ripercorrendo sentieri già ampiamente battuti. Certo, la produzione di Don Gilmore, uno degli artefici dei peggiori misfatti dei Linkin Park, è quasi un marchio di (assenza di) qualità. Ma anche dal punto di vista della scrittura, l'impressione è che la band sia ai minimi storici. Certo, resta qualche pattern elettronico a rinsaldare il sound, ma anche gli episodi più ruvidi e heavy (l'iniziale "I Survive", "Underground") affogano nelle banalità. La band, insomma, si attesta lungo i binari rassicuranti di un pop-rock da classifica ("I’m Not Afraid" fa pericolosamente il verso ai Linkin Park), che, nei momenti migliori, trova nella voce della Scabbia il veicolo ideale per melodie comunque accattivanti (le classiche ballate della title track e di "Wild Awake"). Ma manca la personalità che aveva illuminato i momenti più ispirati della loro carriera, e allora finisce che il brano migliore della raccolta è un omaggio fin troppo scoperto ai Paradise Lost, come "The Pain".
Resta comunque da registrare il successo internazionale, anche negli Stati Uniti, della formazione milanese, caso più unico che raro nella scena rock italiana.
Ormai consacrati a livello internazionale, forse ancor più che in patria, i Lacuna Coil tornano a dispensare le loro scariche di Dark Adrenaline (2012) con un album dal piglio vigoroso e robusto, quasi in reazione al calo di tensione del predecessore.
Dodici tracce per un nuovo viaggio nelle tenebre, come teorizza la potente ouverture ("Trip The Darkness"), sospinta da un drumming solenne e dal muro di watt delle chitarre. Rispetto ad altri gruppi heavy, i Lacuna Coil hanno sempre un vantaggio non da poco: quello di rimpiazzare l'immancabile growl con l'ugola sensuale e magnetica dell'affascinante Cristina Scabbia, che in questo caso intreccia un bel dialogo con quella di Andrea Ferro dando vita al brano migliore della raccolta: un po' Gathering, un po' Nightwish, sicuramente accattivante.
Non meno oscuro, il dittico "Against You"-"Killing The Light" alza ancora il volume sulle mitragliate della batteria, con le due linee vocali ad alternarsi ancora mentre la chitarra deraglia in fiammeggianti quanto sterili solo.
Meglio, tutto sommato, la vena introspettiva di ballate come l'atmosferica "Give Me Something More", pur con il suo prevedibile corredo lirico di anime in subbuglio, e come l'apocalisse romantica di "End Of Time", con la Scabbia ancora sugli scudi. Sul versante "adrenalinico", invece, troppi brani anonimi disperdono la tensione iniziale ("I Don't Believe In Tomorrow", "Intoxicated" e "The Army Inside") mescolando effetti elettronici e riff acuminati a giri melodici decisamente dejà vu.
Non riesce, infine, il bis della brillante cover di "Enjoy The Silence" dei Depeche Mode: stavolta, alle prese con il totem di "Losing My Religion" dei Rem, anche la voce di Cristina non può affrancarsi da un heavy-rock incolore, che smarrisce del tutto il fascino dell'originale.
Da apprezzare, tutto sommato, il tentativo di rivitalizzare il suono originale del gruppo, ma i Lacuna Coil oggi, oltre alla bella voce di Cristina e a qualche suggestiva incursione in atmosfere gothic, sembrano non avere più molto altro da offrire.
La sensazione è confermata anche due anni dopo sul terzo album di fila con encefalogramma piatto, Broken Crown Halo. Il quadretto è impietoso e l'elemento che provoca ancor più disappunto è la presenza di una serie di spunti che stanno a dimostrare che i Lacuna Coil non sono morti né hanno disimparato a fare musica. Già, perché “I Forgive (But I Won't Forget You)” il piglio giusto ce l'avrebbe anche, se non lo insozzasse un ritornello che sembra appiccicato lì tanto per uniformità, incapace di comunicare qualcosa. E ancora la provocante “Cybersleep”, per quanto rientri nell'autocitazionismo puro, avrebbe potuto risaltare in ben altra maniera se non fosse stata invasa da una coltre d'archi senza un perché. Per non parlare della conclusione di “One Cold Day”, unico episodio a salvarsi in corner premendo su un velato psicodramma che è tanto effetto e poca sostanza, ma che nell'insieme riesce addirittura a brillare.
Il resto è un disastro senza capo né coda, ben annunciato dagli irritanti sussurri elettronici che introducono l'apertura ottusa di “Nothing Stands In Our Way” e si ripetono nell'ancor più imbarazzante “Die & Rise”, concentrato di tutti i peggiori luoghi comuni attorno al versante tamarro del pop-metal. Per non parlare di “Infection” che fa leva su quei suoni per cui gli adolescenti europei impazzivano fino a cinque-sei anni fa, ma che oggi non trovano breccia se non fra la minoranza a cui “piace il metal”, ma quello facile. “Zombies”, “Victims” e “I Burn In You” potrebbero essere la stessa identica canzone eseguita con effetti di chitarra differenti e testi e parti vocali rispettivamente modificati e scambiate. Lo stesso dicasi per “Hostage To The Life” e “In The End I Feel Alive”, guidate di nuovo da virgole sintetiche prive di un'anima che manca all'intero disco, vera e propria prova di ingiustificato autolesionismo.
Dopo tre album sulla medesima, insalvabile lunghezza d'onda, la speranza di un colpo di coda che riporti il sestetto milanese alle vette del passato appare sempre di più pura utopia.
Il ritorno dei Lacuna Coil è sempre una notizia, soprattutto per i tanti fan che vivono al di fuori dei nostri confini nazionali. Ingiustamente sbeffeggiati da chi in Italia non riesce a percepire il metal oltre un immaginario fatto di borchie e motociclette, quello della band milanese è un discorso che invece bisogna affrontare con una certa onestà intellettuale, al di là dei gusti personali. Non ci sono dubbi che scorrendo la tracklist di Black Anima qualche nodo venga al pettine, ovvero quei due-tre riempitivi che non lasciano il segno come dovrebbero (in particolare “The End Is All I Can See” e “Save Me”). Ma questo poco importa agli aficionados della band, i quali avranno già divorato a occhi chiusi le dodici composizioni del nuovo album. Il malinconico refrain di “Now Or Never” è un raggio di sole dopo la tempesta, mentre “Veneficium” riporta in auge le vecchie tentazioni gothic metal del combo, con la voce di Cristina in assoluto stato di grazia. Un ritorno che non aggiunge molto alla discografia dei Nostri, pur mostrando quella rinnovata coesione generale che riesce a sopperire agli inevitabili scricchiolii del songwriting. Siamo arrivati a quota nove album comunque, alla faccia di chi li detesta
Contributi di Matteo Meda ("Broken Crown Halo") e Paolo Chemnitz ("Black Anima")
* © Sensorium - (Fonte: Circle of Regrets)
Lacuna Coil (Ep, Century Media, 1998) | 6 | |
In A Reverie (Century Media, 1999) | 7 | |
Halflife (Ep, Century Media, 2000) | 5 | |
Unleashed Memories (Century Media, 2001) | 6,5 | |
Comalies (Century Media, 2002) | 7 | |
Karmacode (Century Media, 2006) | 6 | |
Manifesto of Lacuna Coil (antologia, Century Media, 2009) | ||
Shallow Life (Century Media, 2009) | 4,5 | |
Dark Adrenaline (Century Media, 2012) | 5,5 | |
Broken Crown Halo (Century Media, 2014) | 4,5 | |
Black Anima(Century Media, 2019) | 6,5 |
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