Negli ultimi anni il confine fra metal e "resto del mondo" è divenuto relativamente più sfumato, sia per l'innovazione apportata da alcuni generi, sia per i cambiamenti radicali avvenuti nelle discografie di certi gruppi. In quest'ultimo caso si parla di artisti inizialmente appartenenti proprio a questo filone, ma che poi si sono diversificati, a volte abbandonandolo del tutto e permettendo al proprio pubblico di scoprire nuove realtà ed espandere i propri orizzonti musicali. L'esempio più eclatante sono forse gli Ulver (passati dal black-metal all'elettronica sperimentale, all'ambient e all'art-rock), ma ugualmente creativa e spiazzante è la storia dei Gathering.
Con i primissimi lavori degli anni 90 furono fra i pionieri del gothic-metal. Al giorno d'oggi con questo termine la stampa specializzata si riferisce soprattutto a un genere molto melodico e schematico, talvolta di carattere più commerciale che artistico visti i numerosi gruppi tra loro cloni. Ai suoi albori però il gothic-metal presentava delle sonorità ben distanti da quelle ormai diventate canoniche con gli anni 2000, più dure e oscure, ma anche più ricercate e complesse, che attingevano a vario modo dal doom-metal o dalla darkwave. Infatti i Gathering sono stati anche testimoni delle prime evoluzioni di questo genere, che può vantare stili pur diversi fra di loro. Eppure, quando la formula stava iniziando ad avere successo, e sarebbe stato facile cavalcare il trend della formazione metal melodica guidata da un'accattivante frontwoman, gli olandesi voltarono pagina e abbandonarono quel genere, assimilando e reinterpretando influenze che vanno dal progressive al dream-pop passando per il trip-hop.
Il loro cambiamento di rotta li fece approdare nei lidi di un alternative-rock/art-rock molto personale, lasciando che testi introspettivi, atmosfere spaziali, digressioni soffuse e raffinatezze compositive prendessero il sopravvento.
Una svolta analoga a quella dei vicini inglesi Anathema, che partendo da origini molto simili hanno percorso una strada parallela e affine a quella dei Gathering, con i quali d’altronde hanno mantenuto rapporti stretti e occasionali collaborazioni nei concerti.
Guidati dalla cristallina voce di Anneke Van Giersbergen, una delle più magnetiche e trascinanti voci del rock a cavallo tra i due secoli, i Gathering si sono così costruiti una propria nicchia che ha saputo offrire opere personali spaziando tra generi e sonorità differenti.
Gli olandesi hanno coniato, senza presunzione, il termine “trip-rock” per definire il loro stile. Il significato di questa etichetta nell'uso inteso dai Gathering lo avrebbe poi spiegato Anneke Van Giersbergen. Eccola per esempio in un’intervista per Eutk: “Quello che intendiamo con trip-rock è fondamentalmente ‘trippy music’… ti puoi sedere e rilassarti ascoltandoci. È una cosa diversa dal trip-hop, perché è radicata nella musica rock… Non una musica pesante, certo, ma al contrario molto melodica e intensa. Heavy pop o soft melodic rock sono definizioni brutte, che non ci piacciono… Trip-rock è una bella parola”.
Iniziamo a conoscere questo gruppo passo per passo fin dagli esordi, tenendo ben presente che i capitoli che costituiscono la loro discografia possono suonare molto diversi tra di loro, e che i primi sono qualcosa di diametralmente opposto a quanto mostrato in seguito.
Gli inizi "underground"
I Gathering vengono formati nel 1989 a Oss, vicino a Nijmegen, Paesi Bassi, dai fratelli Hans (batteria) e René Rutten (chitarra) assieme al vocalist Bart Smits a cui pochi mesi dopo si aggiunge il tastierista Frank Boeijen. Successivamente i quattro reclutano il bassista Hugo Prinsen Geerligs e il chitarrista Jelmer Wiersma. Quasi tutti compagni di scuola, a livello musicale sono affascinati dalle realtà metal underground, ma chi più di tutti le vive attivamente è soprattutto Smits, mentre i fratelli Rutten vedono con maggiore interesse le varie diramazioni della wave ottantiana e quel calderone che la stampa di settore chiamava rock alternativo. Il fatto che la scena musicale giovanile locale di Oss a fine anni 80 sia quasi solo incentrata sul metal, tra festival, concerti nei locali e complessi di adolescenti, induce in ogni caso tutti a suonare metal come i coetanei. Per il nome i sei ragazzi prendono spunto dal franchise di "Highlander" in cui si parla di un grande incontro (in inglese "the gathering") di tutti gli immortali. A ispirarli a livello tematico infatti ci sono soprattutto la letteratura e il cinema fantasy, come sarà poi per molti altri gruppi.
Hans Rutten anni dopo avrebbe commentato con nostalgia questo periodo, ma anche rammarico per la poca libertà d'iniziativa ("probabilmente è irrispettoso verso la scena metal, ma non potevamo fare altro che suonare questo tipo di musica: Oss è una vera città metallara, difficilmente si poteva trovare una scena alternativa, che si sviluppò da sé più tardi... se fossimo nati in un'altra città, probabilmante avremmo suonato qualcosa di molto differente", da una mini-intervista nel Dvd "A Sound Relief").
Gli olandesi rilasciano due primi Ep abbastanza grezzi e primordiali, influenzati dal death-metal ma con qualche inserto tastieristico (An Imaginary Symphony nel 1990 e Moonlight Archer nel 1991), per poi pubblicare il debutto ufficiale, Always…, nel 1992. Nel frattempo s’erano aggiunti Henk Van Koeverden come ospite temporaneo al sintetizzatore e Marike Groot come voce femminile secondaria che accompagna Smits.
In questa primissima fase iniziale il gruppo è ancora vicino al cosiddetto death-doom, un filone che unisce le atmosfere macabre e oltretombali e il canto ruggito ("growling") del death-metal ai suoni lenti e decadenti del doom-metal. Gli olandesi rimangono colpiti da dischi come "The Astral Sleep" degli svedesi Tiamat e soprattutto del seminale "Gothic" dei Paradise Lost (che Smits soprattutto considera, non a torto, uno dei più importanti dischi estremi di sempre). Ci sono poi i connazionali Sempiternal Deathreign, poco noti ai più, ma importanti nello sviluppo del death/doom lontano dai riflettori. I Gathering però si lasciano affascinare anche dai primi esperimenti in ambito estremo dei Celtic Frost, che con "Into the Pandemonium" del 1987 avevano sfoggiato idee originali, abbinando a un thrash-metal sulfureo e oscuro inserti di voce femminile, di tastiera, e persino una cover del gruppo new-wave Wall of Voodoo. Insomma, c'è un calderone più variopinto di influenze da cui attingere di quanto sembrerebbe a prima vista, e col senno di poi questi ingredienti spingeranno ad andare oltre.
Nonostante un songwriting in questo periodo in alcuni punti ancora derivativo, il disco d'esordio Always inizia a plasmare lo stile musicale del gruppo di modo da renderlo un po' meno death-doom e un po’ più gothic, permettendo ai Gathering di essere inclusi tra i pionieri del genere. Sono in queste sonorità infatti le radici originarie del gothic-metal. In generale il disco si mantiene su coordinate ruvide già collaudate, aggiungendovi tratti peculiari nella propensione a condire le canzoni con contorni di tastiera, distensioni del riffing roccioso e digressioni melodiche. La produzione ovviamente è sporca, date l’epoca e le risorse disponibili, ma migliore di quanto ci si potrebbe aspettare. Pur nel suo essere tetro e duro (soprattutto dal punto di vista ritmico), l'album presenta di già aperture più atmosferiche e riflessive. Queste sono influenzate dalla scena dark ottantiana e da gruppi come Sisters Of Mercy o Fields of the Nephilim, con il loro goth-rock incalzante, ma anche dai più atmosferici e tastieristici Dead Can Dance.
Le tastiere nel primo album dei Gathering svolgono una funzione d’accompagnamento, spesso sfociando quasi in un mesmerizzante death tinto di darkwave ("In Sickness and Health", "Gaia’s Dream"), fungendo da base esclusiva del brano solo nel caso della parentesi atmosferica della title track. Non mancano anche riff più granitici come nel thrash-doom dell’iniziale "The Mirror Waters". Anche i testi si orientano verso tematiche più romanticizzate e decadenti, talvolta "gotiche" nel senso ottocentesco del termine, con diversi rimandi fantasy.
La principale, anche se relativa, caratteristica è la presenza del duetto fra la voce maschile di Bart Smits e quella femminile di Marike Groot. Smits è impegnato principalmente in un canto in growling basso e cavernoso, mentre la voce di Groot è lirica e acuta. Questo binomio è direttamente ispirato dai Paradise Lost che pochi mesi prima lo avevano simbolicamente "introdotto" nel death/doom-metal con "Gothic". Ma i Paradise Lost si ispiravano a loro volta alle sperimentazioni già fatte dai Celtic Frost nel 1987. Temporalmente, ci situiamo tre-quattro anni prima che i norvegesi Theatre Of Tragedy ufficialmente lo rendano popolare e standardizzato, dando il via al cosiddetto concetto del “the Beauty and the Beast vocals”, cioè del contrasto fra una voce maschile oscura e ruggita e una voce femminile soave ed eterea (che con gli anni 2000 è diventato comune in buona parte del gothic-metal).
In questo stadio iniziale, tuttavia, il ruolo della cantante è ancora molto marginale. A condurre le redini per la maggior parte del disco è Bart Smits e la sua voce è predominante anche nelle canzoni in cui compare Marike Groot, come "King For A Day" o la malinconica "Stonegarden". Se il suo growl riesce a essere ben inserito nel contesto, lo sporadico aspetto canoro "pulito" risulta meno espressivo.
Successivamente alla sua pubblicazione Smits lascia il gruppo per divergenze musicali (formerà i Wish), poiché era interessato a sonorità più oscure e pesanti mentre i Gathering volevano sviluppare qualcosa di relativamente più sperimentale. Anche la Groot se ne va (collaborerà con gruppi minori) e viene rimpiazzata da Martine Van Loon.
Col secondo disco Almost A Dance assistiamo a un'evoluzione degli olandesi, che raffinano la loro musica metabolizzando e diluendo gli elementi più estremi in uno stile più compatto e assimilabile. A spiccare è la voce di Niels Duffhuës, subentrato a Bart Smits: una voce pulita, dal timbro vicino a quello di Mike Patton dei Faith No More. È una soluzione inedita nel settore, anche se non apprezzatissima dal pubblico metallaro. La sua performance è vissuta e atipica per il genere. Niels è molto influenzato dal periodo post-punk/ new wave e in particolare da gruppi goth-rock come Sisters Of Mercy o Christian Death (ma anche da Nick Cave and the Bad Seeds o gli Swans di "Children Of God"). L’influenza è filtrata con un’ottica più diretta e meno ossessiva, conferisce un tocco decadente alle canzoni più di tutti gli elementi introdotti in quest’album, inoltre mette in risalto il distacco del disco dalle sue origini death-doom per imboccare un sentiero proprio che poi si sfaccetterà in realtà diverse. Ormai possiamo iniziare a parlare di gothic-metal. Anche altre formazioni analoghe di questo primo periodo come gli Anathema o i My Dying Bride stanno facendosi ispirare sempre più anche dalla dark-wave, acquisendo quei tratti che permettono al genere di personalizzarsi e distaccarsi dalle sue radici più estreme. La sperimentazione non riesce molto bene: voce e strumenti mal si adattano, e la produzione peggiora le cose. Oltretutto Niels Duffhuës non si trova in sintonia con gli altri e procede troppo spesso per conto proprio (in particolare entra in conflitto con la voce secondaria di Martine Van Loon, con cui dovrebbe duettare spesso nonostante i di lei limiti canori, ma i cui interventi sono al contagocce). I membri del gruppo diranno in seguito che è più adatto a lavorare da solista che in gruppo.
Ciò non toglie che in Almost A Dance permangano canzoni interessante, talvolta impreziosite da frequenti interventi di tastiera o sporadici strumenti esotici (come il flauto o il didjaeridoo). C'è anche un’atmosfericità più densa e orecchiabile e il materiale promozionale presenta il disco come "alternative doom with keyboards". Le iniziali "On A Wave" e "The Blue Vessel", poste l’una dopo l’altra senza soluzione di continuità, introducono queste atmosfere, non disdegnando anche stacchi più veloci e refrain epicizzati dalle tastiere di sottofondo. Ma è la successiva, lunga "Her Last Flight" a porre in risalto le influenze più goth-rock con distensioni melodiche, tappeti atmosferici di supporto, chords rallentati a fare da muro sonoro. "The Sky People" si pone a metà strada fra le due canzoni precedenti: le tastiere melodiche, la comparsata di voce femminile e l’intermezzo placido si miscelano ad altri elementi più metallici come l’assolo tagliente. "Nobody Dares" è una parentesi acustica mesta e intimista, una sorta di placida ballata che distende l’atmosfera dopo le canzoni precedenti. Le trombe campionate di "Like Fountains" e le tastiere esotiche di sottofondo si ricollegano al lato più solenne e cerimoniale dei Dead Can Dance, impiantato su di una batteria decisa e su cadenzati chords di chitarra che cedono poi il posto a riff più thrashy, mentre gli interventi femminili nel ritornello sono invece da angelica voce dream-pop. La successiva "Proof" si riallaccia a "Her Last Flight", ma contiene stacchi più brucianti e riff-arabeschi, comunque diluiti e dosati fra lunghi riempimenti ambientali di tastiera di sottofondo su cui si inseriscono bassi pulsanti, placidi assoli prolungati e arpeggi delicati in lontananza. "Heartbeat Amplifier" non aggiunge molto al discorso dell’album, mentre "A Passage To Desire" sfuma in un’outro atmosferica oscura e depressiva.
Almost A Dance nelle sue premesse si rivela un’interessante evoluzione del tema primordiale che dal death/doom-metal ha portato al gothic-metal, aperto a nuove strade che mostrano diverso potenziale, ma il risultato non è all'altezza delle ambizioni. La sua ricezione non è positiva: stroncato da buona parte della stampa specializzata, soprattutto per la voce di Niels (percepita come "fuori posto"), il gruppo manifesta la propria delusione per l’album e decide di voltare pagina, incominciando col cambiare i due vocalist.
E sarà la svolta più importante della loro carriera.
L'arrivo di Anneke Van Giersbergen
Nel 1994 una giovane (appena ventunenne) e talentuosa cantante / chitarrista di nome Anna Maria Van Giersbergen viene a sapere da un suo amico che c’era un gruppo di ragazzi in cerca di una voce femminile e si fa accompagnare a suonare in un caffè frequentato da questi ultimi. Ella da due anni faceva parte assieme a Deniz Cagdas del duo jazz-blues Bad Breath e aveva già esordito su disco con il gruppo rock sperimentale The Mess (definito come “immaginate Frank Zappa che incontra i Tubes”). I ragazzi erano naturalmente i Gathering, che rimangono positivamente colpiti dalla sua performance e la invitano a un’audizione per sceglierla quasi istantaneamente. Mai decisione è stata artisticamente più azzeccata per un gruppo musicale gothic-metal. Assieme alla cantante, soprannominata Anneke, i Gathering iniziano a questo punto una lunga e proficua collaborazione con cui, vedremo, raggiungeranno i loro vertici. Nel 1995 rilasciano per l’importante etichetta metal Century Media la pietra miliare Mandylion, titolo riferito all’immagine di Edessa, un telo venerato dalle comunità cristiane orientali sul quale sarebbe raffigurato il volto di Gesù e ritenuto di origine miracolosa come la Sindone.
Lo stile del gruppo nel frattempo, allontanandosi dal suono tetro e opprimente degli esordi, si è evoluto in gothic-metal ricercato e intenso. I riff lenti e cadenzati mantengono il legame formale con il doom-metal, ma a renderli unici sono il timbro, il pathos, le atmosfere. Queste ultime denotano un leggero velo tragico nel connubio dei riempimenti di tastiera di sottofondo e delle chitarre distorte di René Rutten e Jelmer Wiersma, ma sono caratterizzate in particolare da un certo sapore esotico mutuato dall’ethno-dark dei Dead Can Dance. I suoni sono distorti, evocativi e vagamente psichedelici, avvicinandosi a "Wildhoney" dei Tiamat uscito l'anno prima, dietro al quale c'è lo stesso produttore Waldemar Sorychta che riesce a valorizzare i punti di contatto. Il paragone più evidente rimanendo in ambito metal però è con “Tears Laid in Earth”, esordio uscito l'anno prima del gruppo norvegese The 3rd and the Mortal, anch’esso guidato da una voce femminile che Anneke ammira moltissimo: quella di Kari Rueslåtten. Fin dalla fine degli anni 70 ci sono stati gruppi metal guidati da una voce femminile, ma suonavano generi e stili (e atmosfere) differenti. Il debutto dei 3rd and the Mortal invece è in seno a un ibrido tra gothic-rock e doom-metal atmosferico, melodico e malinconico, che farà scuola fondando di fatto una tendenza. Il gruppo olandese nel 1994 ne rimane come folgorato, decidendo così di dare la propria personale interpretazione al concetto di metal oscuro con voce femminile. L’album così si rivela un’opera ricca di emozione, che supera ampiamente a livello compositivo i dischi precedenti, e in cui la punta di diamante è proprio l'espressiva voce di Anneke, carica di emozionalità e personalità. Rispetto alla Rueslåtten, delicata e soave, la voce della Van Giersbergen è più potente e di petto, nonché più versatile, e farà scuola anch'ella.
Le tematiche liriche di Mandylion si incentrano su di un romanticismo passionale e malinconico, che descrive la natura, le persone e i rapporti con loro, le maschere indossate. “Strange Machines” narra un viaggio nel tempo ispirato dai racconti di H.G. Wells, con i riff meccanici che divengono un tutt’uno con le atmosfere delle tastiere e lasciano entrare appieno nel vivo della canzone. Un oscuro tappeto di tastiera introduce invece “Eléanor”, costruita lentamente attorno ad Anneke con la sua angelica voce in preparazione del chorus più veloce e ancora più intenso. La prima parte di “In Motion” si costruisce su giochi di melodie esotiche e sulla forte voce di Anneke, fino all’assolo lungo, sentimentale e malinconico: sono gli Slowdive se fossero suonati come i Paradise Lost che nel frattempo si sono ammorbiditi a loro volta. Il dolce arpeggio di “Leaves” riporta subito alla mente le importanti influenze anni '80, ma subito tornano riff distorti, ripetuti e macabri, che fungono da base per i giochi vocali dell’ugola di Anneke. Dopodiché l’assolo si fa più rilassato e onirico, e culla l’ascolto fino al ritorno dei refrain. Questa volta sono i Cocteau Twins se fossero suonati come i Paradise Lost. Ma tutto l'album ha un alone etereo di sottofondo, senza le distorsioni metalliche sarebbe ancora più evidente. “Fear The Sea” trasmette subito sensazioni impetuose, come una scarica leggera al tatto ma capace di colpire a fondo. I lunghi intermezzi riempiono l’atmosfera di una consistenza palpabile a mano nuda. La title track “Mandylion”, originariamente pensata per un side-project dei due fratelli Rutten chiamato Diep Triest (poi messo da parte per i Gathering), è una parentesi strumentale che lascia senza respiro: l’infuocato flauto, le percussioni tribali, il forte sfondo di synth-strings e il breve intervento di Anneke van Giersbergen che intona il suo canto angelico formano un amalgama denso ed etereo, che fa percorrere in un lampo immensi scenari e distese lontanissime, degno dei Dead Can Dance. Il paragone con il duo anglo-australiano non viene solo dalle tonalità esotiche di forte impatto emozionale, ma anche dalle linee canore di Van Giersbergen che non seguono un testo ma si abbandonano a vocalizzi indefinite e teatrali come quelle di Lisa Gerrard. La lunga cupa suite di “Sand And Mercury” (quasi 10 minuti, la più lunga dell’album) sembra un’altra parentesi strumentale, intensa ed evocativa. Hans Rutten la definì come un incrocio tra i Celtic Frost e i Pink Floyd. Verso metà brano Anneke scende in campo di nuovo con il suo canto magnetico. È il picco dell’album, con immensi intrecci di tastiera e di chitarra distorta. L’angusto monologo finale, un estratto da una trasmissione radio in cui J.R.R Tolkien parlava del senso della vita e della morte nel Signore degli Anelli, fa trattenere il respiro prima che inizi la seconda parte di “In Motion”, che conclude il disco con le sue tenui orchestrazioni di viola e contrabbasso ad accompagnare il passionale canto di Anneke e le corrosive distorsioni in un contrasto dolce-amaro dal sapore decadente.
Mandylion fa scuola: l'evoluzione rispetto a soli cinque anni prima è notevole. Le influenze della darwkave sono significative perché se storicamente il gothic-metal discende dal doom-metal, e quindi la sua origine risale può essere ricondotta ai Black Sabbath, vi sono molti gruppi in questo genere che mostrano pochi punti di contatto (se non talvolta addirittura nessuno) con i gruppi dark & goth anni 80, che invece fanno risalire le loro origini al post-punk. Nonostante il nome in comune, il gothic-metal non è gothic-rock. Anzi, molti appassionati di quest'ultimo ci tengono a sottolineare che loro sono "goth" e per due lettere sono diversi dal "gothic", che è metal, tutt'altra cosa. Allora diventa doppiamente rilevante quando vi sono gruppi come in questo caso i Gathering che riescono a mostrare anche l'influenza della darkwave, di fondere scene così diverse tra loro, unendo tutto in uno stile originale e creativo.
Due anni dopo i Gathering approfondiscono la strada intrapresa: il successo di critica li catapulta tra le formazioni di riferimento nel settore, ed è sotto questi buoni auspici che nel 1997 rientrano in studio per realizzare il loro quarto album (il secondo, dopo l’ingresso della Van Giersbergen) Nighttime Birds, anticipato dall’Ep “Kevin’s Telescope” in cui si notano delle stupende cover di “When the Sun Hits” degli shoegazers Slowdive e “In Power We Entrust the Love Advocated” dei Dead Can Dance. Dedicato alla da poco scomparsa madre di Hugo Prinsen Geerligs, che si sfoga scrivendo i temi del disco pensando alla sua malattia, l’album non rinuncia alla passione, all’eleganza e alla personalità mostrate fino a questo momento.
Si inizia con i corposi muri di chitarre del gothic-metal acido di “On Most Surface” accompagnati da bassi penetranti e inserti di flauto in un vortice di suoni epici ed emozionanti. Viene seguito dalla lenta ed evocativa “Confusion”, incentrata su placidi giri di chitarra alternati a distorsioni corrosive, mentre un basso cupo che ricorda gli shoegazer sostiene la canzone assieme alla cadenzata batteria. Il gusto retrò e malinconico dell’elegante “The May Song” è uno degli episodi più interessanti e piacevoli del disco, con giri melodici tenui che ricordano i Dead Can Dance e i Cocteau Twins, accompagnati da un organo hammond lieve di sottofondo e inserti acustici, poi alternati a schitarrate più metalliche. “The Earth Is My Witness” è una piccola gemma di oscura dolcezza e di gran classe, dove i riff rallentati fanno da altare alla possente ugola di Van Giersbergen che catalizza l'attenzione dell'album; così come nell’onirica “New Moon Different Day”, di nuovo ottantiana, con una sezione ritmica iniziale che rievoca il post-punk e chitarre che passano in secondo piano limitandosi a tenui giri di note di sottofondo (quando non spariscono del tutto). Nel mentre le cristalline linee vocali sono accompagnate dai riempimenti di hammond e dai piccoli spruzzi elettronici, per poi cedere spazio a occasionali riff distorti e cavalcate di pedale da parte della batteria nei climax emotivi. Anneke Van Giersbergen si mostra a suo agio tanto negli episodi più energici che in quelli più soffusi e meditati, dimostrando versatilità canora. “Third Chance” è una delle tracce più melodiche e al contempo energiche del disco, che troverà la sua ideale consacrazione in veste live. “Kevin’s Telescope” propone tappeti di tastiera atmosferica di sottofondo e imponenti distorsioni di chitarra, mentre si aggiungono piccoli inserti di archi che che però nella loro magrezza e sporadicità suonano come delle aggiunte minori fini a sé stesse. La title track ha uno stile notturno, dolceamaro, delicato e potente al tempo stesso, arricchito da percussioni esotiche che fanno pensare a dei Dead Can Dance se suonassero metal. La chiusura è affidata alla memorabile “Shrink”, una esibizione di pianoforte melanconica e appassionata, senza scadere nella scontatezza manieristica.
Con questi due lavori, Mandylion e Nighttime Birds, i Gathering si posizionano nell’olimpo delle band dark pesanti e si pongono come punto di riferimento imprescindibile per moltissime formazioni gothic-metal successive, superando anche i loro "maestri" 3rd and the Mortal rimasti nell'underground. Tutti i gruppi del genere venuti negli anni immediatamente seguenti, soprattutto con voce femminile (come i primi Theatre Of Tragedy, i Leaves Eyes, i Provenance, gli Autumn, i Flowing Tears o i nostrani Lacuna Coil) sarebbero stati spesso accostati dalla stampa al complesso olandese, quando non li hanno menzionati esplicitamente. Anche quelli che hanno riscontrato maggiore successo di pubblico si sono dovuti prima o poi confrontare con l’imponente statura e l’apice compositivo degli album dei Gathering. In pochi casi però avvicinandosi qualitativamente a essi, anzi, spesso uscendone fortemente sconfitti dal confronto, perché il “metal gotico” col cambio di secolo è gradualmente diventato un trend spesso scarsamente creativo ed eccessivamente propenso a riproporre stereotipi molto più blandi e banali, privi di reale spessore emotivo. Artisticamente si può dire che questo genere ha avuto ben poco da dire dopo i Gathering e poche formazioni successive hanno mostrato personalità, passionalità e ingegno compositivo paragonabili, al punto che la definizione “gothic-metal” per parte della critica di settore è diventata aprioristicamente negativa. Se applicata ai Gathering quindi non deve trarre in inganno e far incorrere al pregiudizio di uno stile stereotipato e dell’appiglio commerciale come per numerosi gruppi.
Il punto di riferimento canoro di Anneke sarebbe stato obbligato anche per tre formazioni symphonic-metal a voce femminile anch'esse olandesi venute alla ribalta pochi anni dopo: i Within Temptation, gli Epica e gli After Forever, che hanno riscontrato un relativo successo di pubblico. Probabilmente i Gathering sarebbero stati accostati a loro in un unico calderone negli anni successivi (nonostante le differenze di genere), se i sei di Oss non avessero deciso di staccarsi dal mondo metal. Scelta matura e sinonimo di cultura e apertura musicali, ma anche coraggiosa, dato che come già detto di lì a poco il goth con i suoi surrogati sarebbe diventato commercialmente molto fruibile e avrebbe garantito maggiore promozione e incassi con minor rischio d'impresa. Nighttime Birds infatti è l’ultimo album “metal” degli olandesi. Vediamo perché.
La svolta
Verso la fine del 1997 il secondo chitarrista Jelmer Wiersma decide di abbandonare il gruppo per concentrarsi sul suo lavoro come tecnico del suono e lasciando così solo René Rutten alle sei corde. I Gathering intanto sentono di essere come in un vicolo cieco compositivo: tanto l’etichetta quanto i fan nutrono determinate aspettative nei confronti del gruppo, che però le avverte come limitanti. Gli olandesi vogliono esprimere maggiormente il loro bagaglio musicale diversificato che spazia dai Motorpsycho agli ultimi Talk Talk e vogliono comporre in maniera più libera e creativa, reinventarsi. Persino i già citati 3rd and the Mortal si erano nel frattempo lasciati andare (ma con un’altra vocalist) a contaminazioni più esotiche, prima di evolversi in un gruppo rock atmosferico e minimalista.
L’incontro con il produttore veterano Attie Bauw, che mostra loro nuove tecniche di registrazione e incoraggia la loro volontà di sperimentare, è la spinta finale a cambiare genere. Così racconta Hans Rutten: "Lui è un produttore molto noto nei Paesi Bassi, con molto equipaggiamento professionale. Attie non aveva timore delle sperimentazioni, e a noi serviva qualcuno con gli attrezzi e la conoscenza per sperimentare. A quel punto i Radiohead pubblicarono Ok Computer. Lo amiamo ancora. Attie sapeva tutto su come quell'album è stato registrato. Non volevamo suonare come i Radiohead, ma le tecniche di registrazione erano molto interessanti. Quell'album è stato il modello per How to Measure a Planet?, insieme ad alcuni vecchi album dei Pink Floyd."
I Gathering rompono così col passato, attuando un radicale cambiamento nella loro musica che viene presentato con il loro quinto disco pubblicato nel 1998, How To Measure A Planet?: niente più gothic-metal lento e atmosferico, via i riff cadenzati e intensi, così come l’uso delle tastiere nel ruolo di tappeti imponenti di sottofondo. Anche Anneke Van Giesbergen rinuncia al ruolo di carismatica front-woman facendosi più calibrata, intimista e dolce nella sua voce angelica, e armonizzandosi meglio col resto del gruppo (per “essere più globale e meno individualista, e ridurre le urla”, avrebbe spiegato lei). Gli arrangiamenti sono più soffusi, le chitarre danno spazio a distorsioni psichedeliche e spaziali, gli umori si fanno ben più meditati. Il risultato è un nuovo corso fresco e coraggioso, gravitante attorno alla sinergia tra i musicisti che i fratelli Rutten definiscono semplicemente come "chimica".
Suddiviso in due dischi, l'album è un'intensa rappresentazione del tema del viaggio con digressioni eteree e dai toni soffusi. Si focalizza sulla ricercatezza, sulla contemplazione e su un approccio più riflessivo che d'impatto; è un'opera concettualmente più vicina all'art-rock che al dark. Se si eccettua la personalità di Anneke, con la sua voce irresistibile che è impossibile non risalti, i Gathering è quasi come se non avessero un volto: misurati, introversi, quasi schivi, concentrati nel tradurre in forma sonora le loro emozioni e suggestioni, che vengono condivise tra i membri senza che qualcuno prenda il sopravvento sugli altri come ruolo. Le chitarre anche quando ampiamente distorte non prendono mai il sopravvento, le tastiere riempiono l'atmosfera lasciando che il basso passi in primo piano per poi tornare sullo sfondo. È questa un'attitudine a modo suo molto floydiana, che li accomuna a svariate altre realtà musicali, ma dopo averne fatto tesoro in una maniera particolare, sognante, suggestiva. Sono come cinque ragazzi che condividono le stesse passioni e vorrebbero fondare un gruppo per suonarle assieme e raccontare sé stessi... ma con quasi dieci anni di più di esperienza alle spalle e la volontà di non lasciarsi condizionare come accaduto nel 1989. Sempre cristallini nell'intento di rimescolare i gruppi che amano per creare qualcosa di nuovo, e reinventarsi ogni volta, anziché accodarsi a tanti altri nella riproposizione o semplice variazione di un canone già affermatosi.
Stilisticamente, i Gathering si accostano a una personalissima e diluita forma di rock alternativo, influenzata proprio dalle atmosfere delicate dei Pink Floyd anni 70, con la loro musica evocativa e tratteggiata, dai giochi sonori dei Radiohead (che hanno da poco rilasciato il seminale Ok Computer e sono anch'essi un pizzico floydiani), infine intrisa di punteggiamenti più distorti vicini allo space-rock dei Motorpsycho. Pur non abbandonando la forma-canzone, il gruppo tende a diluirla nelle composizioni che formano dei soundscape intimisti. Si potrebbe in effetti parlare, mutatis mutandis, anche di progressive, al quale il gruppo certamente si avvicina ma senza adottarne la cerebralità tecnico-compositiva, alla quale preferisce la raffinatezza sonora e l'evocatività delle atmosfere. Per farlo i Gathering si ispirano nelle loro composizioni anche alla vena melodica degli shoegazer Slowdive, amatissimi dagli olandesi e in particolare dai fratelli Rutten, i cui spunti che influenzano il gruppo sono rinverditi in una veste più eclettica e cupa, spogliata delle stratificazioni più rumoristiche. Il risultato finale è molto personale, con echi e richiami amalgamati nell'insieme forgiando qualcosa di nuovo, senza suonare come esplicite connessioni se non in pochi momenti circoscritti. Ma tutto il gruppo attinge dai punti di riferimento più disparati per creare qualcosa di nuovo.
Anneke cita anche tra le proprie ispirazioni il gusto melodico vocale di David Bowie, Geerligs la libertà e l’attitudine dei Motorpsycho, e nel mentre il batterista Hans Rutten considera eccezionali i contrappunti ritmici di Geoff Barlow dei Portishead che prova a reinterpretare secondo i propri scopi. In effetti non sembra che nomi così diversi facciano capolino nel suono dell'album, piuttosto ispirano il processo creativo dei musicisti per costruire la propria personale visione sonora. Noi aggiungiamo tra gli ingredienti senz'altro anche qualcosina di "In This Room" dei 3rd and the Mortal, uscito l'anno precedente, con le sue sonorità minimali e intimiste; in più di un'occasione compaiono punti di contatto a livello di attitudine e voglia di distaccarsi dal passato... ma i Gathering suonano più creativi, corposi e cesellati, e con un gusto melodico superiore. Gli allievi superano i maestri ancora una volta.
Il primo Cd è il più soffuso e viene aperto dalla tenue e delicata “Frail”, malinconica ed evocativa, retta dalle sue placide ripetizioni di nota (qualcosa di simile lo faranno l'anno successivo i Piano Magic con "Crown Estate") in un sostrato rarefatto e sostenuto. “Great Ocean Road” sfoggia una effettistica avvolgente arricchita anche dal theremin coniugando prog-rock ed ethereal-wave, fino alla coda distorta psichedelica/spaziale che ricorda i Ride e gli Spacemen 3, mentre “Rescue Me” si adagia su arpeggi più delicati prima di sfociare in un intermezzo distorto e acido che si avvicina ai Mogwai. “My Electricity” è introdotta da una batteria lenta e cadenzata e dagli accordi di chitarra, pennellando umori malinconici con le sue note. Se il singolo “Liberty Bell” è un alternative-rock schitarrato ed elettronico, “Red Is A Slow Color” sembra riprendere il discorso del brano precedente intensificandolo e culminando nel ritornello con le tastiere string di sottofondo. Non è da meno “The Big Sleep” con la sua elettronica densa e fumosa, mentre “Marooned” si lascia guidare dal connubio di giochi ritmici e tastiere. Chiude il primo disco lo stupendo viaggio sonoro di “Travel”: una suite di nove minuti tra passaggi cadenzati di stampo pinkfloydiano e un'intensità chitarristica che richiama i King Crimson di "Epitaph". Il secondo Cd è più psichedelico: se la strumentale “South American Ghost Ride” è lenta e ipnotica, “Illuminating” emerge più con il suo basso funky-dub, il theremin e le atmosfere quasi ambient delle tastiere a sostenere la superba prestazione vocale di Anneke. “Locked Away”, lenta e ipnotica, è la canzone più corta – tre minuti – del disco: un preludio dark-rock agli emozionanti sette minuti di “Probably Built In The Fifties”, con una sezione ritmica decisa e il canto filtrato di Anneke ad arricchire l’atmosfera mesmerizzante, fino ai riff finali che ricordano "Tonight, Tonight" degli Smashing Pumpkins se incontrasse gli ultimi Massive Attack e il tutto venisse distillato più volte. A chiudere, la lunga suite della title track, quasi trenta minuti di cui la prima metà è ottenuta dilatando una jam session psych-rock minimalista, riverberata e arricchita di delays, mentre la seconda parte è una lunga outro ambient ripetuta.
Dopo l'uscita, How To Measure A Planet? incontra la disapprovazione di parte dei fan di vecchia data. Il pubblico più legato al passato lo accoglie tiepidamente, in diversi casi si sente tradito e non gradisce che la band abbia abbandonato la propria nicchia in favore di una musica più soft e per questo apparentemente più immediata se non, a detta dei più rigidi, "commerciale", per l'equivoco secondo cui le sonorità più dure siano meno adatte alla massa. Eppure, è vero l’esatto inverso, in una maniera clamorosa: la commercializzazione vi sarebbe stata insistendo sul goth-metal che di lì a poco sarebbe diventato un trend banalizzato e pre-confezionato, con l'emergere di numerosi gruppi fotocopia nella cena. Invece le sonorità introdotte dal gruppo sono molto più ricercate, lente e soffuse rispetto al rock più mainstream e decisamente meno da hit. Addirittura le vendite non raggiungono neanche i due terzi rispetto al precedente full-length, complici anche i dissensi con l’etichetta Century Media, poco presa dal nuovo corso del gruppo e destinata a rompere presto i rapporti. La critica musicale in genere invece intuisce il potenziale della formazione olandese e le perdona anche qualche piccolo difetto – come una certa tendenza alla sovrabbandonanza e alla prolissità – a fronte del coraggio di sperimentare e cambiare rotta, che invece loda apertamente. Il mondo dei musicisti ne è entusiasta e sono numerosi gli attestati di stima, mentre i colleghi Anathema si lasciano ispirare nella loro evoluzione sonora analoga.
Due anni dopo i Gathering anticipano il loro ritorno con l’Ep Amity, che propone una divertente cover di "Life Is What You Get It" dei Talk Talk (il cui percorso fatto di cambiamenti netti è stato anch’esso di esempio per il gruppo) e vari remix trip-hop o electro dell’omonimo singolo, e con il live Superheat. Col successivo album i Gathering scelgono un approccio maggiormente “d’impatto”, con chitarre più corpose e arrangiamenti più diretti che seguono maggiormente la forma-canzone, al punto che if_then_else (2000) sembra quasi un punto d’incontro a metà strada fra i due lavori precedenti; in realtà il riffing non ha tanto a che vedere col passato del gruppo ma piuttosto si riavvicina di più a certo space-rock e da un certo punto di vista ai Motorpsycho. Di primo acchito questo approccio più aggressivo potrebbe deludere e sembrare "semplificato", ma è un fraintendimento: in realtà anche nei riff più diretti viene riposta molta cura nel dettaglio sonoro, il risultato è una forma di alternative-rock intensa ed emozionale, scandita da atmosfere che si susseguono ora cupe, ora sognanti, rette dai riff distorti di Rutten e accompagnata dai bassi penetranti di Geerligs e dagli inserti tastieristici di Boeijen che trovano uno spazio diretto e immediato. Il disco inoltre è stavolta prodotto dai Gathering stessi, con l’assistenza di Zlaya Hadzich che rimarrà fino al successivo album incluso.
Così le atmosfere evocative che introducono "Rollercoaster" vengono subito squarciate da riff corposi e ribassati, attorniati da effetti elettronici oscuri e dalla voce cristallina di Anneke, mentre "Shot To Pieces" è più spedita, veloce ed energica; e lo è ancora di più in rapporto all’eterea ed emozionante "Amity", che sfocia in un vero e proprio dream-rock che ha il suo culmine emotivo nel climax della tastiera di Boeijen. "Bad Movie Scene" è un crocevia passionale tra Traffic e Spacemen 3, scandito dai timidi arpeggi, dalle distorsioni magmatiche, dalla potente voce di Anneke e dai contrappunti d'archi. La corposa "Colorado Incident" ricongiunge lo space-rock a riff sabbathiani, quasi stoner, intermezzi pinkfloydiani più eterei, assoli e bassi psichedelici; il risultato è mesmerizzante (il titolo è stato associato al massacro della Columbine avvenuto l'anno prima, ma in realtà si riferisce a un concerto cancellato tra molti disagi e scuse da parte del gruppo). "Analog Park" invece ha un'attitudine più oscura e diretta, in un connubio di suoni eterei e gorgheggi melodici (che vocalmente reinterpretano i Cocteau Twins), riff intensissimi space-rock, bassi degni degli anni del gothic-rock: il risultato è moderno e graffiante. "Herbal Movement" è un leggiadro trip onirico fra melodie dream-pop e atmosfere spaziali che ribadiscono quanto il gruppo abbia appreso la lezione dei Pink Floyd riguardo soundscape e texture, in particolare quelli di "Echoes"; è tra i brani più evocativi dell'album. Il titolo fa riferimento alle droghe, ma la canzone non descrive le sensazioni date dal loro uso come nella psichedelia classica, è invece una riflessione data dall'osservazione di chi le usa. La celebre "Saturnine", uno dei loro brani più noti, è più radio-friendly e gioca a rimescolare tastiere atmosferiche, riff cavernosi, inserti acustici, nostalgici giri di pianoforte e stratificazioni d’archi, un riuscito episodio hard-art-rock. "Morphia’s Waltz" è una ballata semiacustica dolce e rilassante, a metà strada fra art-pop e dream-folk, dove si raggiunge il punto di maggior spessore nel disco per quanto riguarda gli inserti d'archi, che comunque non prendono banalmente il sopravvento ma rimangono un accompagnamento vellutato di contorno. Già nel precedente album erano presenti sporadici inserti di strumenti classici, ma si trattava di campionamenti perché il gruppo giudicò troppo costoso aggiungere musicisti addizionali; invece su quest’album compaiono strumenti reali per la prima volta. Dopo un minuto di silenzio, a chiusura dell’album c’è la strumentale “Pathfinder”, interamente costituita da melodie tenui e cullanti e un’atmosfera notturna adatta a chiudere l’album.
Come per il predecessore, molti vecchi fan storsero il naso all'epoca dell'uscita, mal digerendo le tendenze di questo nuovo corso, troppo lontane dai gusti del pubblico iniziale. Ma if_then_else scorre liscio e perfettamente godibile, meno "rivoluzionario" ma anche più compatto nella composizione del suo predecessore, e come sempre non mancano brani molto melodici e dotati di una indubbia ricercatezza.
L'era della Psychonaut Records
Nel frattempo i rapporti con la casa discografica si complicano ulteriormente. La Century Media non gradisce l’operato dei Gathering, fa storie sulla loro libertà artistica mettendola in discussione per esigenze commerciali e tenta di promuovere Anneke come sex-symbol, ruolo per cui ella stessa provava disagio. Il gruppo si ritrova in difficoltà economica e per un periodo medita anche di smettere di suonare. I Gathering così non rinnovano il contratto e si concentrano sulla loro etichetta personale che avevano fondato già nel 1999 con lo scopo di produrre la propria musica con pieno controllo, la Psychonaut Records (dal nome che pare omaggiare la psichedelia), unica strada possibile per potersi esprimere in autonomia.
Il debutto per la nuova etichetta avviene nel 2002 con un Ep di ottima fattura, Black Light District: è composto da "Debris", un rock accattivante, orecchiabilissimo ed effettato, incentrato sul riff allucinogeno, sui bassi synth modulati à-la Muse e sul chorus viscerale e trascinantissimo; "Broken Glass", commovente pezzo di pianoforte che mette in risalto la voce di Anneke, che sarà riproposto nel successivo album con un arrangiamento differente; e la title track, una lunga ed evocativa suite dove si intrecciano note soffuse di pianoforte, crescendo da post-rock, spunti jazzy, eclettismo progressive e momenti più noisy e distorti. C’è anche un pezzo nascosto, "Over You", con chitarra acustica, effettistica alienante che ricorda i Radiohead di Amnesiac e voce filtrata che dona un effetto retrò.
Il vero nuovo Lp esce nel 2003 dopo un'estenuante gestazione durata ben due anni: più soft, cupo e intimista del predecessore, Souvenirs rappresenta un nuovo cambiamento. Le sonorità mettono da parte ogni tendenza riff-centrica per concentrarsi sull'equilibrio tra gli strumenti, sulle dinamiche vocali e le atmosfere. Le sonorità si fanno più tenui ma anche più oscure e psicologicamente tese, soprattutto nei testi. La figura chiave di Anneke continua a esaltare il potenziale emotivo delle sonorità con le sue linee vocali che si sono ulteriormente evolute: lontane dalle potenti tonalità di tempo, sono sempre più nostalgiche. L’iniziale "These Good People" è una vera perla dolente e commovente, con tastiere atmosferiche, sofferti riverberi di chitarra, batteria cadenzata ispirata dal trip-hop bristoliano, tenui linee di basso che accompagnano il pianoforte. L’attitudine che emerge fra le note si fa più oscura nel dark-rock angosciante di "Even The Spirits Are Afraid", con fiumi di note tesissime, incalzante parte ritmica vicina ai Porcupine Tree, basso dub finale e atmosfere che assumono contorni spettrali. La versione di "Broken Glass" qui presente è diversa da quella proposta nell’Ep precedente, parte stordente e depressa con un sintetizzatore che ricorda "Wandering Stars" dei Portishead, per poi divenire sempre più struggente e dolceamara, con un crescendo di voce e basso che conduce fino al climax di tremolo di chitarra da shoegazer.
La successiva "You Learn About It" è più distesa, un pop-rock radioheadiano condito da incanti celestiali degni dei Cocteau Twins, mentre il testo malinconicamente descrive la rottura con l'ex-etichetta Century Media. Una certa tensione tende a emergere nel corso dell’album, con il picco nella dolente title track e soprattutto nella pulsante elettronica di "Monsters" (di cui esistono due versioni differenti tra promo e album completo e a nostro avviso è più riuscita la prima): un brano feroce nelle sue atmosfere, sinistro e tesissimo, il cui culmine è il ritornello, dove le chitarre assordanti e l’intensa batteria colpiscono come un getto di fuoco che per poco non trapassa da parte a parte l’ascolto; da brividi le linee vocali, che seguono un testo allusivo e alienante scritto dal produttore Zlaya Hadzich.
"We Just Stopped Breathing" è più morbida e soffusa, filtrata con atmosfere elettroniche metropolitane che ricordano i Massive Attack, impreziosite dalla presenza di Mathias Eick dei Jaga Jazzist alla tromba. "Golden Grounds" richiama alla memoria i Pink Floyd, ma impiantandoli su di una base molto più dark e alienante, a tratti quasi claustrofobica, soprattutto per via degli effetti di riverbero applicati alla batteria e ai giochi sonori di sfondo. "Jelena" è aperta da una serie di chords riverberati che danno origine al punto più oscuro e spettrale di tutto l’album. Si trasforma in poco tempo in una marcia lenta, nebbiosa, densa e surreale, accompagnata da chitarre distorte raggelanti simili a quanto fatto dagli Antimatter nel loro esordio uscito l'anno prima, linee vocali eteree, pulsante battito di sottofondo e atmosfere alienanti. Nella conclusiva "A Life All Mine", scritta in collaborazione con Kristoffer Rygg degli Ulver, abbiamo invece un pezzo a metà strada fra elettronica minimale, ambient-pop e trip-hop, e in cui si avverte la mano del compositore norvegese (reduce dallo sperimentale "Perdition City").
Souvenirs è forse l'album più cupo e ispirato del gruppo fino a questo momento, un disco art rock oscuro e poliedrico, dallo spirito per metà alternative quanto a ricerca sonora, metà progressive quanto a spinta innovatrice, arricchito anche da altri ospiti minori che collaborano nelle registrazioni oltre a quelli già citati. Con le dovute proporzioni è anche il disco dei Gathering più influenzato dalle atmosfere di un certo trip-hop urbano, sofferto e oscuro, pur non rientrando direttamente nel genere. Il songwriting è più diluito e meditato del suo predecessore a livello di strumentazione standard, ma più variopinto per quanto riguarda l'effettistica e il lavoro di post-produzione. Il ruolo di Anneke nell'economia dei brani è centrale ora più che mai, dando compiutezza a pezzi costruiti di modo da dare spessore al fascino magnetico della sua voce, tra versi vellutati e ritornelli al cardiopalma. In più di un'occasione traspare che gli arrangiamenti siano estremamente ricercati e suggestivi, ma che senza di lei perderebbero gran parte del mordente perché ideati in simbiosi. Il titolo del disco sembra ispirato a "Memoirs" dei 3rd and the Mortal uscito l'anno prima, ma non ci sono analogie a livello qualitativo. I norvegesi hanno perso creatività e pubblicato un disco trip-hop troppo inspido e discontinuo, mentre gli olandesi hanno ormai da tempo superato quelli che un tempo sono stati una delle loro fonti d'ispirazione inanellando una serie di opere di alto valore. Intanto i colleghi e amici Anathema lo stesso anno pubblicano "A Natural Disaster", vibrante mix di pop/rock, prog e downtempo, mentre da una loro costola gli Antimatter esordiscono mescolando acoustic-rock, ambient, gothic-rock e trip-hop.
Nel frattempo, la Century Media esaurisce le pubblicazioni a firma Gathering previste dal precedente contratto. Se si escludono varie raccolte e Dvd non ufficiali pubblicati in questi anni, che il gruppo prontamente rifiuta (e che rappresentano materiale del tutto trascurabile), l’etichetta pubblica l’interessante compilation di b-side e inediti Accessories (comprensiva delle cover di Dead Can Dance, Slowdive e Talk Talk prima citate) ma soprattutto l’ottimo live Sleepy Building – A Semi Acoustical Evening. Si tratta di un concerto tenuto nell’estate 2003 in cui i Gathering hanno proposto materiale di tutta la loro carriera fino al 2000 più l’inedita title track, ma riarrangiandolo e ricostruendolo totalmente in maniera semi-acustica e minimalista. L’attitudine rivela affinità con gruppi come i Pink Floyd e gli Slint, ma è sempre fortemente personale. Tutto il disco suona compatto ed essenziale, riducendo ai minimi termini la strumentazione. Il risultato è di esaltare ancora di più la voce di Anneke che brilla proprio per questo motivo. Tutto è rallentato, diradato nei dolci rintocchi di pianoforte e nelle tenui chitarre che accompagnano Anneke. L’effetto è ancora più dirompente e stupefacente sui vecchi brani e la classe mostrata è eccelsa: "Like Fountains" diventa una meravigliosa, commovente e dolcissima ballata scandita dal pianoforte e dalle percussioni; "The Mirror Waters" e "In Motion # 2" si tramutano in un gothic-rock mesmerizzante arricchito da tremoli shoegaze; "Stonegarden" si avvicina allo slowcore. Ma tutto l'album è un gioiello.
Subito dopo la pubblicazione di questo live viene annunciata una nuova defezione dalla line-up: stavolta è il bassista Hugo Prinsen Geerligs, che non se la sente di proseguire l’impegno oneroso col gruppo a fronte dei numerosi impegni personali.
La sostituta è la giovane bassista Marjolein Kooijman e il modo in cui è stata “assunta” a soli 24 anni è curioso: nel 2004 lavora in un negozio di dischi e strumenti musicali e per una fanzine musicale, mentre nei ritagli di tempo libero suona in un gruppo blues di nome leDimanche (nel 2009 avrebbero poi pubblicato un interessante disco con influenze jazz, trip-hop e post-rock). Un giorno viene concordata un’intevista a René Rutten, che viene condotta al tavolinetto di un bar. Mentre i due chiacchierano, René la informa che il bassista avrebbe lasciato il gruppo e, su due piedi e senza neanche pensarci, propone alla giovane Marjolein di rimpiazzarlo.
Con la formazione rinnovata, i Gathering nel 2005 collaborano al disco d’esordio degli acid rocker Drive By Wire; dopodiché pubblicano il DVD A Sound Relief (primo ufficiale, ma non primo in assoluto come già detto), che recupera il discorso di Sleepy Buildings e che avrà un seguito nel 2007 con A Noise Severe, che mostra invece il lato più rock del gruppo.
C’è poi quello che è a tutti gli effetti un album “perduto”, ovvero Passengers in Time: The Musical History Tour. Quest’album è praticamente sconosciuto a molti, anche perché il gruppo non lo considera una sua pubblicazione ufficiale e non è comparso nemmeno sul loro sito per molti anni. Pubblicato in accompagnamento a un trattato di storia del professor Wim Kratsborn, che mette la firma sul disco, e scritto assieme ad Anja Sinnige, si tratta di un lavoro che cerca di musicare i vari appuntamenti storici dei capitoli dell’opera. Si inizia così con l’ambient-folk di “Deer Hunter” a rappresentare l’uomo primitivo, per poi scorrere tra le epoche con l’effettistica simile alla prima Goldfrapp di “The Philosopher and the Soldier”, il tetro pianoforte di “Everyday Is Like a Thousand Years”, il malinconico folk acustico di “Mediaeval City”, le melodie di piano di “New Horizons”, il clavicembalo barocco di “Golden Age”, gli effetti psichedelici di “Talking About the Revolution”, il pianoforte dissonante di “Lost in Munch’s Scream”, la cupa e disperata “Thunder Without Frequencies”, l’elettronica kraftwerkiana di “Coldwar Child” e i ritmi upbeat di “Anachrone Circles”. Tutto sommato l’opera non sembra essere nelle corde dei Gathering, che si limitano a eseguire un compitino di maniera, senza troppa ispirazione e con pochi guizzi. Ma probabilmente ha poco senso concepirla slegata dal lavoro scritto di Kratsborn.
Nel 2006, nuovamente sotto l’egida di Attie Bauw come produttore, vede la luce l’ottavo disco in studio Home: meno dolente anche se non mancano momenti malinconici, esso accentua ancora di più l’aspetto melodico senza sminuire il lato più intimista e quello più effettistico. La base negli arrangiamenti resta quella introdotta con Souvenirs, ma i Gathering si evolvono di nuovo in favore di una vena melodica più “pop-rock” e aperta, dando alla luce un’opera singolare e dalle molte sfaccettature. Vengono presentate così atmosfere evocative cedendo la cupezza urbana del predecessore a tonalità più solari, che nei momenti più intimisti e dolceamari si avvicinano piuttosto ai Piano Magic (si confrontino per esempio "The Quiet One" con "Password" o "Your Troubles Are Over" con "Incurable" per le affinità melodico-emotive tra questi due gruppi). Svetta la voce limpida di Anneke: la cantante olandese utilizza ormai sovente un canto a “mezza-voce”, con acuti sfiorati con delicatezza. In ciò influisce anche la sua recente maternità, che influisce anche sui testi che si fanno più speranzosi e positivi: Home è un album che sprigiona positività, speranza e conforto in ogni sua nota, come una risposta definitiva e pro-attiva alla solitudine e alla fragilità talvolta citate nei precedenti album. Sono poche le occasioni in cui Anneke Van Giersbergen prende di petto le canzoni, ma è sempre grazie a lei che la musica dei Gathering può esprimersi al massimo. Ricchi di cesellature sonore, i brani sono apparentemente scarni nella loro struttura, in realtà mettono avanti giochi di note semplici e diretti, limandoli con effetti suggestivi o inserti melodici di supporto. Ancora una volta, più che nel precedessore, Anneke acquisisce un ruolo preminente, con brani costruiti attorno a lei e per lei, con ambo gli aspetti (quello canoro e quello strumentale) che si esaltano a vicenda per trovare compiutezza.
Ad aprire l’album provvede una hit pop-rock come “Shortest Day”, orecchiabile, semplice e diretta, in contrasto con brani meno immediati come “A Noise Severe” (con gorgheggi melodici che si congiungono a lenti e massicci riff distorti di sottofondo e ad atmosfere quasi drone e post-rock), “Solace” (immersa in effetti allucinogeni di chitarra, ritmi marziali sostenuti dalla batteria e dalle ultime corde in muting della chitarra elettrica) o la stupenda title track (un denso viaggio fra tappeti onirici di tastiera, distorsioni noisy ed effetti riverberati). Il punto più oscuro dell'album è la lisergica “Alone”, con una componente elettronica maggiore espressa tramite refrain tenebrosi di synth e una batteria filtrata elettronicamente a sostegno delle chitarre acide. La conclusione cambia registro a partire da un intermezzo trance-ambient che eleva all’ennesima potenza il lato più onirico dei Gathering e prepara la voce di Anneke che intona a pieni polmoni un messaggio ottimistico e di speranza. Il punto più dolce è diviso fra “Forgotten” (composta soltanto da un timido piano che costruisce tutta la melodia e dal cantare dolce di Anneke, e poi rielaborata in chiave più elettronica, onirica e commovente con “Forgotten Reprise”) e “Box”, timidamente suonata da leggere chitarre appena distorte e da un pianoforte coperto, fino alla tradizionale effettistica da trip lisergico in chiusura. “In Between” coniuga spunti più progressivi e tempi dispari d’esecuzione con una forte componente melodica soprattutto vocale, la breve “The Quiet One” è un delicato brano acustico con gorgheggi melodici di chitarra e inserti acustici, “Fatigue” è una parentesi ambient/noise, “Your Trobles Are Over” è orecchiabile ed eterea. Il capolavoro dell’album è forse “Waking Hour”, malinconico duetto fra la voce di Anneke e il pianoforte di Boeijen che raggiunge il suo apice negli acuti centrali, nelle penetranti linee di basso, nell'emozionalità delle liriche e nella chiusura pinkfloydiana.
In questo periodo e col tour seguente a Home i Gathering sono all’apice della loro popolarità dopo il cambio di corso, contribuiscono alla colonna sonora di un cortometraggio giapponese intitolato “The Quiet One” e vengono riscoperti anche da quel pubblico che prima li aveva snobbati, mentre iniziano timidamente a espandere il loro pubblico anche negli ambienti indie-alternativi. Purtroppo, è un sogno da cui gli olandesi si risveglieranno bruscamente perché dopo quest’album ci sarà l’ennesima dipartita, la più significativa di tutte, e stavolta non sarà tanto immediato trovare un rimpiazzo.
L'abbandono di Anneke
Durante l’estate del 2007 avviene l'inaspettato e i Gathering annunciano, non senza dispiaceri, sul loro sito che Anneke Van Giersbergen avrebbe lasciato il gruppo per concentrarsi sulla vita privata (i tour sono stancanti e la tengono lontana dalla sua famiglia) e sulla sua carriera solista, che da tempo progettava di avviare ma per cui non aveva tempo: “Dopo molte considerazioni e serie riflessioni personali, penso che sia giunta per me l’ora di cambiare la direzione della mia vita e pormi nuovi obiettivi da raggiungere”, così recita il comunicato.
L’annuncio coglie tutti di sorpresa, soprattutto i membri del gruppo che non si aspettavano assolutamente la decisione di Anneke e devono modificare le date finali del tour estivo; ma soprattutto non si aspettavano che lei avesse già pronto, con un disco prossimo alla pubblicazione, il suo progetto personale (in cui partecipa come batterista suo marito Rob Snijders proveniente dai Celestial Season). Gli altri non la prendono molto bene, soprattutto i due fratelli Hans e René Rutten che già da un anno avevano percepito che Anneke fosse provata e non avesse più l'affiatamento di un tempo. Per provare a rimediare le avevano offerto tutto il sostegno e lo spazio personale possibili, compresa l’eventualità di mettere in pausa il gruppo per 3-4 anni prima di tornare assieme in studio, di modo da darle tempo di riposare e condurre la sua attività solista. Ma Anneke non vuole più suonare con loro. Nonostante la delusione, gli olandesi accettano comunque la separazione e augurano buona fortuna alla ormai ex-compagna di band.
L’evento ad ogni modo lascia un dubbio duplice: cosa avrebbe fatto Anneke senza i Gathering? Cosa avrebbero fatto i Gathering senza di lei?
Il debutto solista della cantante si intitola Air e conserva qualche residuo del Gathering-sound, assestandosi però su coordinate più convenzionali e molto meno ricercate. Nel complesso si tratta di un modesto pop-rock essenziale, intimista e intriso di venature dark, senza troppe pretese o ambizioni se non di esprimere le sensazioni più personali di Anneke con un’attitudine tendenzialmente minimalista. L'ugola d'oro di Anneke è indiscutibile, ma il lavoro nel complesso non eccelle e necessita di ulteriore messa a fuoco compositiva. Lasciamo ora la carriera solista di Anneke alla monografia dedicata.
I Gathering, pur scossi dall’abbandono della loro celebratissima voce e icona, non demordono, convinti che in fondo ciò che si riteneva speciale nella loro musica non avesse alcun motivo di sparire completamente assieme a lei. "Anneke ha contribuito molto a rendere i Gathering quel che sono, ma i Gathering non sono Anneke" è in sintesi il pensiero di Hans Rutten in merito.
Così, gli olandesi lanciano un annuncio online per dei provini, ascoltano centinaia di brani spediti da aspiranti nuovi cantanti, e alla fine scelgono Silje Wergeland, proveniente dagli Octavia Sperati (un discreto gruppo goth norvegese) e con un timbro vocale limpido e avvolgente. Per lei è una svolta nella carriera, anche se sarà tremendamente difficile il giudizio di pubblico e recensori perché il paragone con Anneke incomberà immediatamente a ogni nota.
La formazione entra in studio per dar vita all’Ep City From Above (con l’inedita “Miniatures”, pezzo atmosferico e dai bassi pulsanti, e la meno riuscita “title-track”, lunga e spettrale rarefazione ambient) e a The West Pole, nono sigillo di una carriera ormai ventennale e prodotto dal solo René Rutten. Viste le esigenze, ci si poteva aspettare probabilmente il loro lavoro più ambizioso e sperimentale, ma in realtà i Gathering percorrono il sentiero inverso, puntando piuttosto a un lavoro molto più semplificato, etereo e melodico, e con più aperture al lato chitarristico (che si avvicina allo shoegazing nelle chitarre distorte ma senza varcarne il confine) rispetto ai recenti predecessori. È proprio quest'ultimo fattore la chiave d'interpretazione, poiché l'album rappresenta in parte una rottura con lo stile compositivo degli ultimi due dischi, in cui le chitarre erano diluite, lo spazio dato alle digressioni atmosferiche e all'effettistica maggiore, le composizioni accompagnavano la voce di Anneke.
The West Pole si richiude nella dimensione più intima del gruppo, che sembra quasi dare uno sguardo al proprio passato per ricapitolare la situazione e trovare le basi da cui ripartire con un nuovo ciclo. Come a voler andare sul sicuro, senza rischiare, prima di aver metabolizzato a dovere il cambiamento e assestando Silje su linee vocali ricalcate su quelle di Anneke (e anche per questi motivi probabilmente non è presente in tutti i brani e partecipano due ospiti). Ciò che emerge principalmente è la divisione fra un’anima più distorta e immediata, espressa principalmente nelle prime canzoni in cui prevale l’elemento “riff-centrico” abbinato a spunti che esaltano il lato più sognante del gruppo, e una maggiormente psichedelica/atmosferica, concentrata invece nella parte centrale dell’album e che tocca i picchi più oscuri. Se la prima suona gradevole ma scontata (con i vertici della solare “Treasure” e della corposa title-track), la seconda mostra più spessore e caratterizzazione (“No Bird Call”, cupa e raggelante; “Capital Of Nowhere”, che riprende gli arrangiamenti di Home in chiave più dream-pop e con vocalizzi molto vicini ai Cocteau Twins; la mesmerizzante e psichedelica “Pale Traces”) pur rimanendo lontana dagli acuti dei precedenti lavori. A far da collante al tutto ci sono comunque la classe infinita dei Gathering e tutta la loro perizia in studio – dalla presenza nitida dei bassi fino alla produzione – nonché piccoli inserti sonori a sorpresa, come gli archi aggiunti in piccole dosi lungo diversi punti del disco per aumentare l’emozionalità delle canzoni (con risultati, per la verità, non sempre convincenti e a tratti lambenti il manierismo). Insomma, il ritorno della band olandese, pur orecchiabile ed easy, si rivela però meno ricco ed espressivo di quanto ci si aspettava. La sensazione che i Gathering siano regrediti mina il risultato finale, facendo sembrare i brani più deboli delle b-side di if_then_else e limitando l’efficacia di quelli migliori. The West Pole è dunque un album di transizione, per forza di cose un “checkpoint” per guardare al futuro.
Dopo una breve pausa e una mini-reunion con alcuni dei vecchi membri per alcuni concerti dedicati agli esordi del gruppo, nel 2012 esce il decimo album studio del gruppo, Disclosure. Il disco della “stella” rappresenta nella sua totalità un apprezzabile distacco dall’approccio maggiormente chitarristico del precedente The West Pole (il quale a sua volta si distacca dai lavori immediatamente precedenti, più atmosferici ed introspettivi). Il disco si basa maggiormente su un crogiolo di giochi compositivi che navigano fra dark, elettronica, pop, progressive, a volte ambient e psichedelia. Ma è anche a tratti un po’ manierista e artificioso, ed è questo il sassolino nella scarpa che gli impedisce di raggiungere i picchi di espressività ed innovazione raggiunti in passato; anzi, per certi versi The West Pole, pur essendo meno ricco e curato, suonava più spontaneo, diretto e coinvolgente. Inoltre la presenza di soli 8 brani (di cui due suite e un riarrangiamento di un altro brano), per quanto sviluppata comunque lungo 51 minuti, dà la sensazione che manchi qualcosa e ci sia un pizzico di incompiutezza.
Non si tratta di un lavoro propriamente sperimentale, facendo anzi riferimento a due formazioni che sono state importanti per il gruppo come i Pink Floyd e i Dead Can Dance (dei quali ritornano in auge le influenze più esotiche e mesmerizzanti che si erano un po’ perse negli anni); ma il risultato suona certamente più variegato e soffuso che nel predecessore. Anzi, va detto che spesso e volentieri le chitarre in Disclosure si congedano tranne che per contribuire con note e fraseggi atmosferici di contorno. Non troverete un intenso riff principale attorno a cui incentrare le canzoni, lasciando che il disco nel complesso sia molto equilibrato e certosinamente arrangiato in maniera variopinta, mentre le redini vengono prese dai tappeti atmosferici e dalla voce molto bella di Silje, che si mostra più a suo agio col gruppo ed ha personalizzato le sue linee vocali.
L’iniziale “Paper Waves” è molto orecchiabile ed accattivante, con le sue note esotiche ad evocare viaggi verso paesi lontani, gli archi (un po’ banalotti) a tingere il tutto di emozionalità, la batteria incalzante e il finale melodrammatico. “Meltdown” è un brano pop-rock effettato e negli intenti molto incalzante, con bassi penetranti e synth trascinante, a metà strada fra prog anni ’70, Sonic Youth e il gusto per l’effettistica del britpop britannico. Rilevante la comparsata della voce maschile del tastierista Frank Boeijen, primo duetto dagli arcaici tempi degli esordi, forse come primo “esperimento” per qualche futuro approfondimento. Da metà brano in poi, però, il tutto sfuma in una tenue ballata elettronica onirica a tinte cupe. Il risultato complessivo non è qualcosa di inaudito o particolarmente suggestivo (a parte forse quando subentra la tromba dell’ospite Noel Hofman), ma si ritaglia il suo piccolo spazio senza lode e senza infamia. La successiva “Paralyzed” coniuga il dark atmosferico dei primi Antimatter con il dream-pop. Ma il risultato è un po’ banale, melenso e di maniera. La poliedrica “Heroes for Ghosts” è un meraviglioso omaggio ai Pink Floyd sia per la citazione del titolo sia per gli arpeggi psichedelici, il tutto fuso con un’atmosfericità onirica ed esotica. Poi i soliti archi, che introducono l’evocativa tromba… il brano è, con tutta probabilità, il più intenso ed affascinante del disco, una lunga suite che rappresenta la summa dell’album, nonché uno dei brani più efficaci di sempre del gruppo e che più rinverdisce l'influenza progressive del gruppo. “Gemini I” è un crogiolo di sferzate dark acustiche, climax emotivi nell’efficace ritornello, minimalismo che si riallaccia ad How to Measure a Planet? ed umori tanto penetranti quanto passionali. La ballata “Missing Seasons” è un breve rimando a Mike Oldfield che intreccia dolenti accompagnamenti di pianoforte e vellutati arpeggi acustici, ma un po’ anonima rispetto al resto dell’album. “I Can See Four Miles” (titolo che cita i Who) è un’epica suite a metà fra spunti jazz, rock sinfonico e crescendi post-rock, emozionante pur un pizzico ripetitiva. La conclusiva “Gemini II” non aggiunge nulla di nuovo e suona più piatta e melensa, ed è un peccato perché essendo il brano conclusivo contribuisce al senso di incompiutezza prima citato di un album che ha comunque molti momenti eccellenti.
Contemporaneamente al disco, i Gathering rilasciano anche l’Ep Afterlights, limitato a sole 1000 copie e che contiene 3 inediti, che un anno dopo saranno raccolti nell’ultimo full-length Afterwords, assieme ad alcune reinterpretazioni di brani di Disclosure.
Afterwords sembra quasi un filler nella discografia del gruppo. Rispetto al predecessore, mostra una maggiore contaminazione ambient, elettronica e in parte trip-hop, con interessanti sperimentazioni nella realizzazione dei soundscape, ma è permeato ancor di più da un senso di incompiutezza. “S.I.B.A.L.D.” è un ambient onirico e psichedelico che si dilata in un post-rock arricchito dalla tromba e dagli strati di tastiere elettroniche che accompagnano la batteria. “Echoes Keep Growing” è un remake di “I Can See Four Miles” che combina battito elettronico e strings, ma sembra più una b-side ripetitiva e senza spessore emotivo (eccetto per il distortissimo riff finale) dei Lamb. La ballata elettronica “Areas” ha il suo momento di maggior interesse nel duetto fra Silje e Frank Boeijen, ma scorre via senza incidere. La title-track vede il ritorno di un vecchio amico: nientemeno che Bart Smits (in foto a lato con Silje), uno dei fondatori, dopo circa 20 anni, ora alle prese con la sua voce pulita (simile a quella di Brendan Perry dei Dead Can Dance) adagiata su un’elettronica downbeat minimale. Si rivela un abile interprete, e durante il 2012 lo si è visto anche tornare con la stessa formazione del primo album in una serie di concerti “nostalgia” per l’anniversario del debutto su disco. Silje torna comunque con l’esotica “Tuning in Fading out”, mentre “Gemini III” riarrangia “Gemini II” e la breve parentesi strumentale “Afterlights” è un piacevole tappeto di tastiere e sintetizzatori minimalisti che rievoca in parte le atmosfere dei Mogwai e dei Sigur Ròs; suonano godibili ma senza offrire sostanzialmente nulla di nuovo. “Sleep Paralysis” riprende “Paralyzed” in maniera più onirica e lisergica, mentre la conclusiva “Bärenfels” è una versione più atmosferica e dilatata di “Heroes for Ghost”, vicina allo space-ambient e alle tonalità dilatate di “How to measure a planet?”. Complessivamente un passo indietro di minor ispirazione, molti fan del gruppo preferiscono considerare Disclosure il vero ultimo Lp del gruppo - cosa che per certi versi sarebbe vera al di là della differenza qualitativa.
E qui si conclude la storia (almeno in studio, per ora) dei Gathering: subito dopo la pubblicazione di Afterwords, che come dice il nome funge da epilogo e poscritto alla carriera del gruppo, Marjolein Kooijman annuncia a malincuore che lascia il gruppo per proseguire la propria strada indipendente (ha intanto pubblicato il debutto dei leDimanche, intitolato “Colours of Shade”, ed è entrata nel gruppo noise-pop The Sugarettes, che è in fermento e con cui ha inciso “Destroyers of World” nel 2012) e il gruppo annuncia su Facebook di prendersi una lunga pausa a tempo indeterminato “per riconsiderare che forma dare al futuro del gruppo”. Frank Boeijen inoltre ha da alcuni anni il proprio side-project, i Grimm Limbo, e collabora nel collettivo elettronico Glaxclock; mentre i due fratelli Rutten affrontano felici cambiamenti nella loro vita personale, e danno vita al progetto Habitants che suona molto gathering-iano e arriva a esordire nel 2018.
Gli ultimi due dischi forse deluderanno chi è alla ricerca di opere più rock-oriented. Si sarebbe potuto fare di più? Forse no. Come già detto, Disclosure e Afterwords suonano più variegati di The West Pole e permangono classe compositiva, maturità e cura negli arangiamenti. Risultano in ogni caso superiori alla maggior parte degli ultimi lavori solisti di Anneke Van Giersbergen, che sembra essersi impantanata dopo il deludente "In Your Room" per poi far confidare in un risollevamento con "Everything Is Changing".
Già, Anneke che fine ha fatto?
Insieme un'ultima volta
Anneke non si è limitata a pubblicare dischi solisti (altri quattro, nel frattempo il monicker Agua de Annique era stato sostituito dal suo solo nome in copertina), ma si è dedicata anche a collaborazioni varie e comparsate nei dischi degli artisti di più o meno mezzo mondo. Che compaia in pochi brani o per tutto il disco, in studio o in live, la contiamo assieme a più di 15 artisti differenti dal 2008 al 2015 (nomi del calibro di Arjen Lucassen, Danny Cavanagh o Devin Townsend), dei generi musicali più disparati. Non male per una artista che nel 2007 sentiva il peso degli impegni e la mancanza della famiglia al punto da dover lasciare il gruppo con cui ottenne la consacrazione.
Fra tutte queste apparizioni, viene spontaneo ipotizzare un possibile ritorno con i Gathering, magari per un solo brano. L’eventualità viene paventata dalla stessa Anneke nel 2009 in un’intervista in cui afferma che tutto è possibile, ma la reazione di René Rutten è testualmente di porte chiuse per lei. D’altronde, non avrebbe senso trattare il gruppo come un divertissement in cui tornare a discrezione dopo avere scelto strade separate.
Ma si sa, il tempo guarisce le ferite e la nostalgia è canaglia, così viene alla fine trovato un compromesso: in occasione del 25° anniversario della formazione del gruppo, il 9 novembre 2014 a Nijmegen presso il Doornrosje, i Gathering si riuniscono assieme ad Anneke e a tutti i membri passati del gruppo (tranne Duffhues, che dopo varie collaborazioni ha avviato una carriera solista di nicchia, e Martine Van Loon che non suona più dal 1997) per un doppio concerto-tributo di compleanno. L’evento è un successo e si nota soprattutto Bart Smits, frontman carismatico al microfono, che nonostante la grande distanza temporale coinvolge e si integra alla perfezione con un gruppo che per oltre due decenni è proseguito per un’altra strada. Marike Groot invece si mostra meno a suo agio sul palco, è più statica e certo invecchiata di più; mostra comunque delle capacità vocali degne della serata, anche se un po’ offuscate da un volume migliorabile. Ad ogni modo tutto il pubblico del concerto è concentrato su Anneke Van Gierbsergen: è lei la frontwoman storica dei Gathering, anche dopo aver lasciato il gruppo, e per lei sono gli applausi più scroscianti e le invocazioni più sentite. Silje, per quanto brava e in ottima sinergia con lei nei duetti, non può sostituirla nei ricordi del pubblico e, consapevoli forse di questo, le due cantanti hanno cercato in tutti i modi di pensare più che altro a divertirsi e a condividere la loro passione per la musica e per il gruppo in sintonia.
L’evento viene immortalato con un doppio album intitolato TG25: Live at Doornrosje, pubblicato ufficialmente solo il 31 gennaio 2016, e questa per ora è la conclusione di una carriera all’insegna della sperimentazione e della personalità.
Dopo 25 anni di musica, dei Gathering rimane il rammarico per l’ostracismo ricevuto quando decisero di virare stilisticamente e imbracciare nuove sonorità. Nonostante opere di indubbio valore composte durante la prima fase del gruppo, l’eredità di complesso metal agli esordi ha inciso negativamente sul loro percorso, tanto per la freddezza ricevuta dalla label e dai fan della prima ora dal 1998 in poi, quanto perché spesso li si è seguitati a invitare in festival metal (per il loro passato) dove risultavano spesso delle mosche bianche, quasi pesci fuor d'acqua, e nei quali non sono mancati episodi amari di disinteresse. Tali eventi hanno inoltre fatto sì che il gruppo acquisisse maggiore popolarità presso il pubblico non metal lentamente e con fatica, proprio perché percepito ancora come gruppo del genere nonostante non avesse più niente a che fare con lo stesso.
Ma a guardare le cose dall'alto, col senno di poi, si può notare anche come, nonostante le dichiarazioni sulla "chimica" tra i membri, o forse proprio a causa di questo affiatamento comune, i Gathering col tempo siano diventati sempre più Anneke-centrici. Venuta meno la sua voce eccezionale e trascinatrice, al gruppo è mancato un rimpiazzo con la stessa personalità che guidasse la carica emozionale dei brani, che valorizzasse col suo timbro unico l'ispirazione degli altri membri del gruppo come fu con perle di melodia e sentimento come "Waking Hour", "Broken Glass" o una "Amity". Si è tolta così parte degli ingredienti necessari a generare quella "chimica" tanto affascinante (lo stesso è avvenuto sull'altra faccia della medaglia della nuova carriera di Anneke, con la sua voce a risplendere tra album e collaborazioni per il resto spenti). Senza l'affiatamento di un tempo, persi la carica e lo spirito che a lungo avevano mosso gli olandesi, anche l'ispirazione ne ha risentito.
Silje Wergeland è una bravissima cantante, ma impiantata dall'esterno e all'improvviso in un complesso che aveva trovato un proprio equilibrio, in cui difficilmente si possono sostituire le componenti. The West Pole è un disco spontaneo e orecchiabile, ma più ordinario dei precedenti album. Disclosure suona più ricco e caratterizzato, ma anche più artificioso. Paradossalmente, proprio il cercare di mantenere bilanciata la Wergeland con gli altri membri frena il talento compositivo degli olandesi, e i vari interventi terzi al microfono sono interessanti presi singolarmente ma nel loro contesto rafforzano il vuoto lasciato.
Blueprints (2017) è una raccolta di inediti e demo provenienti dal periodo 2002-2006. L'uscita è di particolare interesse perché permette di tornare a sentire al microfono Anneke per canzoni inedite. Gli inediti, cioè i pezzi "outtake", sono ovviamente al centro del mirino. Sono per la maggior parte brani melodici in definitiva godibili, ma non tutti spiccano per davvero. Sono anche in larga parte strumentali, vuoi perché concepiti fin dall'inizio come interludi, vuoi perché non giudicati sufficientemente convincenti prima di abbozzare delle linee vocali da abbinarvi. Le rimanenti versioni demo si lasciano ascoltare, ma nel complesso questa release è consigliata solo ai fan collezionisti del gruppo.
Nel 2022, dopo quasi dieci anni senza notizie in studio, gli olandesi tornano con Beautiful Distortion. L'album è stato anticipato dal singolo "Stronger", un pezzo synth-pop/downtempo con toni notturni ed effettistica moderata, basso deciso e tastiere arabesche, non incluso nel full-length.
In prominenza appare subito il lato "dreamy" del gruppo, affidato principalmente alle linee vocali e all'effettistica atmosferica, ma molto poco alle chitarre che non suonano mai eteree o dilatate, piuttosto si alternano tra la dolce melodia di riempimento e il riff più duro di sfondo, e senza mai guidare le canzoni. Nel complesso il lavoro suona come una sintesi dei suoi immediati predecessori del periodo Wergeland, uniti però ad alcuni spunti in alcune canzoni ("Grounded", in misura minore "Black Is Magnified" e in misura maggiore la corposa "We Rise", che suona come una mezza via tra art-rock, dream-rock e goth-metal) che rimandano nientemeno al lontano Nighttime Birds del 1997, come se il gruppo volesse citare il proprio passato per riassumere tutta l'acqua che è passata sotto i ponti. C'è poi "Pulse of Life", in pratica una canzone post-punk pennellata con effetti elettronici atmosferici e una lunga coda di tastiera; niente di originale in senso assoluto, ma suona inedita nella discografia dei Gathering. L'apice del disco però è forse la conclusiva, struggente "On Delay", scandita da dei sintetizzatori notturni e vaporosi che catturano appieno le emozioni affrante.
Beautiful Distortion è un album abbastanza variegato e molto curato sonoramente, sicuramente molto atmosferico e con rintocchi di piano melodico abbastanza in evidenza, anche se a volte prevale più la forma. Si rivela un capitolo conclusivo dignitoso per la discografia dei Gathering, nella nicchia che si sono ritagliati.
Nonostante tutto, agli olandesi non è mai importato di sfondare commercialmente: hanno preferito rimanere coerenti con loro stessi e scrivere buona musica “proveniente dal cuore”. Così facendo si sono ritagliati una propria nicchia di qualità, hanno ricevuto apprezzamenti dai componenti di gruppi tanto diversi come System of a Down, Morbid Angel o Ignite, e ispirato gruppi che vanno dai messicani Elfonía ai britannici The Eden House passando per gli svedesi Paatos o i norvegesi Pale Forest (questi ultimi in particolare particolarmente supportati dal gruppo in tour, assieme agli olandesi TeNK, Green Lizard e Telefunk).
Resta da chiedersi se i Gathering torneranno ancora o lasceranno definitivamente posto alle realtà differenti nate dalle loro costole, come gli Habitants. La risposta la conosce solo il gruppo di Oss.
ALBUM STUDIO | ||
Always... (Foundation 2000, 1992) | ||
AlmostA Dance (Foundation 2000, 1993) | ||
Mandylion (Century Media, 1995) | ||
Nighttime Birds (Century Media, 1997) | ||
How To MeasureA Planet? (Century Media, 1999) | ||
if_then_else (Century Media, 2000) | ||
Souvenirs (Psychonaut Records, 2003) | ||
Home (Noise/The End, 2006) | ||
The West Pole (Psychonaut Records, 2009) | ||
Disclosure (Psychonaut Records, 2012) | ||
Afterwords(Psychonaut Records, 2013) | ||
Beautiful Distortion (Psychonaut Records, 2022) | ||
LIVE E DVD | ||
Superheat(live, Century Media, 2000) | ||
In Motion(Dvd, Century Media, 2002) | ||
Sleepy Buildings -A Semi Acoustic Evening(live, Century Media, 2004) | ||
A Sound Relief(Dvd, Psychonaut Records, 2005) | ||
A Noise Severe(Dvd, Psychonaut Records, 2007) | ||
TG25 - Live In Doornrosje(live, Psychonaut Records, 2016) | ||
ALTRE PUBBLICAZIONI | ||
An Imaginary Symphony(demo autoprodotto, 1990) | ||
Moonlight Archer(demo autoprodotto, 1991) | ||
Adrenaline/Leaves(Ep, Century Media, 1996) | ||
Kevin's Telescope(Ep, Century Media, 1997) | ||
Amity(Ep, Century Media, 2000) | ||
Downfall - The Early Years (antologia, Hammerheart records, 2001) | ||
Black Light District(Mini, Psychonaut Records, 2002) | ||
Accessories - Rarities and B-Sides(antologia, Century Media, 2005) | ||
Sand And Mercury - The Complete Century Media Years(antologia, Century Media, 2008) | ||
City From Above(Ep, Psychonaut Records, 2009) | ||
Afterlights(Ep, Psychonaut Records, 2012) | ||
TG25 - Diving Into The Unknown (antologia, Psychonaut Records, 2016) | ||
Blueprints (antologia, Psychonaut Records, 2017) |
In Motion | |
Leaves | |
Liberty Bell | |
In Power We Entrust The Love Advocated | |
Heroes For Ghosts |
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