Scrivere canzoni: ovvero il modo più immediato per entrare in connessione con gli altri. Un solitario come Owen Ashworth l'ha imparato fin da ragazzo. Le canzoni possono creare storie, esorcizzare gli incubi, salvare dalla depressione natalizia. Persino proteggere dal freddo che attanaglia il cuore, come suggerisce il nuovo moniker scelto da Ashworth. Gli abbiamo chiesto di ripercorrere insieme a noi la sua traiettoria da Casiotone For The Painfully Alone a Advance Base, in occasione dell'uscita del nuovo album dal vivo "In Bloomington".
Ci racconteresti qualcosa a proposito degli inizi del tuo percorso musicale? Quando e come ti sei reso conto di voler diventare un musicista?
Non mi ricordo quando è iniziato, ma già da ragazzo avevo un forte desiderio di entrare in connessione con le persone attraverso l'arte. Penso che fosse semplicemente un'estensione naturale del mio carattere solitario, malinconico, timido, narcisista ecc. Non me la cavavo sempre molto bene a parlare con le persone, ma desideravo tantissimo sentirmi compreso. Ho provato una quantità di mezzi di espressione differenti (scrittura, disegno, recitazione, cinema, tanto per citarne qualcuno) prima di arrivare ad accostarmi alla musica in una qualche forma seria. Penso che sia stato nella tarda adolescenza che è davvero cominciato a sembrarmi possibile scrivere e registrare le mie canzoni. Ero molto attratto dall'immediatezza della musica pop. È come una sensazione di elettricità. Boom! Sensazioni istantanee, connessione istantanea.
Il progetto Advance Base è nato dopo la fine di quello a nome Casiotone For The Painfully Alone. È stata dura ricominciare da zero con una nuova incarnazione?
È stata dura, ma sentivo di avere bisogno di un cambiamento e di una sfida. Ho cominciato il progetto Casiotone quando avevo vent'anni e tredici anni dopo quella musica non aveva più lo stesso significato per me. Non mi sento a mio agio a continuare a cantare le solite vecchie canzoni, a portare avanti una versione di me stesso che non mi dice più nulla. Ero orgoglioso di quello che avevo fatto, ma volevo provare a fare qualcosa di nuovo, che fosse una rappresentazione onesta di me stesso in quel momento. Advance Base non è neanche lontanamente popolare come Casiotone For The Painfully Alone, ma penso che sia abbastanza normale che la gente preferisca le vecchie canzoni, le canzoni che sono state fatte da una persona più giovane, le canzoni che ascoltavano quando erano più giovani e avevano una connessione più forte con la musica. Io però devo andare avanti. Premere il tasto "reset" su un gioco di quando eri adolescente non è facile a 33 anni, ma è anche eccitante.
Advance Base era il nome di una stazione meteorologica nell'Antartide. Ci racconteresti la storia del nome che hai scelto per il tuo nuovo progetto?
Nel 1938, Richard E. Byrd ha pubblicato un'autobiografia intitolata "Alone", in cui racconta di un terribile inverno che aveva trascorso da solo alla stazione meteorologica Advance Base nel 1934. Era quasi morto assiderato e quell'esperienza per lui era stata come una sorta di risveglio spirituale. È un libro brutale, splendido e ricco di ispirazione, forse il mio preferito. L'ho riletto un sacco di volte nel corso degli anni. Quando mi sono trasferito a Chicago, nel gennaio del 2006, c'era il clima più freddo in cui fossi mai vissuto. Il minuscolo ufficio dove avevo organizzato il mio studio di registrazione a quattro tracce non aveva un granché di isolamento, per cui l'avevo battezzato scherzosamente Advance Base. Una compilation di singoli a nome Casiotone For The Painfully Alone ha preso il titolo da quel piccolo studio ghiacciato, in cui avevo registrato la maggior parte delle canzoni. Dopo la fine del progetto Casiotone, Advance Base era il nome che mi era rimasto. Mi piace l'idea che la musica sia un luogo. Trovo confortante pensare alle mie canzoni come a una specie di rifugio contro il gelo.
Che differenza c'è secondo te tra "A Shut-In's Prayer" e "Nephew In The Wild"? Come pensi che si sia evoluto il suono degli Advance Base?
Gran parte di "A Shut-In's Prayer" è stata registrata dal vivo in una stanza con altri musicisti, il che dà alle registrazioni un'atmosfera calda e amichevole. C'è un'ariosità che adoro, in alcune di quelle registrazioni.
"Nephew In The Wild" l'ho registrato per la maggior parte da solo, uno strumento alla volta, nel mio scantinato. Si è trattato di un metodo dettato in parte dalla necessità, ma che si è rivelato anche appropriato per il tipo di canzoni che stavo scrivendo in quel momento. Alcuni amici hanno sovrainciso delle parti qua e là, quando le canzoni sembravano richiedere qualcosa che andava al di là di quello di cui mi sentivo capace. Ma nel complesso "Nephew In The Wild" ha una qualità solitaria e claustrofobica. C'è anche una bassa fedeltà abrasiva che fa sembrare l'album un po' più stile Casiotone rispetto a "A Shut-In's Prayer", anche se ho usato più strumenti dal vivo di quanto non facessi in passato.
Non so se sono in grado di tracciare un qualche tipo di progressione lineare da un album al successivo, al di là del fatto che mi sembra di migliorare sempre un po'. Pur con tutti gli elementi di comunanza, ogni disco che faccio è come un'ossessione a sé stante.
"In Bloomington" documenta un concerto molto speciale, al fianco di una band vera e propria. Come è accaduto e come mai hai deciso di trarne un album dal vivo?
Dato che "Nephew In The Wild" è stato registrato pezzo per pezzo e ai miei concerti ho fatto per lo più versioni soliste dei brani, ero molto curioso di sentire come potevano suonare in compagnia di una band vera e propria. Di solito cerco di fare qualche concerto speciale nel periodo di Natale, per cui il dicembre scorso ho riunito un gruppo di buoni amici (inclusi alcuni di quelli che hanno contribuito alla realizzazione di "Nephew In The Wild") per formare una "Nephew In The Wild Band" temporanea. È stato molto emozionante per me. Abbiamo finito per fare due concerti e il secondo in particolare è stato semplicemente incredibile. Non avevo l'intenzione di farne un album dal vivo, ma abbiamo scoperto che l'ingegnere del suono l'aveva registrato e non appena ho sentito la registrazione ho capito che volevo condividerla con la maggior parte di persone possibile. Sono molto orgoglioso di quella performance.
Da ascoltatore, ti piacciono le registrazioni dal vivo? Quali sono i tuoi album live preferiti?
Una volta preferivo i dischi in studio, ma negli anni ho sviluppato una particolare passione per gli album dal vivo. C'è una ruvidità nelle registrazioni live che mi attira molto. Negli ultimi anni mi sono interessato sempre più alla stand-up comedy, per cui forse è con quella qualità di performance spontanea che entro più in connessione.
Tra i miei album dal vivo preferiti mi vengono in mente "Live At The Apollo" di James Brown, "Live At Carnegie Hall" di Bill Withers, "Live At Massey Hall 1971" di Neil Young, "Live" di John Prine, "Live From Planet X" di MF Doom, "The Kitchen Tapes" delle Raincoats, "Live 1974" degli Harmonia e il materiale live su "Viva Terlingua" di Jerry Jeff Walker. Ho anche una mezza dozzina circa di album dal vivo di Nina Simone, che sono tutti meravigliosi.
Com'è il tuo rapporto con le performance dal vivo?
Esibirmi in pubblico mi regala moltissimo. Sono molto grato di poter suonare le mie canzoni per la gente. Mi piace persino parlare dentro un microfono. Mi piace non sapere quello che accadrà. Ci sono così tante cose che possono andare storte! È eccitante. Ormai lo sento come una parte importante della mia vita emotiva. Comincio a impazzire se passa troppo tempo tra un concerto e l'altro.
Le tue canzoni sono fatte di una vera e propria galleria di personaggi. Ce n'è qualcuno cui sei rimasto particolarmente affezionato?
Domanda interessante! A volte i personaggi sono basati su persone reali e per me è difficile separare l'invenzione dall'ispirazione. A volte invece i personaggi sono semplicemente inventati ed è impossibile ricostruire esattamente da dove derivano. Probabilmente sono questi i personaggi per cui provo i sentimenti più speciali. Penso spesso alla ragazzina protagonista di "Pamela", alla sua famiglia e agli abitanti della sua città. Penso anche alla gente di "Northfield, MN" e "White Jetta".
Come mai hai scritto una serie di canzoni ambientate nel periodo natalizio?
Adoro il Natale e le canzoni natalizie, fin da quando ero piccolo. Forse è per i campanelli da slitta? "A Charlie Brown Christmas" di Vince Guaraldi è uno dei miei album preferiti di sempre. C'è una solennità intrinseca e una malinconia nelle canzoni natalizie che semplicemente mi ipnotizza. Il Natale è glorioso e deprimente! Ci sono così tante maniere differenti di passare un Natale deludente. Voglio cantarle tutte quante.
Canzoni come "Pamela" e "Summon Satan" hanno un'atmosfera da film dell'orrore. Secondo te, qual è il segreto di un buon horror?
Penso che il segreto sia non far vedere la maggior parte delle cose realmente spaventose, in modo che lo spettatore possa riempire gli spazi vuoti con le proprie personali idee orribili. Aiuta anche che la musica sia buona.
Hai qualche luogo o momento preferito per scrivere una canzone?
In qualsiasi momento o luogo posso organizzarmi per scrivere una canzone, mi sento elettrizzato! Non sono per niente schizzinoso in questo.
Hai mai sentito il bisogno di esprimerti in una forma letteraria più ampia della canzone, come ad esempio un romanzo?
Penso di sì, ma non in maniera seria. Quantomeno non adesso. Mi dà ancora un bel po' di soddisfazione scrivere le mie piccole canzoni.
Nella tua carriera hai interpretato canzoni di artisti molto differenti, da "When You Were Mine" di Prince a "Streets Of Philadelphia" di Springsteen. Per te qual è la chiave per appropriarsi davvero della canzoni di un altro?
A volte il fatto è semplicemente che amo una canzone così tanto da sorprendermi a pensarci tutto il tempo, per cui risuona in continuazione nella mia testa. Ma poi, quando ascolto di nuovo l'originale, mi accorgo che è diverso da come mi ricordavo. A volte sono costretto a realizzare la mia versione di un brano proprio perché voglio cercare di catturare quello strano modo in cui suonava nella mia testa. E a volte il fatto è solo che è bello cantare una splendida melodia o dei versi ben scritti, niente di più.
Hai fondato con tuo fratello Gordon l'etichetta discografica Orindal Records. Secondo te, come è cambiato il mercato musicale negli ultimi anni? Che cosa ne pensi della possibilità per gli artisti di promuovere la propria musica nell'era dei servizi di streaming?
Non ho molte speranze per il futuro del mercato musicale. Per me diventa sempre più difficile raggranellarmi da vivere con la mia musica e la mia etichetta discografica. I ricavi che ottengo dallo streaming sono scarsi e sempre meno gente acquista supporti fisici. Continuerò comunque a realizzare e pubblicare album finché potrò permettermelo, perché non posso fare a meno di farlo.
Se la tua etichetta potesse pubblicare il prossimo album di un qualunque artista, chi sceglieresti (e perché)?
Mi piacerebbe pubblicare un album di Bill Fox, un songwriter di Cleveland, Ohio. "Shelter From The Smoke" e "Transit Byzantium" sono due dei miei dischi preferiti di sempre e poter anche solo ascoltare un nuovo album di Bill Fox sarebbe un'emozione incredibile.