Immaginati di incontrare un amico che non vedevi da tanto tempo e che ti chieda che musica fai. Che pezzo gli suoni?
Gli suonerei “One Way Or Another”, il più corto. Così da non essere troppo pressante. In una versione differente rispetto a quella presente nel disco, perché se si tratta di un mio amico non voglio semplificargli troppo le cose.
Cominciamo da Michele Zamboni: questo è il tuo primo progetto musicale? Cosa c’era in generale prima di Debris Hill?
Prima, durante e dopo, c’era, c’è e ci sarà una band che si chiama Farglow. Ce n’era una che si chiamava Greve. Un’altra che coinvolgeva capelli lunghi e ingenuità e infine molta musica che non ha ascoltato nessuno sparpagliata in diversi hard disk e piattaforme di streaming audio. Comunque ora c’è anche una band di nuovissima fondazione.
Mi sembra grandioso che tu sia riuscito a scrivere “Sidekick” non come il classico disco di songwriting post-emo o nineties, ma immaginandoti una band al fianco, cosa non facile ma che rende il disco ancora più personale anche nel suo aspetto prettamente musicale. In un certo senso però si capisce che il fatto di autoprodurre il disco sia stato un po’ un limite a ciò che volevi fare. Sei d’accordo?
Probabile, però per ora è l’unico modo che conosco per far musica. Soprattutto in senso pratico. Ho iniziato a lavorarci senza sapere bene quale sarebbe stato il risultato finale. Intenzionalmente. Con un budget praticamente nullo. Non intenzionalmente. Per i pezzi in cui volevo la batteria sono andato in sala prove con degli amici batteristi e con la voglia di finire in poche ore. Sono stato combattuto da un forte senso di urgenza e dall’abitudine a sovraincidere sempre una chitarra di troppo. Sapendo che sarebbe stato così o niente.
Ora mi pare che il progetto Debris Hill si sia trasformato in una band a tutti gli effetti. Ci puoi parlare degli altri membri?
Certo. Al momento l’unico membro entrato in pianta stabile è Ettore Dara alla batteria, già membro dei Wired Sophia. Batterista pazzesco, che conosce i pezzi meglio di me. Ha suonato “Inertia” nel disco. In futuro altre entrate, ma dobbiamo ancora provare per bene.
Ti aspetti che la tua musica – quella che esiste e quella che esisterà - cambi e come?
Non ne ho idea e non sono sicuro di volerlo sapere. Ogni decisione musicale consapevole che ho preso si è spesso rivelata un gran sbaglio ben eseguito. Preferisco non pensarci. Però l’altro giorno ho aggiunto tra i preferiti un video demo di una Synthaxe del ’86.
Nel disco ci sono anche alcuni brani nello stile di Mark Kozelek. Posso chiederti cosa pensi del personaggio che si è creato negli ultimi tempi, anche con la sua musica?
Ho l’impressione che ultimamente, con l’aumentare della presenza di contenuti estremamente espliciti, empatici e intimi nei testi, aumenti anche il suo livello di arroganza pubblica. Forse le cose sono collegate. Forse no. Oppure vuole solo essere ironico e non gli riesce molto. La diatriba con The War on Drugs era palesemente uno scherzo. Sulle altre cose che dice, però, c’è davvero molto poco da ridere.
Il suo nuovo pubblico racconta anche del ritorno di certe sonorità sulla scena; questo ad esempio è l’anno delle slacker girl (Courtney Barnett, Frances Quinlan, l’italiana Adele Nigro), tutte giovani o giovanissime, che sicuramente non hanno vissuto da adolescenti o post-adolescenti i Novanta. Tu in quale ondata ti riconosci e cosa pensi di questo ritorno di attenzione? Si tratta di mode passeggere mescolate al rumore di sottofondo di qualcosa che non ha mai cessato di esistere?
Forse non è tanto un ritorno di attenzione quanto un proseguire un discorso lasciato aperto. C’era altro da dire a quanto pare. Quest’ondata di giovani o giovanissime/i se n’è accorta e quel discorso risuona intensamente con loro e con il loro modo di sentire e vivere la musica. Con dei risultati bellissimi direi. Per quanto mi riguarda, credo di appartenere a quella categoria confusa che sta nel mezzo, che un po’ si fa gli affari suoi e un po’ vorrebbe avere una decina di anni in meno o in più.
Il disco è in edizione solo digitale, ci sono speranze per un’edizione fisica?
Ci sono molte speranze per un’edizione fisica.
Ultimamente mi capita di ascoltare diversi buoni dischi di artisti italiani che potrebbero farsi conoscere all’estero. Dal tuo punto di vista qual è l’ostacolo (anche pratico) che non lo permette?
A parte gli ovvi motivi economici e logistici, secondo me non c’è un forte interesse esterno verso quello che si fa ora in Italia. Giustamente anche. Spesso un disco di qualità risulta tale solo per certi standard italiani. Ci sono moltissime eccezioni, dischi immensi, ma credo che non ci sia molta aspettativa nei nostri confronti, di conseguenza poca attenzione.
Al momento si sa poco delle prossime attività dei Debris Hill. Prevedete delle date in Italia? Ti sentiresti a tuo agio anche suonando da solo sul palco?
Stiamo cercando di organizzare qualcosa per autunno/inverno, se tutto va bene. Suonare da solo sul palco non è un problema, il problema è quando scendi e non c’è nessuno da insultare perché ha sbagliato l’attacco o che ti tiene sveglio al volante russando nel posto passeggero.