Autentica istituzione nel versante tradizionale dell'ambient music, da ben tre decadi il norvegese Erik Wøllo è indiscusso protagonista e pilastro della musica atmosferica. Il suo segreto, rivelatosi con il progressivo evolversi del suo sound, sta tutto in una miscela inconfondibile, da moltissimi silenziosamente imitata. Uno stile germogliato da una miriade di radici differenti, tutte accomunate dalla loro organicità: dal jazz - esplorato nella mirabilante quanto breve esperienza Celeste, collettivo da cui sarebbero fuoriusciti una manciata di futuri protagonisti della sperimentazione atmosferica norvegese - al rock dei primissimi lavori solisti, passando per l'elettronica dei progetti giovanili, la trancedelia ispirata dalla lontana California degli Ottanta e la musica colta. Il tutto portato a fondersi e ad amalgamarsi all'insegna di una sensibilità melodica pressoché unica e totalmente estranea a gran parte dei contemporanei. Con questi ingredienti, Wøllo è arrivato negli ultimi anni ad elaborare un soundscape peculiarissimo, costituito dal dialogo tra tastiere e chitarra, con quest'ultima reinventata nel ruolo di "voce guida" e chiamata a ricamare su tappeti armonici delle prime. All'amico e ben più blasonato collega Steve Roach va invece il merito di aver "scoperto" e rivelato a un pubblico più ampio l'arte sonora di questo artigiano dell'atmosfera, riscoperto nell'ultima decade proprio grazie al bellissimo "Stream Of Thought" firmato in coppia con il californiano, e al conseguente ingaggio da parte di Projekt, oggi partner fisso di tutte le sue uscite discografiche. Ora dunque che la musica di Wøllo è arrivata finalmente a ricoprire il posto che merita nell'olimpo dell'ambient, abbiamo voluto ricostruire il suo lungo e variegatissimo percorso, incontrandolo e facendocelo raccontare direttamente da lui.
In questi trent'anni di carriera hai saputo sviluppare uno stile decisamente unico, e a dir poco inconfondibile, che resta un punto di riferimento per chiunque si avvicini alla musica atmosferica. Come sei arrivato, in tal senso, al punto a cui ti trovi ora?
Ho sempre cercato di trovare la mia personale e unica voce. Ho passato tanti stadi artistici nel corso della mia carriera, collezionando idee praticamente da ovunque. Ma ogni volta, ho cercato di rimanere concentrato sul mio concept. Con il passare degli anni e l'avanzare dell'età, aumenta anche la coscienza di ciò che si sta facendo. Ed è per questo che ho studiato e sperimentato diversi generi musicali, ma nonostante ciò ho sempre tenuto tutto insieme filtrandolo attraverso la mia sensibilità. Così si arriva a qualcosa di speciale, come se su tutto ci fosse la propria firma.
Ci sono, nella tua vasta discografia, uno o più lavori che hanno rappresentato un punto di svolta per te?
“Traces”, il mio terzo album, è stato un punto di svolta importante. Mi ero cimentato con tantissimi generi diversi, dal jazz al rock alla musica classica, ma lì sono riuscito a liberarmi da tutte le influenze che mi avevano guidato fino a quel momento e a creare qualcosa di nuovo. Avevo appena lasciato quasi tutte le band con cui avevo suonato fino a quel momento, e messo da parte gran parte dell'attività da concertista. Ho voluto concentrarmi solo su quell'album, per lavorare al quale ho messo in piedi un piccolo studio nel mio appartamento di Oslo, esiliandomi più o meno da chiunque, meno mia moglie. E si è rivelata la cosa giusta da fare, è qualcosa che va fatto ogni tanto. Le idee che ho sviluppato per quel disco sono attualissime e le si ritrova praticamente in tutta la mia produzione recente: su tutte, la voglia di creare musica profonda e avanzata, ma con una superficie semplice e accessibile a qualsiasi ascoltatore.
Quanto è stato importante per lo sviluppo della tua carriera l'incontro con Steve Roach? E il legame con Projekt? Suppongo abbia contribuito parecchio a darti la visibilità che meriti...
Ho incontrato Steve a uno dei suoi concerti a Sausalito, in California, credo fosse il 2005. Ci siamo trovati tardi nonostante entrambi ci ascoltassimo a livello musicale da tempo! Lui scoprì "Traces" già nel 1985 (l'anno d'uscita, ndr), mentre io ho amato e amo ancora "Dreamtime Return". Per questo è stato naturale iniziare a lavorare insieme, e siamo molto soddisfatti e orgogliosi dei due dischi che abbiamo completato. Comunque sì, il mio rapporto con Projekt è effettivamente iniziato tramite lui!
Più in generale, hai lavorato con tantissimi musicisti durante la tua carriera. Credi che il tuo linguaggio si adatti particolarmente bene alla condivisione?
Sì, è vero, a volte con artisti lontanissimi dal mio mondo, come Kouame Sereba... Credo che il mio variopinto background mi abbia da sempre aiutato ad apprezzare tutte le arti nel loro complesso, compresa la musica nelle sue tantissime declinazioni... Alla fine, è solo la superficie a rendere un genere diverso dall'altro. Poi sono pure da sempre appassionato di archeologia ed etnologia, e di conseguenza ho approfondito molto i miei studi sulla musica indigena dall'India, dall'Asia e dall'Africa. Il mio concetto di musica si adatta sempre e comunque a qualsiasi altra forma espressiva e artistica, e credo che il lavoro con Kouame ne sia la dimostrazione.
Trent'anni dopo i tuoi primi lavori, continui a sfornare un disco all'anno o quasi. Forse non raggiungi il livello di prolificità di Steve Roach, ma si tratta comunque di numeri importanti! Cosa rappresenta ogni tuo nuovo lavoro nel tuo percorso?
Ogni disco è un passo avanti, o almeno spero sia così, questo è quel che cerco di fare. Ma d'altro canto è vero pure che mi concentro sempre e comunque sul medesimo concept, per cui ciascun disco rischia di rappresentare in molti casi una variazione su un tema comune. Come una scultura vista da angolazioni diverse, per capirci. Mi piace anche pubblicare su formati più brevi come l'Ep: quei lavori per me è come fossero novelle o brevi poesie, mentre un disco è più simile a un romanzo.
A dire il vero non ricordo troppe tue uscite su formato breve, ma la tua ultima, in ordine di tempo, è effettivamente un Ep, "Tundra". Da dove è nato?
Non ho pubblicato troppi Ep, in effetti, ma quei pochi sono fra le cose di cui vado più orgoglioso. Talvolta mi capita di lavorare su brani che mi rendo conto non troverebbero mai spazio e senso nel contesto di un album, ma che starebbero benissimo in concept più piccoli, simili alle suite: gli Ep, appunto! "Tundra", nello specifico, è una collezione di brani su cui ho lavorato per parecchi anni, che uniscono elementi etnici e tecnologia moderna.
I tuoi ultimi tre dischi full-length, invece, sembrano effettivamente evolversi sulla medesima traccia stilistica. Qual è il comun denominatore, musicale e tematico, che li lega?
“Gateway”, “Airborne” e “Timelines” sono in effetti strettamente connessi l'uno all'altro, basati su idee simili. Dal punto di vista stilistico, sono tutti e tre costruiti sull'unione di elettronica organica, ritmo e melodia, orchestrati e "stratificati" per otttenere atmosfere profonde. Molti critici scrivono che si tratta di una musica che proietta gli ascoltatori di fronte al futuro, e sebbene non sia una mia idea, è un'interpretazione interessante, specie per quel che riguarda "Timelines".
Sei stato uno dei primi artisti ad avvicinare l'ambient music proveniendo da un background "classico" in tutto e per tutto. Come si è costruito questo tuo percorso?
Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli Ottanta, ho iniziato a studiare musica classica e approfondito l'esperienza di compositori come Debussy, Ravel e Satie, fortemente ispirati dalla pittura impressionista verso l'inizio del secolo. Dalla loro esperienza, il progressive-rock quanto i Pink Floyd hanno ripreso tantissimo, e mi sono reso conto del legame indiretto fra quel che avevo fatto fino a quel momento e quella musica. Poi più tardi ho scoperto Brian Eno e il suo "On Land", oltre ai compositori minimalisti. Infine importantissimo per me è stato l'incontro con John Cage durante il suo viaggio a Oslo nel 1983: un momento di grande ispirazione per me, che uscivo da un background fatto in gran parte di virtuosismo strumentale!
C'è qualche forma di legame tra la tua musica e la tua terra natale, la Norvegia?
Sono nato in un distretto norvegese dove la cultura etnica ha una fortissima influenza. Per cui quel tipo di eredità è insita nel mio sangue e nei miei geni. Capita che tu lo possa sentire in certi miei brani, per esempio "Huldra" (dall'album "Wind Journey", 2001, ndr) e "Hildring" (da "Guitar Nova", 2000, ndr). E in quanto norvegese, non posso non essere stato influenzato dalla musica di Ervard Grieg! Sono stato coinvolto pure in molti progetti con artisti ed esecutori folk locali.
Uno degli aspetti più interessanti della tua produzione recente è il mix tra elettronica e chitarra. In lavori come "Airborne" o lo stesso "Timelines" molto del soundscape si svolge proprio attorno a questo duetto. Come sei arrivato all'idea di intersecare questi due strumenti?
Come chitarrista, ho sempre lavorato molto su questo, ho sempre inseguito l'idea di incorporare il mio strumento principale in soundscape elettronici, e di farlo nella maniera più naturale possibile. Per questo, ho elaborato nel tempo per i miei sintetizzatori una serie di suoni che si adattassero a quello della chitarra. In questo processo ha avuto una certa importanza anche l'uso della chitarra acustica, come si può notare in "Solstice". Effettivamente, "Timelines" è uno dei dischi in cui sono riuscito a raggiungere il miglior equilibrio, grazie soprattutto ai tanti arpeggi in loop. Ma in realtà gran parte dei suoni che puoi sentire sui miei dischi recenti arrivano dalla chitarra, che molto spesso registro separatamente, elaboro e poi converto in campionamenti che riescono a mantenere quel feeling vibrante che solo la chitarra possiede, nonché la loro organicità. Il termine "organico" è molto importante per me, perché fa parte del mio background. Poi ci sono comunque molti miei dischi realizzati solo con la chitarra acustica, come "Guitar Nova" e "Blue Sky, Red Guitars". Ho in programma di realizzarne uno nuovo a breve.
Vedi dunque la chitarra come una sorta di "prima voce" nella tua musica?
Generalmente con le chitarre costruisco l'occhio melodico delle mie composizioni, che è poi il cuore su cui ogni mio brano si genera: questo "tocco umano" certe volte è palese, certe altre meno. Sento un sacco di musica elettronica in giro ultimamente che ne è completamente priva. Compositori che si limitano a fare affidamento sulle tastiere, e questo secondo me provoca la mancanza di qualcosa nella loro musica. Ciò nonostante, non ho nessuna regola particolare, nessuno "schema" compositivo: può tranquillamente succedere che ci siano miei brani che non hanno alcun bisogno della chitarra.
E infatti ci sono alcuni tuoi dischi puramente elettronici, molti anche recenti - mi vengono in mente i tre "Silent Currents"... Cosa rappresenta l'elettronica per te?
“Silent Currents” è un progetto che ho sviluppato dal 2002 ad oggi, dopo aver suonato allo show radiofonico "Star's End" di Philadelphia. Un progetto che nasce ancorato su una ambient molto lenta, costruita su loop ma anche su molti suoni eseguiti direttamente alle tastiere. Comunque, sto sviluppando una nuova pedaliera per chitarra proprio allo scopo di incorporarla in quel progetto!
Utilizzi ancora solo tasteire e sintetizzatori o ti appoggi anche a strumenti digitali? Cosa pensi dell'"eterno conflitto" tra digitale e analogico?
Cerco di usare il meglio di entrambi i mondi: sintetizzatori e tastiere per gli elementi basici, e software digitali per elaborare gran parte del soundscape e degli effetti sonori. Ho iniziato molto presto a usare i sintetizzatori, amavo l'idea di avere tutto dentro quelle "scatole"! Ho venduto nel tempo alcune delle macchine più obsolete, ma continuo a reputare imprescindibile l'elemento tattile, per cui uso ancora moltissimo i sintetizzatori. Comunque ho sviluppato nel tempo anche alcune tecniche, come quella di elaborare i suoni al laptop per poi eseguirli con le tastiere. Ho creato un sintetizzatore VST per PC che è poi diventato molto popolare. In molti mi hanno mandato brani eseguiti utilizzando quel mio tool!
Se c'è una cosa che ho sempre apprezzato nei tuoi lavori è la loro capacità di portare con sé un autentico bagaglio emotivo. Reputi importante quest'aspetto nella tua musica?
Credo di nuovo sia legato al mio background da chitarrista, oltre al fatto di non essere proprio interessato a una forma di musica che non riesca a condurre in un determinato stato mentale o emotivo. C'è un luogo comune che gira fra molte persone secondo il quale tutta la musica creata con sintetizzatori dovrebbe essere fredda e asettica. La verità è che con gli strumenti elettronici odierni si ha la possibilità di creare al contrario qualcosa di incredibilmente caldo e toccante. Una musica che ha una relazione ben più diretta con il corpo umano e con la fisicità rispetto a quella ottenuta usando gli strumenti tradizionali: se metti un microfono sul grembo di una donna incinta, starai facendo musica elettronica, una musica costituita dal battito cardiaco e dai gorgogli suoi e del bimbo che porta in grembo. Come puoi ottenere qualcosa del genere con gli strumenti tradizionali, senza risultare banale? E vale lo stesso per i suoni della natura: come puoi riprodurre l'ululato di un vento con un violino senza comprendere al volo la vera origine del suono? Che poi tu possa essere, se lo vuoi, freddo e sterile nel fare musica elettronica, è altrettanto vero, ovviamente, perché le possibilità sono sostanzialmente infinite.
A tal proposito mi viene in mente “The Polar Drones”, dove hai lavorato su un concept incentrato sul freddo, ottenendo però un soundscape incredibilmente caldo. Credi saresti mai in grado di fare qualcosa di davvero "freddo"?
Molta della musica contenuta su "The Polar Drones" arriva da lavori prodotti per un documentario su una spedizione nel Polo Sud. Perciò avevo davanti a me tutta una serie di immagini di paesaggi gelidi e innevati mentre lavoravo a quei pezzi. Ben pochi dei miei dischi sono nati in questo modo: "Solstice" ha un retroterra simile, perché raccoglie brani prodotti per una serie Tv riguardante Jostedalsbreen, il più grande ghiacciaio della Norvegia, e dunque anch'essa legata al freddo. In entrambi i casi credo che la musica non sia in effetti particolarmente "fredda", ma dipende ovviamente dalle percezioni del singolo ascoltatore. E anche il titolo può fare a dirla tutta la sua parte: che cos'è un suono freddo? Probabilmente un suono composto da molte frequenze alte, come in un soffio di vento. Tutto è sempre e comunque relazionato a com'è la natura, e credo in tal senso che l'essere nato e vissuto in Norvegia abbia la sua importanza: avessi altri paesaggi e altri suoni nel mio Dna, di sicuro non farei la stessa musica!
Oggigiorno che musica ascolti di solito?
Musica molto diversa da quella su cui lavoro. Giusto ora sto studiando il "Quartetto d'archi in Fa Maggiore" di Maurice Ravel. Tendo ad ascoltare parecchia musica classica impressionista, spesso nel formato del quartetto d'archi. E per contro, da qualche settimana sono in fissa con i Tool. E qualche volta mi capita di tornare invece indietro e dedicarmi ai vecchi amori, alle mie prime influenze, cercando magari qualche rara performance dal vivo su YouTube!
Cosa pensi, a proposito, della dimensione live per quel che riguarda te? Pensi la tua musica vi si adatti bene o renda meglio se ascoltata in una dimensione più intima, come quella dello stereo di casa o dello studio?
Il mio progetto principale è e resta quello di fare musica che lavori bene sugli impianti stereo, preferibilmente su cd. Sono un audiofilo e molti dei miei ascoltatori lo sono altrettanto, per cui amo sedermi e concentrarmi sulla musica in ogni suo dettaglio. Ma la dimensione live può essere effettivamente molto carina. Nelle mie performance presento sempre versioni speciali e riarrangiate dei miei brani, alle volte addirittura con l'aggiunta di parti inedite per concerti particolari. La musica elettronica dal vivo comunque spesso è noiosa a livello visivo, ed ecco perché cerco sempre di fornire al mio pubblico qualcosa "da vedere" che integri ed espanda l'esperienza del concerto.
Hai mai suonato in Italia?
No, e dovrò recuperare, anche perché so di avere parecchi ascoltatori in Italia!
Chiudo chiedendoti: a quali progetti stai lavorando ora?
Mi sto dedicando a un nuovo album che dovrebbe uscire a breve, un lavoro piuttosto simile ai miei precedenti recenti, con una gran varietà di elementi ritmici in molti brani assieme a materiale più libero e fluttuante.