Angelo Branduardi è sicuramente una delle punte di diamante della nostra canzone d'autore. Fabio Cinti un nome ben noto a quanti seguono l'indie italiano fin dagli "anni Zero". Li accomuna "Guardate com'è rossa la sua bocca", album-tributo che è il frutto di una passione a lungo coltivata. Fabio appartiene a quella generazione di cantautori che ha preceduto la sbornia it-pop, anticipandone le mosse e facendo da generoso battistrada. Una generazione che deve molto a Franco Battiato, cui infatti Cinti ha dedicato il suo "adattamento gentile" dell'album "La voce del padrone", ma tende ad allargare il proprio sguardo e a renderlo scevro da pregiudizi.
Un approccio "classico"
Tu sei un cantautore che ha costruito la propria carriera su dei dischi molto personali tanto nella scrittura quanto nella concezione degli arrangiamenti. "Smontando" Branduardi per poterlo fare tuo, hai individuato gli elementi che a tuo avviso qualificano il fascino della scrittura di un così grande autore?
Angelo Branduardi ha una formazione musicale classica, e questo si percepisce e si vede, come dici tu, "smontando" le canzoni per essere ridotte a un arrangiamento per solo pianoforte. Credo che il fascino di quelle composizioni risieda, come spesso accade, in un attento mix di classicismo - che troviamo più negli arrangiamenti che nelle armonie di base - di folk e di musica più leggera. Branduardi ha individuato una strada che si snoda nel mezzo, passando qua e là per arditezze più evidenti. Poi chiaramente la sua voce, il suo timbro e il peculiare modo di cantare, fanno il resto.
Nelle tue riletture, prima di Battiato, poi di Branduardi, hai compiuto delle operazioni che in entrambi i casi mi sembrano più vicine al lavoro di un musicista classico che alle dinamiche interpretative del pop. Innanzitutto volevo sapere se ti riconosci in questa definizione e poi come hai dosato in questo equilibrio l'elemento vocale, che è quello più a rischio, in quanto particolarmente esposto e nello stesso tempo emotivamente legato tanto all'originale quanto al nuovo interprete. È stato difficile non personalizzare né troppo, né troppo poco?
Direi di sì, il mio approccio è essenzialmente classico, sia per la scelta degli elementi che caratterizzano gli adattamenti, sia per la scelta degli strumenti e anche per un certo rigore, estetico ed esecutivo. In alcuni casi abbiamo anche esaltato certi passaggi più classici delle composizioni originali che spesso invece, quando si passa al pop, vengono tagliati o semplificati. Per quanto riguarda l'interpretazione vocale, ho cercato di togliere anzitutto tutte quelle belle sporcature tipiche tanto di Battiato quanto di Branduardi, trovando un modo pulito e semplice di cantare. Questo atteggiamento però mi ha esposto al rischio di ridare un'interpretazione piatta. Allora è stato necessario cercare un po' di sacralità, entrando dentro ogni nota in punta di piedi, affidandomi al timbro e all'intensità. E così ho trovato un modo che mi ha permesso di mettermi al servizio della canzone senza dover dimostrare alcun particolare talento e, soprattutto, senza dover esporre una personalità. L'oggetto estetico è la canzone, non io, e bisogna focalizzarsi sui suoi elementi costitutivi, incluso il canto, che deve portare all'ascoltatore un'emozione senza passare per il cantante!
Ascoltando il disco, un Branduardi piano e voce, che sembrerebbe improbabile sulla carta, acquisisce man mano sempre maggiore spessore. Come hai lavorato sugli arrangiamenti?
Con Alessandro Russo ci siamo posti solo un obiettivo: anche se con un solo strumento e con la voce bisognava che la risposta emotiva dei brani fosse la stessa delle versioni originali. Ardito e forse presuntuoso, ma sicuramente stimolante. E quindi la ricerca si è basata non su cosa fosse funzionale tenere o togliere sul pentagramma da un punto di vista tecnico, ma, orecchie e cuore spalancati, su cosa sentivamo l'urgenza di tenere o togliere. Perché basandoci solo sull'emotività, la scelta è diventata obbligata. In molti casi una linea melodica del pianoforte è la risultante di più strumenti che alla fine, però, è quella che ti riporta l'emozione di quando ascolti il brano originale.
Da Battiato a Branduardi
Torniamo un attimo al tuo adattamento gentile de "La voce del padrone". Come vedi oggi la tua vittoria della Targa Tenco? Quale aspetto del tuo lavoro pensi che abbia maggiormente convinto la giuria e quale è stato valorizzato di più nel tempo dopo quella affermazione?
La vittoria della Targa Tenco è stata una grande sorpresa, perché del tutto inaspettata. E conservo questo stupore ancora oggi, se ci penso. Credo che la giuria abbia apprezzato il fatto che, nonostante l'adattamento fosse molto lontano dall'originale, per la scelta degli strumenti anzitutto, ci fosse in tutto il lavoro allo stesso tempo una sincera aderenza, tesa a conservare soprattutto l'atmosfera dell'originale, che è poi la cosa che scatena l'emotività legata a quelle canzoni. In poche parole, l'adattamento è molto diverso, ma è allo stesso tempo molto simile all'originale. Nel tempo ciò che più ha colpito gli ascoltatori è quella caratteristica che rende i testi più intellegibili, sia per la natura più pacata degli arrangiamenti, sia per il discorso che facevo sopra sulla voce, che è ripulita da ogni personalismo.
La tua passione per Battiato ti accompagna da sempre. Come è avvenuta invece la scoperta di Branduardi?
La passione per i due cantautori è parallela, li ho scoperti entrambi da bambino, per passaggi familiari. Con Battiato ho trovato qualche affinità in più a livello anche di ricostruzione di alcune vicende di vita personale. Con Branduardi mi è sempre piaciuta l'idea di immergermi in quei racconti di fiaba, di sentirmi partecipe dentro quei mondi.
C'è qualcosa che lega Branduardi a Battiato? E col senno del poi c'è un'affinità che hai con entrambi che possa in qualche modo dare continuità alla tua ricerca come interprete?
Branduardi e Battiato sono simili per l'approccio alla musica, e per quel legame con la musica classica caro a entrambi. E, per quanto mi riguarda, da entrambi sono stato formato per trovare il mio modo di cantare che, di primo acchito, sembra simile all'uno o all'altro, ma a ben vedere (basta ascoltare di seguito prima me e poi loro) è un modo essenzialmente diverso, anche se volutamente ed evidentemente una continuità c'è.
In "Confessioni di un malandrino" sembra di sentire Battiato che canta Branduardi e il bello è che l'effetto è davvero suggestivo. È stata una scelta, un omaggio incrociato, o è semplicemente una mia sensazione?
L'effetto c'è, ma credo sia semplicemente quel modo asciutto di cantare che ricorda un po' il Battiato di "Fleurs". Dove lui, allo stesso modo, interpreta facendo un passo indietro.
Oltre la Fiera dell'Est
A differenza di Battiato, che ha goduto di un amore ininterrotto da parte di un largo pubblico, Angelo Branduardi man mano è diventato un autore più "di nicchia". Nella sua discografia ci sono tantissimi album-capolavoro, ma è come se il successo commerciale avesse cristallizzato una sola possibile ricezione di un artista in realtà molto sfaccettato e complesso. Come ti spieghi questo fenomeno adesso che lo hai studiato con così tanta cura?
Conosco alcuni musicisti molto sensibili, culturalmente preparati, che non amano Branduardi, e - a parte specifiche questioni di gusto - credo che sotto ci sia un fraintendimento modaiolo. Come se ascoltare i Depeche Mode fosse più "fico" che ascoltare Branduardi, perché le filastrocche in qualche modo appartengono a un mondo che in base alle mode si pensa che non ci renda attraenti. Come se, ancora, andare a fare un picnic con tanto di cestino con i tramezzini e la frutta fosse una roba un po' meno "tesa" che andare a fare un aperitivo al locale in voga di turno. Ecco, secondo me Branduardi lo si è incasellato in questa assurdità, perché gli argomenti di cui parla e la musicalità che sprigiona sono fuori da una certa sfera riconosciuta come influente da un punto di vista stilistico. E invece è solo un'apparenza, una specie di trappola, una moda appunto. Non vedo ostacoli nell'ascoltare prima un madrigale del '500 e di seguito Iggy Pop, oppure leggere al mattino una fiaba di Rodari e alla sera un romanzo di Céline.
"Guardate com'è rossa la sua bocca" track by track
Personalmente credo che anche questo lavoro potrebbe meritare una Targa Tenco, il risultato è davvero pregevole. Hai seguito particolari criteri nella scelta dei pezzi?
Grazie, anzitutto! Incrociamo le dita! No, non abbiamo seguito una regola nello scegliere i pezzi. Ci siamo affidati all'istinto, e semplicemente a ciò che nel corso del tempo ci è piaciuto di più, senza soffermarci su cose come la consequenzialità stilistica, o l'appartenenza a un album piuttosto che a un altro.
Vorrei soffermarmi su "Fou de Love". Innanzitutto perché la trovo l'episodio più riuscito del disco, poi perché viene da un album come "Domenica e lunedì" che è, a mio parere, uno dei dischi più belli degli anni 90 italiani, infine per il testo di Pasquale Panella che, con la sua attitudine multilingue, cosmopolita, trasversale ai tempi e alle tradizioni, si rivela di una modernità inattesa. Mi racconti di questa scelta e del processo creativo che l'ha riguardata?
Quando uscì "Fou de love" io avevo diciassette anni. Mi ricordo che un paio di anni dopo feci una lunga vacanza al mare con altri tre amici e con uno di loro condividevo un auricolare delle cuffie di un vecchio walkman dentro il quale girava questa canzone ininterrottamente. Diventò per noi parte della colonna sonora di quella estate. Così, a distanza di tanti anni, non potevo non decidere di ricantarla, anche perché tra l'altro mi ero ripromesso di farlo al di là di questo progetto su Branduardi... L'ho fatto proprio con lo spirito del ricordo di quella estate, con tutte le passioni che attraversano quell'età, dall'amore all'amicizia, legandola anche a uno struggimento più maturo per un amore non corrisposto.
Non ti è venuta voglia di rileggere il Battisti bianco adesso?
Moltissimo. Non sei il primo a consigliarmi di farlo e non ti nascondo che un progetto, sempre con Alessandro Russo, c'è.
"Sotto il tiglio" e "La Luna" invece ci riportano al Branduardi più vicino alla stagione d'oro del revival folk anglo-scoto-irlandese. Ci hai messo qualcosa di mediterraneo? A me sembra di sì, ma non so se sei d'accordo.
Quando ci si affida a due strumenti come nel nostro caso è chiaro che qualcosa di profondamente personale, per quanto si provi ad allontanarsi e staccarsi, qua è là viene fuori, proprio perché si è nudi. Alessandro è nato a Stoccarda ma è di fatto calabrese (ride). Io sono per metà sardo... questo è il Mediterraneo che senti, e che effettivamente c'è.
"Alla fiera dell'Est" piano e voce è una vera e propria sfida. Come è nata l'idea delle armonizzazioni vocali a fine pezzo?
Leggendo la bella autobiografia di Branduardi scritta insieme a Fabio Zuffanti ("Confessioni di un malandrino", Baldini & Castoldi), a un certo punto si fa riferimento alla vicinanza del menestrello con la musica sarda. Così, giocando un po' con le parti finali di "Alla fiera dell'Est" e cercando di trovare un modo per lasciarla intatta ma allo stesso rimanendo fedele alla regola del "pianoforte e voce", mi sono detto che una sovrapposizione vocale con un che di sardo avrebbe potuto risolvere l'arrangiamento. Mi sono un po' buttato fino a trovare un'atmosfera che mi è parsa giusta per la canzone e allo stesso tempo rispettosa.
Un poeta gentiluomo
Tu sei stato una persona cara per Franco Battiato, come sono i tuoi rapporti con Branduardi e la sua famiglia? Lo hai incontrato? Se sì, cosa pensa del lavoro?
Ho incrociato Branduardi varie volte, ma solo una volta sono stato a cena con lui: abbiamo parlato di tante cose, anche perché lui è un vero gentiluomo, una persona squisita. Abbiamo chiacchierato soprattutto delle spedizioni navali inglesi verso la ricerca del famoso passaggio a nord-ovest. Avevamo letto lo stesso libro, per caso, in quel periodo e ci siamo ritrovati a parlare di uno strano argomento che però appassionava entrambi! Quella volta gli lasciai una manciata di sue canzoni che sono entrate a far parte di questo progetto, sulle quali poi si è espresso molto positivamente.