Storici pionieri del connubio tra heavy metal e progressive rock, mai caduti negli stereotipi di genere e dal sound inconfondibile, i Fates Warning ci sorprendono tornando dopo un solo anno dalla scorsa - a lungo attesa - apparizione a Brescia.
Sarebbe stato quindi un peccato farsi sfuggire una chiacchierata con Ray Alder, frontman della band del Connecticut, il quale saluta calorosamente:
"Ciao, qui stanno facendo un casino con il soundcheck, scappiamo sul tour bus!"
Salgo per primo le scalette del mezzo e mi imbatto in un sempre schivo Jim Matheos, il quale mi osserva con uno sguardo tra lo stupito e il bellicoso. "E' con me, Jim!", lo tranquillizza Ray da fuori. "Oh, right, stavo solo per picchiarlo!", glissa il leader della band, mostrando i pugni e accennando un raro sorriso.
Trovata un po' di pace, iniziamo.
Allora Ray, come sta andando il tour?
Bene, bene. Tra l’altro è già la seconda volta che veniamo qui al Colony di Brescia, dopo l’anno scorso. Devo dire che ci sono meno persone di quanto sperassimo ma… va bene lo stesso, sappiamo che in alcune nazioni è così.
Voi andate particolarmente forte in Germania, se non erro. Avete fatto un sacco di date là.
Sì, decisamente. Abbiamo suonato lì un sacco di volte già solo negli ultimi tre anni.
In effetti non mi aspettavo di rivedervi già un anno dopo la vostra ultima apparizione in Italia, qui al Colony (il 13 ottobre 2013, ndr).
Sì, stiamo cercando di promuovere al massimo quest’ultimo disco, uscito dopo tanti anni. Forse faremo ancora qualche data americana prima di tornare in studio.
Ah, quindi avete intenzione di riprendere subito a lavorare a un nuovo album? Puoi già anticiparmi qualcosa o è ancora top-secret?
Sì, inizieremo a scrivere qualcosa a dicembre, però è semplicemente troppo presto per poterti anticipare qualcosa. Posso dirti che lo realizzeremo con la stessa line-up di “Darkness In A Different Light”.
E come pensate di lavorare a questo disco? Sarà un lavoro diretto da Jim Matheos con vostri contributi, come spesso accaduto in passato, o qualcosa di più corale?
In generale le idee partono da Jim, il quale con strumenti come Pro Tools realizza un abbozzo delle ritmiche, usando drum-machines e sequencer. Poi manda il tutto a me che mi occupo di inserire le melodie. Con “Darkness In A Different Light” Jim mi chiese “hey! ti va di scrivere dei testi?” e io “uhm, yeah, è ok!”.
Penso che la gente tenda a preferire i suoi testi perché sono generalmente molto poetici, lui è più scrittore di me. Io tendo a parlare più di me stesso, di vita personale, di esperienze, mentre lui è più profondo. Comunque mi ha chiesto di scrivere delle cose e per me andava bene.
Rispetto al passato in effetti scrivi decisamente di più. Da come dicevi, sembrerebbe che questo processo sia dipeso dalla volontà di Jim. C'era anche una tua aspirazione al riguardo? Che effetto ti fa?
E' vero, negli ultimi 3-4 album ho scritto sempre più spesso. Penso che per Jimmy la scrittura sia già abbastanza impegnativa così. Sai, è un sacco di lavoro. Jim è uno scrittore apprezzato dai fan ma è uno che non pensa a cosa vuole la gente ma a cosa vuole lui. Considera anche che non è sempre facile mettere te stesso, i tuoi sentimenti personali, in ciò che scrivi e farlo sapere a tutti.
E’ bello, penso che sia anche una sorta di auto-terapia quella di mettere i tuoi pensieri su carta. Poi però devi anche pensare alla melodia, e può essere davvero dura. A me piace, è una sfida. E’ un sacco di lavoro ma ultimamente mi piace farlo molto più che in passato.
Penso che mostrare a tutti quello che pensi non sia affatto facile, ad ogni modo.
No, decisamente. Come ti dicevo, è un lavoraccio. Quando scrivo la prima cosa che cerco di ottenere è di non essere troppo scontato. Vorrei che il lettore interpreti per se stesso, che si confronti con cosa dico ma non che legga semplicemente la mia storia.
E’ il bello dei testi più criptici ed evocativi, se vogliamo. Un certo scritto può esser nato per te da un pensiero completamente diverso da quello che innesca in me, così che non c’è un’unica verità e interpretazione.
Sì, ed è bello quando i fan vengono da te e ti dicono “ho letto questo tuo testo e ha significato molto per me”. Può essere davvero molto diverso da ciò che hai pensato tu nel momento in cui lo hai scritto ma è davvero un piacere sapere che c’è chi va così in profondità ed essere apprezzato per questo lavoro.
A proposito dei fan. Alcuni autori amano incontrare la propria gente perché tramite i loro racconti - in alcuni casi addirittura confidenze, soprattutto nell’ambiente del cantautorato - traggono ispirazione se non energia per i loro scritti. Qual’è invece la tua fonte dalla quale trai l’ispirazione?
Ora che mi trovo a scriverne molti, cerco spesso di pensare consapevolmente a cosa sto facendo nei giorni che vivo: magari sto viaggiando in qualche pazzesca nazione dell’Est Europa o nel cuore dell’America, oppure penso a semplici esperienze della mia vita come le mie relazioni, la mia famiglia. Mi sento più recettivo ora e a un certo punto c’è qualcosa che ti scatta in testa. In quel momento butto giù qualcosa con quel che ho, spesso il mio cellulare.
Ho idee per centinaia di canzoni, di testi. Cerco di parlare di qualcosa di interessante, spesso personale, ma non quelle robe tipo (canticchiando, Nda): “Ho preso la mia auto, ho guidato per 5 miglia…”.
Ray, perdonami se divago, ma in questo momento sto pensando che è la prima volta che salgo su un tour bus. E’ spettacolare!
Davvero? Eh, non è facile entrar qui (ride, ndr). E' carino... beh, fa un po' night club. Aspetta eh… guarda qua che spettacolo! (inizia a rovistare tra pulsanti e levette di un pannello sotto al tavolo, accendendo finalmente le lucine a decorazione della capote, ndr). E poi ci piazzano sopra sempre questi tetti a specchio...
Mi sa che è dura però vivere per mesi in un bus, sbaglio?
Lo è. Decisamente. Io sono l’unico single della band, tutti gli altri sono sposati. Per me è più facile perché non ho figli o mogli che vivono lontano, anche se sento la mancanza dei miei amici a casa mia, delle mie persone. Molti ritengono glamour tutto ciò, ma in realtà lo è molto poco. Andiamo di città in città vedendo quasi solo i locali. Un sacco di gente pensa cose come “yeah, guys… ve la spassate di brutto! Feste, casino…”. Bah, sono tutte cazzate!
Forse c’è qualche stereotipo di troppo?
Oh sì! Magari molto tempo fa poteva essere così, sai eri molto gasato tutto il tempo, ma ormai siamo cresciuti, siamo dei professionisti e vogliamo fare il nostro lavoro al meglio e suonare meglio possibile. Ad esempio, io non bevo mai prima dei concerti, perché ti distrugge la voce.
Penso che soprattutto nel vostro genere di appartenenza ci sia un’attenzione maggiore alla prestazione sul palco, al rigore tecnico. Insomma, fare un casino è ancor meno lecito in casi come il vostro.
Esattamente. Tutti sono molto concentrati prima dello show, provano in continuazione: Bobby, Jim, Joey… e soprattutto Mike, il nostro chitarrista! (Michael Abdow, chitarrista di supporto nei live al posto di Frank Aresti. Nda). Lui è un grande, se ne sta sempre lì a giocherellare con i suoi giri di chitarra.
Tra l’altro mi sembra giovanissimo.
Beh sì, ha trent’anni.
Pensavo pure meno. E come è venuto in contatto con voi?
Onestamente non me lo ricordo, in realtà credo che lo abbia consigliato Frank Aresti. Ci mandò delle registrazioni, insieme a qualche altro candidato, e scegliemmo in base a chi meglio rientrava nei nostri parametri. Il requisito per la band non era quello di essere una rock star - non so se mi spiego - e lui lo abbiamo ritenuto perfetto per noi.
Come mai una pausa così lunga per avere “Darkness In A Different Light”?
Sai, abbiamo tutti un sacco di progetti paralleli. Ti trovi sempre in situazioni come “Ok, tu stai facendo questo, io sto facendo quest’altro.”. “Ok, io ho finito, sono pronto.”. “No! Io ho ancora da fare questo, e pure lui!”. “Ok quando hai finito, ci sentiamo e partiamo”. E così avanti per molto, molto tempo. Joey ha un’altra band (gli Armored Saint. Nda)... Bobby ha quattro fottute band! (Riot, Halford, Sebastian Bach e Fates Warning, ndr). E poi Jim è negli OSI e pure io lavoro in due band, che prima erano tre!
E’ un circolo vizioso e così sono passati ben nove anni. Di recente c’è stato l’album di Arch/Matheos (collaborazione tra Matheos con il primo cantante dei Fates Warning John Arch, al quale si sono uniti gli attuali strumentisti della band, ndr) che sarebbe potuto diventare il nuovo Fates Warning. Jim mi aveva inviato della musica ma ero troppo impegnato al tempo. E così via.
Non hai mai avuto paura che i Fates Warning potessero perdere una parte consistente del loro nome e della loro presenza in un mondo come quello della musica, che spesso poco perdona le lunghe pause.
Certo! Assolutamente, è un fatto che la nostra popolarità si sia praticamente dissolta, perché siamo stati assenti per tanto tempo. Voglio dire, non siamo, che so… gli Iron Maiden o un nome che possa permettersi di tornare dopo anni e sapere che saranno tutti lì presenti quando ciò succederà. Sapevamo che sarebbe stata dura. Fortunatamente abbiamo uno zoccolo duro di fan molto fedele che è sempre presente ed è grandioso. E ora stiamo provando a tornare stabilmente.
Il vostro ultimo album comunque ha avuto un’ottima accoglienza dalla critica.
Sì, molto buona. E’ stato sorprendente e anche i fan lo hanno apprezzato. Non sono mancate critiche ma devo dire che sono state poche.
Ho sempre pensato che la carriera dei Fates Warning abbia avuto un’evoluzione davvero insolita. Sai, tante volte una band dà il suo meglio nei primi album per poi avere un calo fisiologico, più o meno brusco. Voi invece avete avuto una crescita costante e, a mio personale parere, avete offerto il meglio della vostra carriera proprio nell’ultima fase, con il picco che sta a cavallo tra “A Pleasant Shade Of Gray” e “Disconnected”, senza nulla togliere al resto. Ammetterai che è piuttosto insolito, e mi chiedo cosa vi abbia distinto dagli altri.
Beh… wow! Grazie! Però, ecco, non saprei! Non siamo così talmente coscienti di ciò che stiamo realizzando, non abbiamo una ricetta. Vuoi sempre lasciare un marchio e fare un buonissimo album. Dipende da cosa sei tu in un certo momento della vita. Per quest’ultimo album devo dire che Jimmy e io ci stavamo dentro completamente, lavorandoci ogni giorno. Ogni giorno! Sempre al telefono a dirci questo e quest’altro. Volevamo fare qualcosa di speciale, sicuramente, perché dopo nove anni presumo tu ti senta in dovere di farlo.
Tra l’altro, se non sbaglio, tu e Jim vivete molto lontani.
Decisamente. Lui nella East Coast, nel New Hampshire, io nella West Coast, a Los Angeles. Ma oggi non è un problema ovviamente, tra telefono, videochiamate e file vari è come stare nella stessa stanza.
Ho paura di farti una domanda scontatissima Ray: che rapporto hai con il progressive rock?
E buffo, ma non ne ascolto per nulla! So che ci sono band fantastiche ma non sento nulla di progressive. Sarà forse perché lo suono, ascoltarlo magari potrebbe cambiare il mio atteggiamento, il mio modo di pensare nella band...
Però è curioso come i Fates Warning iniziarono ad approcciarsi al progressive con “No Exit”, e proprio in concomitanza con il tuo ingresso nella band. Quindi non è colpa tua!
No, proprio per niente! All’inizio ero davvero confuso! Quando Jim mi diede le parti dissi: “Ma che cazzo! Come diavolo dovrei fare questa roba?” (ride, ndr).
A me piace scrivere la melodia. Certe strutture sono terribilmente complesse, con tempi dispari in cinque, sette, nove, dodici parti. Sai, quelle cose che fanno un po’ così “tum-ta-tu-tu-tum-ta” (canticchia una melodia sincopata, ndr); io invece voglio che tutto scorra, anche se la musica sotto si muove così.
Comunque voi avete sempre avuto questa fusione di componenti: progressive e metal più tecnico così come una parte pop.
Abbiamo uno stile variegato, eterogeneo. A me ad esempio piace che l’audience canti con me. Proprio per questo ritengo che “Firefly” sia una canzone meravigliosa, mi piacque subito perché la melodia era grandiosa, la canzone una figata. Piace molto anche a Jim…
"Darkness In A Different Light" comunque è un disco piuttosto melodico nel complesso.
Sì, e tra l’altro c’è un altro discorso che facemmo. Non entrai nel progetto Arch / Matheos anche perchè… non ci stavo dentro, mi dispiace era troppo impegnativo, non lo sentivo. E dopo ciò facemmo quest’ultimo lavoro, molto orecchiabile e immediato, come piace anche a me.
In effetti dopo il vostro discorso più prettamente progressive, da “Perfect Symmetry” a “Disconnected”, avete creato una rottura. Prima con “FWX”, più orecchiabile del solito, poi ancor di più con l’ultimo lavoro, forse il disco più metal da almeno 15 anni a questa parte. Questo è anche per via di un tuo sempre più maggior coinvolgimento nella composizione dei brani?
Sì, Jim e io lavoriamo insieme molto più che in passato. In passato Jim scriveva completamente i brani e me li passava, stavolta abbiamo discusso di più sui pezzi, su cosa esattamente si dovesse fare. E’ stata l’occasione di fare qualcosa insieme, qualcosa di catchy, lavorando sulla stessa pagina.
Pensate di venire più spesso in Italia in futuro, ora che avete ripreso a far date da noi con un buon ritmo?
Lo spero, mi piace suonare in Italia. Non abbiamo così tanti fan qui ma quelli che abbiamo sono speciali. Voglio dire, di solito non vieni a un nostro concerto perché vuoi farti una birra ma perché apprezzi davvero. Se tu vai a un concerto dei Fates Warning la domenica sera - così come di lunedì sera o martedì, considerando gli impegni della gente - penso che ci sia una buona ragione, è molto bello ed è per questo che facciamo del nostro meglio live per loro. Specialmente se in posti in cui non andiamo più da 3-4 anni, vedi come ieri a Torino, o a Milano dove non andiamo dal 1995.
In questo tour stiamo percorrendo posti per noi insoliti: Serbia, Croazia, Polonia. La Polonia è una terra incredibile, abbiamo avuto una risposta ben oltre le migliori aspettative, uno dei migliori pubblici che abbiamo avuto, così come è stato in Grecia. Non so perché accada lì…
Ultimamente in molti vi state spingendo nell’Est Europa, dove ci sono pure strutture piuttosto interessanti. Basti pensare al bellissimo live fatto dagli Anathema a Plovdiv (come riportato nel live video “Universal”, ndr).
Sì, l’ho visto e lo adoro; in quel bellissimo teatro romano, poi. Tra l’altro apprezzo moltissimo il loro album “Wheather Systems”. L’Est è un posto molto interessante, abbiamo suonato già in quelle zone. Non so cosa aspettarmi per la prossima data in Croazia, non conosco nulla di loro, della loro cultura.
Un’ultima domanda Ray. Sarebbe stato grandioso, dieci anni fa, assistere allo storico tour americano dove suonavate insieme a quelli che come voi sono considerati i pionieri del progressive metal: Dream Theater e Queensryche. Siete ancora in contatto con loro?
Non così tanto con i Queensryche, ma li vediamo come compagni di vecchia data.Riguardo ai Dream Theater abbiamo amicizia più che altro con Mike Portnoy, che però non è più un loro componente. Con gli altri membri non abbiamo tutti questi rapporti, abbiamo giusto suonato con Mike Mangini in Grecia, recentemente. Siamo ancora amici ma non così in amicizia, insomma.
Quindi escludi possa verificarsi nuovamente un evento del genere, magari in Europa.
(Scrolla la testa, con decisione, ndr) Decisamente no. Peccato, fu un bell’episodio quando suonammo in America. Ebbe un successo enorme, avevamo puntualmente dalle 6000-8000 persone a concerto. Ma non credo davvero che potrà riaccadere.
Intanto ci gusteremo i Fates Warning, già da stasera.
Oh sì, non vedo l’ora. Ma prima ho bisogno di mangiare qualcosa e farmi una dormita, sono a pezzi!
(Brescia, 09 Novembre 2014)