Ammettiamolo: "Weather Systems" è un gran bel titolo. Adattissimo all'idea che gli ex-metallari Anathema hanno per il loro undicesimo album: un compendio di "mondi in miniatura" - paesaggi emotivi indipendenti e, come il tempo atmosferico, dinamici, immediati e segretamente complessi.
A nove anni dalla sorprendente svolta di "A Natural Disaster", che li condusse dal più cupo doom metal a malinconiche soluzioni trip-hop, questo è l'orizzonte musicale della band inglese: un art-pop ambizioso e raffinato, di certo memore dei molti generi sperimentati in passato (metal, trip-hop appunto, ma anche alternative rock, progressive, post-rock e perfino EBM), ma ormai pienamente maturo e, a modo suo, "classico".
Questa è la teoria. Perché al di là di tutte le belle premesse, la pratica è che "Weather Systems" è una vera noia. Un album monotono negli sviluppi e piatto nel sound; "atmosferico", sì, ma del tutto privo di quei guizzi vitali che sarebbero propri degli elementi naturali. I brani seguono il ben collaudato schema soft/loud dei gran crescendo di ritmo e intensità: partono (pressoché tutti, viva la varietà) con un abbondante dispiego di arpeggi minimal/acustici e pian piano stratificano, rafforzano. Aggiungono archi, pianoforte, batteria - da spogli si fanno grandi e roboanti, nella perenne ricerca di una catarsi che non può arrivare.
"Weather Systems" è infatti un disco freddo, artificioso, profondamente manierista: quanto di peggio si possa immaginare per un disco che vorrebbe puntar tutto sul versante emotivo. Perfino le melodie strafanno nel cercare di essere evocative, e anche quando il giochino del romanticismo sarebbe lì lì per funzionare, provvede una produzione poco accorta a rendere stucchevole il timbro vocale dell'altrove splendida Lee Douglas.
Forse la sola traccia a ipnotizzare davvero è "The Storm Before The Calm", che tra inquietudini elettroniche e distorsioni alternative riesce riportare in vita un po' degli antichi fasti. Per il resto, i momenti autenticamente coinvolgenti sono questione di pochi secondi: il tratto finale di "Sunlight" (Explosions in the Sky allo stato puro), il torvo attacco pianistico di "The Beginning And The End" (presto rovinato dall'insopprimibile desiderio di grandeur), il 5/4 placido della conclusiva "Internal Landscapes".
Deludente.
28/04/2012