Cosa distingue Federico Albanese e il suo (al momento) unico disco da tutta la musica strumentale che ormai sentiamo ovunque? Un elemento in apparenza scontato ma a conti fatti incredibilmente decisivo: l'equilibrio tra spinta sentimentale ed eleganza estetica. Un equilibrio che è da anni materia di ricerca di quasi tutti gli esponenti della scena cosiddetta modern classical, ma che nessuno era mai riuscito ad ottenere nella stessa misura; nemmeno il pioniere del successo del genere stesso in Italia, quel Ludovico Einaudi che è stato, per certi versi, il suo maestro, e con la cui figlia ha condiviso i primi passi del suo percorso artistico nei Le Blanche Alchimie. Da qualche anno, Albanese ha lasciato l'Italia e si è stabilito a Berlino, terra decisamente più fertile per la sua musica e il prosieguo della sua carriera: non sorprende dunque, in tal senso, che a scoprire e valorizzare il suo talento sia arrivata prima di tutti Denovali, sul cui catalogo e sulle cui capacità di scoperta abbiamo già speso parecchie parole (e, finché il merito resterà così ingente, non potremo che continuare a farlo). Abbiamo raggiunto Federico per farci raccontare l'evoluzione della sua carriera e provare a tracciarne un profilo più preciso.
E' un momento decisamente fertile per la musica contemporanea dalle nostre parti. Assieme a te, in parecchi si stanno affacciando ad un universo che aveva vissuto un periodo di minima espansione solo forse con la new age dei Novanta... Cosa ne pensi?
Sì, hai ragione. Personalmente mi sono sempre visto abbastanza slegato dalla musica new age degli anni Novanta, anche se ora mi fai ricordare di quando da ragazzino compravo la rivista “New Age” con cd annesso. In effetti ai tempi era l’ unico modo di ascoltare strane sperimentazioni. In quel modo scoprii artisti come Philip Glass, Mike Oldfield, Brian Eno, o anche i Moloko ricordo... Le radio non passavano questo genere e le riviste non ne parlavano molto. Probabilmente oggi i tempi sono più maturi per questo tipo di approccio musicale.
Prendendo in esempio il tuo caso, da dove sei partito per il viaggio che ti ha appena portato a pubblicare il tuo disco?
E’ stato un viaggio lungo e intenso, durato diversi anni, quasi una vita. Sono partito con la mia ricerca musicale tanti anni fa, riapprociandomi al pianoforte per comporre alcuni pezzi del primo disco de La Blanche Alchimie. Da li, ho iniziato sempre più a lavorare al piano e a comporre brani nell’ombra: più per me, per trovare una chiave musicale personale. Una mia maniera di esprimere le cose e tradurle in musica. Quando mi sono trasferito a Berlino, avevo già accumulato parecchio materiale e ho sentito che era il momento giusto per farlo venire alla luce
Il precursore di questo successo in Italia è stato probabilmente Einaudi, e so che tu hai anche collaborato con lui. Puoi raccontarci di quest’esperienza?
Sì, mi è capitato di collaborare con lui qualche volta in passato. Avere avuto l’opportunità di lavorare con un artista del suo calibro ed esperienza, è stata una grande scuola, forse la migliore.
"The Houseboat And The Moon" è a mio parere uno dei lavori più belli degli ultimi anni collocabile in quell'universo che si suole chiamare modern classical... Cosa pensi di questa definizione? A tuo parere ha senso/è possibile dare una definizione alla tua musica?
Ti ringrazio delle belle parole. Definire la musica in generale a mio parere è sempre difficile, a volte fuorviante. Io ho sempre molta difficoltà nel definire la mia musica, è più una prerogativa del mercato direi. Tutto sommato il termine modern-neo-classical calza abbastanza. Anche se c’è un grande melting pot di generi, dal pop al jazz, passando per l'ambient... In realtà il termine “classica” si riferisce più allo strumento usato, il pianoforte. Io trovo che sia semplicemente un nuovo modo di concepire la musica strumentale che, in parte, è figlia dell’eredita di Debussy, Satie ecc.
Uno degli aspetti più significativi che ho trovato nel tuo modo di comporre è la capacità di racchiudere emozioni e sensazioni in un linguaggio decisamente sobrio, mai sopra le righe, intimo ma “riservato”. Ritieni la trasmissione emotiva un aspetto importante del fare musica?
Fondamentale. E' la cosa che in assoluto conta di più. Riuscire a trasmettere un emozione o sensazione. Io cerco delle immagini e provo a descriverle in musica. La mia speranza è che chi ascolta possa non solo sentire, ma anche vedere, toccare, annusare.
Definirti esclusivamente “pianista” è sicuramente riduttivo, considerata la dimensione quasi cameristica in cui si collocano i tuoi brani. Qual è lo strumento che reputi principale, nel comporre e nell'eseguire la tua musica?
Assolutamente non mi reputo un “pianista”, anche perché questo termine nella mia mente si riferisce più a personaggi come Gould e via dicendo: un compositore direi. Utilizzo il pianoforte come strumento principale per la sua complessità e completezza. Ma penso che ogni strumento usato per scrivere un brano abbia la sua importanza al pari degli altri. Non faccio distinzione. A volte ad esempio mi capita di partire scrivendo un solo di violoncello e poi arriva il pianoforte e tutto il resto, oppure partire con suoni ed effetti.
Cosa pensi dell'utilizzo dell'elettronica nella tua musica? Mi viene in mente un brano in particolare, “Disclosed”, che è però un caso a parte rispetto al resto del disco. L'uso, discreto e curatissimo, che ne hai fatto in quel contesto può rappresentare in maniera efficace la tua opinione a riguardo?
Ti ringrazio. Io vedo l’elettronica come un altro strumento musicale a se. La utilizzo come mezzo per raggiungere un obbiettivo preciso. Nel complesso mi serve per creare spazialità e per dare al pianoforte una luce diversa. Mescolando suoni ed effetti e piazzandoli nello spazio cerco di ottenere una varietà di sfumature e colori. “Disclosed” è senz’altro un buon esempio, ma ovunque nel disco è presente in rapporto al pianoforte, come contorno o sottofondo , come una tela preparata sulla quale si forma il dipinto.
Questa formula di musica strumentale sta riscuotendo un gran successo in tutt'Europa, al punto tale che a mio parere si può già distaccare due filoni separati, uno di stampo più accademico (penso a Max Richter o Nils Frahm) e un altro più “popular” (nell'accezione positiva del termine). A quale di questi due, se sei d'accordo nel riconoscerne l'esistenza, ti senti più vicino?
Non saprei proprio, io credo che ogni compositore prima di tutto persegua una propria ricerca personale. Poi capita a volte che questa ricerca trova il favore del pubblico e diventa popolare. Fa parte della naturale evoluzione delle cose, penso.
Che rapporto hai, più in generale, con la musica dei contemporanei nel tuo ambito? E chi sono invece quei musicisti che rappresentano una fonte importante d'ispirazione per te?
Apprezzo molto l’opera e il lavoro di diversi miei “contemporanei”. Per quanto riguarda le ispirazioni, la musica ne è certo una parte, i grandi maestri del passato rappresentano sempre una base essenziale, come la buona musica in generale, qualsiasi genere. Io personalmente prendo molto dall’ arte figurativa, il cinema, letteratura. spesso le idee per i brani mi arrivano da un'immagine, un idea, una storia che cresce nella mia testa.
In una recente chiacchierata con Fabrizio Paterlini si diceva che, nonostante la crescente attenzione che viene dedicata a questo genere di musica, in Italia è sempre e comunque difficile affermarsi o riuscire per lo meno a trovare un equilibrio fra arte e professione... Che esperienza hai a riguardo?
Un po' ovunque è difficile trovare un equilibrio tra arte e professione. Quando si sceglie questa strada, bisogna mettere in conto sacrificio, duro lavoro, tanta pazienza. La mia sensazione riguardo all Italia é che spesso ci sia la tendenza a disincentivare l’arte piuttosto che promuoverla e incitarla. Nel mio caso ho trovato in passato poca apertura mentale, riguardo a generi più “sperimentali” e con un respiro più europeo. Sembra che l’Italia sia ancora appesa a un tradizionalismo che fatica a sradicarsi, che riguarda un po tutti, non solo il mondo della discografia o il business musicale, ma anche il pubblico stesso. Nonostante ciò l’underground in Italia c’è, ed è forte. La speranza è che venga più a galla e si affermi anche all’estero.
In generale, che rapporto hai con l'Italia? So che ora vivi a Berlino, è stata una scelta esclusivamente personale/di vita o legata anche ad esigenze artistico-professionali?
E’ stata una scelta in entrambi i sensi. La musica è la mia vita e ho dovuto muovermi per continuare la mia ricerca. Con l’Italia ho sempre un buon rapporto, ci torno volentieri, ma per poco tempo. Sento che il mio percorso è altrove adesso. Berlino è un luogo che mi sta dando tantissimo , sia professionalmente che “umanamente”, per così dire.
Un'altra particolarità della tua (ancora breve) avventura discografica è aver esordito (meritatamente) su un'etichetta importante e blasonata come Denovali, un palcoscenico ammiratissimo in tutta Europa e non solo... Come sei entrato in contatto con loro? Pensi possa aver rappresentato una freccia importante al tuo arco?
Denovali è un'etichetta straordinaria, non avrei potuto avere di meglio. fatta di persone che lavorano duro e ti supportano costantemente. Guarda, è andata nel modo più semplice possibile. Il mio manager gli ha mandato i provini di alcuni brani, e gli sono piaciuti. In seguito gli ha mandato i provini di tutto il disco e hanno detto ok, benvenuto a bordo. Senza dubbio aver pubblicato con loro è un grande privilegio e sono entusiasta di come stanno andando le cose, si lavora costantemente e con ottimi ritmi. Una freccia importantissima per il mio arco!
Due anni fa, nel contesto del Piano City Festival di Milano, hai preso parte ad un'esperienza particolare come un house concert. Credi che una dimensione così intima si adatti bene alla tua musica (che a mio parere lo è altrettanto)?
E' stata un momento in effetti importante, uno dei primissimi, (forse il primo) concerto di pianoforte solo della mia vita. Una dimensione straordinaria. Forse un momento di svolta, è li ho capito definitivamente la strada da prendere. Uno dei primi approcci a una, per me, nuova dimensione live.
Più in generale, che rapporto hai con la dimensione live?
Decisamente un ottimo rapporto. E' senza ombra di dubbio la dimensione migliore, un occasione di sperimentare e dare ogni volta ai pezzi una luce diversa. Per ora sono da solo e lavoro processando il suono del pianoforte dal vivo, con pedali, effetti, il che rende ogni spettacolo diverso. In futuro avrò senz'altro anche uno show più ampio, con altri musicisti. In primis il violoncello.
Che progetti hai per il futuro prossimo?
Tanti progetti. Sto iniziando a lavorare ad un nuovo disco che uscirà il prossimo anno, e nel frattempo ad Agosto, uscirà un Ep di remix del disco. Quattro tracce rielaborate e riviste da quattro artisti diversi. Sarà disponibile in un edizione limitata in vinile e in digitale. Sono molto contento di questo lavoro, collaborare con altri artisti, producer, è sempre uno stimolo per rinnovarsi e sperimentare.