In occasione dell'uscita del suo ultimo album, intitolato “Goodbye, Hotel Arkada" e intriso di una malinconia ancestrale che soltanto un’arpa può propagare, abbiamo scambiato qualche battuta con la californiana Mary Lattimore, tra gli interpreti attuali più entusiasmanti dello strumento. Abbiamo parlato dei suoi ultimi lavori, della sua passione per il cinema, di come è stato collaborare con stelle di prima grandezza del panorama alternativo come Lol Tolhurst e Rachel Goswell e di tanto, tantissimo altro.
Ciao Mary! Come stai? Da dove ci stai rispondendo?
Tutto bene, ti rispondo da un hotel di Philadelphia.
Hai appena pubblicato un nuovo lavoro intitolato “Goodbye, Hotel Arkada”. Un disco zeppo di malinconia, il cui titolo si riferisce a un hotel croato cui sei affezionata, che ultimamente ha subito un processo di ristrutturazione brutale… ci puoi dire qualcosa in più sulla scelta di questo titolo?
Adoravo l’aspetto di quell’hotel prima della ristrutturazione. Ma per me l’hotel in sé per sé non è importante quanto l’idea generale di trattenere nella mente qualcosa prima che svanisca o cambi. Perché i cambiamenti sono inevitabili, quelli positivi e quelli negativi. Tutto cambia e si rinnova, muta forma, viene distrutto, ricostruito. Se si tratta di qualcosa che amiamo, è nostro dovere renderla immortale prima di perderla, utilizzando in maniera artistica gli occhi della nostra fantasia. Si tratta di riconoscere il valore dell’effimero.
Paragonando il titolo, i titoli delle sue canzoni, la copertina e ovviamente la musica di “Goodbye, Hotel Arkada” con il tuo lavoro solista precedente, “Silver Ladders”, percepisco un assetto molto più terrestre, scenari meno astratti e atmosfere meno spaziali, in addizione a un umore più cupo. È soltanto un’impressione mia?
Sì, ha assolutamente senso quello che dici! “Silver Ladders” è pura emozione. Un bel pezzo di quel disco è stato registrato velocemente in Cornovaglia, dove ero come immersa in un bagno di nuove esperienze e impressioni poetiche. “Goodbye, Hotel Arkada” ha avuto una gestazione più lunga e controllata, è il frutto di un fitto lavoro di edizione e selezione, è stato registrato e composto in maniera completamente intenzionale. Credo che questi due dischi rappresentino due aspetti differenti del mio modo di suonare. Ai tempi di “Silver Ladders” ero capace di lasciarmi andare di più, perché c’era Neil (Halstead, ndr) a preoccuparsi della produzione e quindi mi sentivo più libera, leggera. A me però piace anche essere più riflessiva, in pieno controllo di quello che faccio, e così “Goodbye, Hotel Arkada” suona più cauto, ancorato al suolo, cervellotico come si confà al segno della Vergine. Volevo davvero plasmare bellezza con devota intenzione, come se stessi realizzando dei piccoli dipinti.
Oltre ai tuoi collaboratori abitudinari, per il tuo nuovo disco hai tirato in barca stelle di prima grandezza del panorama alternativo quali Rachel Goswell degli Slowdive, Roy Montgomery e Lol Tolhurst dei Cure! Come è stato lavorare con loro? Dicci qualcosa sul processo creativo dietro queste cooperazioni.
Ammiro fortemente questi musicisti e sono fortunata che, arrivata a questo punto, li possa chiamare amici. Abbiamo collaborato in remoto. Per quanto riguarda il brano con Lol, semplicemente gli ho mandato la canzone e lui ha fatto le sue aggiunte. Ho ricevuto la sua parte a Capodanno, nel bel mezzo di una festa che avevo organizzato, così sono corsa nella mia stanza per rimanere da sola e ascoltare quello che aveva aggiunto. Mi è parso perfetto e un buon auspicio per l’anno che sarebbe iniziato di lì a poco. Il pezzo con Roy, invece, è stato il frutto di un processo da amici di penna, rispedendoci a vicenda il pezzo avanti e indietro. Quando lo abbiamo realizzato lui era in Nuova Zelanda, io invece in una residenza per artisti del Wyoming. Ci siamo divertiti davvero tanto a scambiarci cose avanti e indietro. A Rachel, invece, ho semplicemente chiesto dei vocals e lei ha felicemente esaudito il mio desiderio, dal Regno Unito alla California. Sono artisti che apprezzo enormemente e ho concesso loro di aggiungere quello che meglio credevano, in totale libertà. Sono degli eroi!
Il pezzo con Lol, in tutta probabilità il più melancolico e drammatico del lotto, si intitola “Arrivederci”, in italiano. Come mai questa scelta di linguaggio?
È una canzone che ho scritto dopo essere stata licenziata da un lavoro. Dovevo suonare le parti di arpa per il lavoro di un meraviglioso musicista italiano, sfortunatamente le sessioni non andarono molto bene. Così tornai a casa, piansi l’anima e composi qualcosa per me. Ringrazio il cielo per il risultato, a volte fa bene comporre musica quando sei distrutta. Sto anche imparando l’italiano, così magari un giorno sarò in grado di pronunciare il titolo della canzone con l’accento americano meno marcato, o almeno spero!
In realtà, durante il tuo ultimo tour hai suonato in un bel po' di location italiane, inclusa la mia Napoli… com’è stato suonare per un bel pezzo in giro per il nostro paese?
Adoro l’Italia e mi è piaciuto tantissimo visitare Napoli. Spero vivamente che i miei tour continuino a portarmi in Italia. È davvero una delle nazioni più belle e piene d’arte al mondo. Le persone sono simpaticissime e così puramente innamorate della bellezza, del cibo e della cultura.
Tu suoni e componi per arpa, uno strumento piuttosto antico. Eppure, l’uso che ne fai è incredibilmente moderno, radicato nella contemporaneità. Solitamente il suono della tua arpa echeggia in scenari ambient o addirittura post-rock. Come ti è venuto in mente che l’arpa potesse essere adatta a questi generi?
Non ne avevo idea fino a quando non iniziai a suonare con alcuni amici nel 2015, in quel di Philadelphia, mescolando per la prima volta la musica che suonavo con quella che mi piaceva ascoltare. Fu straordinario scoprire quanti diversi umori potessi evocare con la mia arpa.
Sbirciando tra i tuoi account sui vari social media, ho notato che ti piace tantissimo il cinema. Quali film che hai guardato ultimamente ci consiglieresti di recuperare?
Un film preferito tra quelli che ho guardato ultimamente è “Purple Noon”, che mi è stato raccomandato dalla mia amica Samara Lubelski. Meraviglioso Alain Delon, meravigliosi scenari. L’ho adorato, è davvero emozionante!
In effetti, credo che la tua musica sia fortemente cinematica. Hai mai considerato di comporre più frequentemente per il cinema o per le serie?
Grazie! Sì, ultimamente ho composto per il cinema. I primi due film per cui ho lavorato sono stati presentati in diversi festival lo scorso mese. Per me scoprire tutto il lavoro e il processo dietro un film è stata un’esperienza davvero rivelatrice. Mi piacerebbe davvero comporre di più per il cinema… se tra i lettori c’è qualche regista italiano in cerca di un compositore, che mi contatti volentieri!
Che cosa c’è in heavy rotation sui tuoi account delle piattaforme streaming? Dai, raccomandaci qualcosa da scoprire!
Ultimamente ho ascoltato tantissimo “7” dei Beach House. Ma anche la musica di Jeremiah Chiu, un fantastico interprete dei synth, con il quale sono stata in tour qualche settimana. Vi raccomando il suo ultimo lavoro solista, ma anche il disco che ha fatto insieme a Marta Sofia Honer.
Con questo è tutto, Mary, grazie infinite per il tuo tempo. Alla prossima!
Grazie a te! Ci vediamo (in italiano, ndr)!