Mercury Rev

Un sogno psichedelico

intervista di Magda Di Genova

Jeff Marcel, tastierista e batterista dei Mercury Rev, preferirebbe non essere intervistato nella sala del negozio che è stata riservata al gruppo. Non sono capricci da star, semplicemente non gli piace che diverse interviste vengano tenute nella stessa sala, ma in angoli diversi, come se si dovessero condividere fra due sole persone segreti o confessioni.
Così prende due sedie, esce dalla sala, si guarda intorno e mi chiede: "Dove vuoi che ci mettiamo?" "Quell'angolo mi sembra abbastanza tranquillo. La sezione 'Jazz' va bene?" "Jazz. Mi piace, mettiamoci qui."

Da quel che ho capito avete impiegato più di due anni a realizzare "The Secret Migration". Avete sempre lavorato in questo modo lento e meticoloso o si tratta di un disco che è stato particolarmente difficile scrivere e incidere?
Ci si impiega molto tempo. Alcuni gruppi entrano in studio per sei settimane e registrano tutto in un giorno per 12 ore di fila e quando escono dallo studio il disco è inciso ed è così e basta.
Noi non lavoriamo così. Cerchiamo di lavorare intensamente per tre o quattro giorni e poi ce ne "allontaniamo", diamo un'occhiata a quello che abbiamo fatto e lo riascoltiamo oppure, a volte, lo lasciamo lì per un mese e ci concentriamo su altre cose mentre decidiamo. Continuiamo a parlarne tra di noi cercando di capire se siamo ancora entusiasti di quelle idee, di quelle canzoni o se il nostro entusiasmo è svanito. E' come, generalmente, riesci a capire se una canzone sarà abbastanza interessante per essere inserita nel disco. Perché, ti ripeto, è un processo lungo.
Poi, mentre stavamo lavorando a questo disco, abbiamo anche lavorato ad altri progetti: abbiamo prodotto e suonato su un disco di un nostro amico, Nicolai Dunger, un cantautore svedese, quindi abbiamo lavorato con lui sia nei nostri studi che a Stoccolma.
Abbiamo anche composto la colonna sonora di un film intitolato "Bye Bye Blackbird". Non so se ne è già prevista un'uscita. Ho capito che quello del cinema è un mondo molto difficile, molto più di quello dell'industria discografica e non l'avevo intuito quando abbiamo accettato di lavorare al progetto: è molto difficile fare un film e far sì che quel film venga visto. Ad ogni modo, abbiamo lavorato alla colonna sonora di questo film che parla del viaggio per l'Europa di un circo agli inizi del 1900, quindi abbiamo fatto molta musica "circense". Abbiamo veramente lavorato molto durante le registrazioni di questo disco.

Avete partecipato anche a un progetto incentrato su alcune poesie scritte da James Joyce. Come ci siete arrivati? (L'album si intitola: "Chamber Music")
Qualcuno ci ha contattati, non ricordo come ci siamo arrivati, ma c'era questo ciclo di poesie che Joyce aveva scritto con l'intenzione di farle accompagnare da musica, cosa che, ovviamente, non è mai successa.
Così qualcuno ha avuto questa idea alla Fire Records di dar vita a questo progetto contattando musicisti e gruppi contemporanei per portare in musica queste poesie.
Abbiamo cercato di non trasformare la poesia in una canzone, ci siamo orientati verso lo "spoken word". E' stato Grasshopper a fare la lettura perché ha una voce molto profonda.

Non è stata, per voi, una sorpresa essere contattati per un progetto del genere?
Be', in realtà veniamo contattati spesso per vari progetti, molti dei quali non abbiamo l'occasione di seguire a causa degli altri impegni che già abbiamo… Riceviamo tantissime strane richieste, come suonare alle feste di compleanno o a matrimoni. (Sgrano gli occhi incredula). Te lo giuro! La gente ci chiede questo genere di cose!

Mercury Rev - Jeff MarcelOk, torniamo a "The Secret Migration". Trovo che la pubblicazione sia stata "tormentata": come prima cosa avete messo l'album in vendita su I-tunes mesi prima che andasse nei negozi, poi avete fatto da supporto nei concerti di Nick Cave & The Bad Seeds tra novembre e dicembre, mentre il cd sarebbe stato nei negozi europei solo a gennaio e negli Stati Uniti a giugno. Infine, ha una copertina ipnotica e una confezione molto elaborata.
Cosa vi ha portato a promuovere questo disco in una maniera tanto "caotica"?

In realtà per noi è il modo migliore. Il tempo tra l'uscita in Europa e in America ci permette di venire qui e fare questo tipo di promozione e non succederebbe se l'avessimo pubblicato contemporaneamente in entrambi i lati dell'oceano: la gente ci direbbe: "Abbiamo bisogno che siate qui per questo tipo di concerto", mentre dall'altra parte del mondo ci direbbero: "Abbiamo bisogno che siate qui per suonare in questa radio". Vieni "sballottato" in così tante maniere che non puoi assolutamente fare tutto. Ti devi assolutamente riservare del tempo. E questa è una parte delle ragioni.
Per quanto riguarda I-tunes, la pubblicazione su internet… Si tratta semplicemente di come le cose si sono evolute, ora è chiaro. Si tratta semplicemente di riconoscerlo. E' un nuovo modo che ha la gente di avere la nostra musica e a me sta bene. Non mi crea assolutamente problemi. Alcuni musicisti sono veramente contrari, ma a me non dà fastidio. Per un gruppo come il nostro, crea un'opportunità di far sentire la nostra musica a persone che, magari, non l'hanno sentita in passato. Non c'è nessuno svantaggio a scaricare 30 secondi di una canzone da internet, è un ottimo modo di acquistare qualcosa che non conosci bene. Per molta gente è ancora uno strano concetto quello di pagare per un file. I miei genitori non sarebbero molto d'accordo: "Ok, aspetta, non mi è chiaro: tu paghi dei soldi e non ottieni nulla?" "No, no, no. Prendi la canzone." "Ma dove tengo la canzone se non ce l'ho qui?" "Entra nel tuo computer". (Sorride) Per loro è ancora un concetto un po' strano.

Cosa mi dici, invece, della copertina e della confezione?
L'immagine sulla copertina è un dipinto di Amanda Wachob che ci è vissuta accanto per un po'.
Abbiamo notato questo quadro in una galleria dove stava tenendo una mostra. E' un dipinto piuttosto piccolo, potresti pensare che si tratta di un quadro enorme, ma è veramente piccolo. Lo abbiamo notato dal fondo della sala e non riuscivamo a distogliere lo sguardo, ci chiedeva la nostra attenzione. Non ha molta importanza che ti piaccia o meno, perché ti "comanda" di prestargli attenzione.
A quel punto della lavorazione del disco eravamo già arrivati all'idea della "migrazione" e si è "intrufolato" immediatamente il concetto di questa falena, dei suoi stadi della sua metamorfosi, di quello che era stata e che stava diventando. Aveva un senso per noi, per il tipo di disco che stavamo registrando.
La gente può guardare quell'immagine e dire che è inquietante e, infatti, si tratta di una falena che esiste veramente in natura e dal momento che è una falena strana, è legata a molte superstizioni: qualcuno pensa porti sventura, altri pensano che qualcosa di buono stia per succedere, la vedono come un simbolo di vita.
Può essere molte cose per molte persone. E' un po' come avviene per le nostre canzoni: possono essere interpretate in maniera differente da persona a persona.

Consideri "The Secret Migration" una naturale evoluzione di "All Is Dream"?
Be' sì. Dovevamo fare "All Is Dream" per fare questo disco. Devi vivere certe esperienze e continuarle. Se non avessimo mai fatto "All Is Dream", questo disco sarebbe probabilmente stato molto diverso. Se non avessimo mai inciso "Desert's Songs", "All Is Dream", chi lo sa, avrebbe potuto avere un altro tipo di seguito.
Ci sono stati cambiamenti costanti e determinati concetti che volevamo provare con questo disco. Probabilmente il nostro scopo principale era di abbandonare degli arrangiamenti orchestrali e sinfonici su larga scala in favore di "strutture" più "ambient", più tastiere, più sintetizzatori e Fender Rhodes.
Si è trattata di una decisione molto conscia e stavamo anche lavorando su canzoni che erano un po' più corte e un po' più veloci, non necessariamente le canzoni pop perfette, ma ci sono molte canzoni in "All Is Dream" che hanno un arrangiamento molto "ampio" ed "epico" e arrivi ad un punto in cui se cerchi proprio questo, ti ritrovi a incidere una canzone lunga 15 minuti che contiene 74 violini, 13 tromboni e un coro di 200 persone. A un certo punto diventa ridicolo! Devi importi di disegnare una linea, in un certo senso, ed è ora, per noi, di muoverci verso qualcosa di differente.
Torneremo a fare un altro disco come "Desert's Songs"? Può darsi.
Torneremo a fare un altro disco come " Yerself Is Steam ", con più chitarre? Può darsi.
Tutto questo ci concede tempo per fare altre cose, per prendere in considerazione altre idee.

I Mercury Rev sono sempre stato un gruppo che, musicalmente, presenta sonorità interessanti. Perché allora i vostri dischi durano sempre meno di 50 minuti? E' una scelta?
Sì, è una scelta, decisamente è una scelta.
Sai, siamo cresciuti ascoltando vinili e c'era un limite di tempo, circa 40-45 minuti e questo è quello che puoi mantenere di un vinile senza sacrificare la qualità del suono. E questa è una ragione.
Un'altra ragione è che la tua attenzione, come essere umano, è limitata. La velocità in cui gira il mondo sta aumentando in maniera esponenziale: abbiamo stazioni televisive che ti trasmettono notiziari 24 ore su 24, con dei titoli che scorrono in fondo allo schermo per dirti tutto quello che c'è di brutto e cattivo al mondo e ti continuano a bombardare con tutto ciò che accade.
Se incidi un disco che dura 72 minuti, che contiene 23 canzoni, non importa quanto sia valido: la gente comincerà a dare una scorsa veloce alle canzoni, a passare da una canzone all'altra.
Per noi si tratta solo di capire per quanto possiamo tenere la tua attenzione. Pensiamo sia un tempo di 40-45 minuti e pensiamo che non sia troppo da chiedere a un ascoltatore: "Ora puoi accomodarti e ascoltare il nostro disco una volta seduto senza doverti alzare per sgranchirti le gambe nel bel mezzo, andare in bagno o fare altro". Si tratta veramente solo di una questione di attenzione .

Come riuscite a mantenere un disco sotto i 45 minuti? E' difficile scegliere tra le canzoni da includere?
Recentemente abbiamo registrato molte più canzoni di quelle che senti sul disco.
Ci "censuriamo" costantemente, eliminando determinate canzoni. Certe canzoni che erano state scartate ritornano, mentre altre canzoni che eri sicuro finissero nell'album scompaiono un paio di settimane prima di essere incise. Questo perché "ritocchiamo" di continuo le nostre canzoni, fino all'ultimo minuto, facendo piccoli o enormi cambiamenti.
C'è molto materiale che non è stato incluso in questo disco e forse verrà pubblicato in un disco futuro, oppure no. Forse verranno "smembrate": a volte "fai a pezzi" una canzone, come fosse una macchina, per dei "pezzi di ricambio" e dici: "Mi piace molto quel ritornello, ma la strofa non mi ha mai convinto" allora prendi il ritornello e magari lo metti insieme a qualcos'altro. Ed ecco che vive di nuovo. Sono cose che non si possono creare o distruggere.

Siete sempre stati un gruppo unico nella scena musicale internazionale: non solo per il genere che proponete, più che altro per tutti quegli strumenti un po' inusuali (facile trovare un'arpa, per esempio) che certi gruppi nemmeno penserebbero di usare per ottenere quel determinato suono: è qualcosa che studiate a tavolino quando capite come una canzone dovrebbe suonare o è qualcosa che capite al momento?
Quando cominciamo a discutere di un nuovo album da incidere, parliamo pensando a una sorta di "tavolozza", sai, come dei pittori. Ci diciamo: "Useremo questi colori; faremo un disegno usando solo i pastelli…" All'inizio parliamo in questi termini, ma quando vai avanti sono le canzoni che ti dicono di cosa hanno bisogno e solitamente succede che, canzone per canzone, capiamo che in questa c'è più bisogno di un violino, è quello di cui ha bisogno per una piega più emotiva. In un'altra canzone può esserci più bisogno di una chitarra elettrica, oppure, quello di cui abbiamo davvero bisogno per un'altra canzone ancora, sono entrambe le cose.
Non si tratta di essere "bizzarri" o eclettici o strani, si tratta letteralmente di ascoltare quello che le canzoni ti dicono di aver bisogno. Non sai dove trovare le giuste ambientazioni, il suono giusto o gli strumenti giusti: lo capirai da solo, senti quella che è la scelta giusta.

L'intervista finisce qui, un po' bruscamente, mentre stavamo cominciando a parlare di come una rivista straniera li ha definiti: "musique decò". Ma è tempo di scattare foto.

(Milano - Feltrinelli - 4 febbraio 2005)