This Is The Kit - Giocando con le parole

intervista di Daniel Moor

Su Zoom incontro Kate Stables, in arte This Is The Kit, per parlare del suo nuovo ottimo lavoro “Careful Of Your Keepers”. Mancavano due settimane alla pubblicazione del disco e Kate sembrava non veder l’ora di condividere con il mondo la sua nuova raccolta di canzoni. Ben presto l’intervista ha assunto la forma di un divertente scambio di idee e impressioni e per Kate è divenuto un luogo di auto- e metariflessione. Le nuove canzoni ci hanno permesso di allargare sempre più il focus della discussione e nell’intervista che segue troverete non solo dettagli riguardanti i suoi progetti più recenti, ma potrete anche entrare nel suo laboratorio creativo.

 

Ciao Kate, come stai? Congratulazioni per il tuo nuovo disco! Mi è piaciuto davvero molto e continuo a riascoltarlo.
È bello poter pubblicare un album in maniera differente dal precedente, che, per forza di cose, ha vissuto una specie di confinamento. Sono anche molto entusiasta all’idea di poter suonare nuovamente nei negozi di dischi e di poter stare con le persone. Uno dei lati positivi del mio lavoro è proprio l’interazione umana. Inoltre, mi piace molto suonare le canzoni dal vivo fino a padroneggiarle in ogni loro aspetto.

 

Suonerai nuovamente anche in librerie o biblioteche?
Spero di sì! Mi piacciono molto sia le librerie che le biblioteche e ho suonato già in entrambi i luoghi. È interessante utilizzare luoghi pubblici come le biblioteche in modi nuovi.

 

“Careful Of Your Keepers” mi sembra sia connesso in diversi modi al tuo disco precedente, “Off Off On”: sono come parenti in termini di suono. Tuttavia, hai lavorato con due diversi produttori. Quali sono state le differenze principali durante le sessioni di registrazione dei due album?
Sì, penso che tu abbia ragione, sono come cugini. Le differenze principali le ho riscontrate nell’energia nella stanza e nella comunicazione. Sia Josh (Kaufman) che Gruff (Rhys) però sono molto attenti e diplomatici nella comunicazione e hanno molto tatto. Entrambi erano molto rispettosi e positivi. Credo che questo sia importante per chi produce musica. Sai, è difficile compararli, perché c’è molto di più nelle loro personalità rispetto a quello che ho esperito io in solo due sessioni di registrazione. Gruff durante il processo di registrazione ha lasciato molto spazio a tutti noi e alle nostre idee e poi nel missaggio è intervenuto maggiormente nelle decisioni creative. Josh, invece, era molto coinvolto nel processo creativo durante la registrazione e forse un po’ meno nella fase di missaggio. Però sto davvero semplificando al massimo.

 

In alcune interviste per “Off Off On” parlavi di come alcuni versi scritti prima della pandemia suonassero poi profetici visto che il disco è stato pubblicato nell’autunno 2020. L’esperienza della pandemia ti ha ispirato direttamente questa volta?
Non consapevolmente. Non è stato un periodo che mi ha stimolato molto nel comporre musica. Anzi, mi ha piuttosto fatto pensare che sarei dovuta andare a lavorare in qualche organizzazione di beneficenza ed essere utile in maniera concreta e immediata alla collettività. Però alla fine non l’ho fatto e ho continuato a fare musica. Ad ogni modo, come dicevo, non è stato un periodo che mi ha ispirato direttamente, ma fa parte della mia vita vissuta e, in un modo o nell’altro, potrebbe presentarsi nelle mie canzoni anche inconsapevolmente.

Ascoltando il tuo nuovo disco, ho percepito una sensazione di misteriosità, una sorta di presenza ineffabile. Il mondo arcano e magico nutre il tuo cantautorato?
Sì, penso di sì. Però è un misto tra mistero e un desiderio di lasciare i brani aperti all’interpretazione di chi li ascolta. Non voglio infatti imporre come interpretare la mia musica. Io provo ad essere onesta e a scrivere come vorrei scrivere. Non sono una storyteller lineare. Mi piace di più creare una sorta di collage. Le parole, inoltre, sono come le proprie vite, compiono decisioni e, a volte, scelgono da sole in che direzione andare.

 

Quello che dici è molto interessante perché il tuo cantautorato è decisamente astratto, ma ascoltando le tue canzoni si “vedono” molte immagini.
Anche io le vivo così. Vedo infatti immagini quando scrivo e canto le parole dei miei testi, come durante una proiezione di diapositive.

 

Ho sempre immaginato i tuoi dischi come un flusso di parole, idee, immagini, emozioni. È interessante che la title track segua i quesiti esistenziali con cui si conclude “Scabby Head And Legs”, come se essa stessa fosse la possibile risposta a tali quesiti.
Penso che la title track corrisponda meno a una “domanda” se confrontata con le altre canzoni. Ci sono molte domande negli altri pezzi e “Careful Of Your Keepers” è una sorta di canzone d’osservazione o di dichiarazione di intenti riguardo a come prendersi cura di se stessi e delle altre persone.

 

Come selezioni l’ordine delle tracce sul disco?
Uh, bella domanda. Ci sono molti fattori in gioco. Solitamente lavoro dai margini procedendo poi verso l’interno. Penso a come debba incominciare e a come debba finire. Il passo successivo è decidere come concludere il lato A e aprire il lato B; poi riempio gli spazi rimanenti. Comunque, è un processo che richiede molti tentativi e può essere un’esperienza abbastanza folle. Per “Off Off On” avevo trovato l’ordine perfetto, ma poi mi sono accorta che non c’era abbastanza spazio sul lato A del vinile e ho dovuto cambiare un po’ tutto. Per questo disco, invece, ho trovato la sequenza giusta subito, ben prima che lo mixassimo. Ho tentato alternative, ma credo che questo sia davvero l’ordine giusto. Ma poi le persone ascoltano ancora l’album dall’inizio alla fine o solo le canzoni singole su Spotify? Ad ogni modo, credo sia bello sforzarsi di creare una sorta di viaggio.

 

Ma cosa rende una canzone una buona opening track o una conclusione appropriata?
Questa è davvero una bella domanda! Dovrei prendere nota delle mie risposte. Penso che la prima canzone dovrebbe permettere un’apertura di visioni, ma allo stesso tempo focalizzarsi sul percorso che si sta per intraprendere. Forse sarà banale descrivere l’ascolto di un album come un viaggio, ma è in effetti un po’ così, no? Si viaggia attraverso le canzoni. Comunque, tendo a evitare di selezionare una canzone forte e movimentata per l’inizio del disco. Ma dovrei controllare, forse mi sbaglio…

 

Mi pare che “Off Off On” partisse con un pezzo particolarmente movimentato…
Ah sì, inizia con “Found Out”. Ecco, mi sbagliavo! (ride). Spesso, però, metto la canzone eccitante al secondo posto. Uhm, capita con “Careful Of Your Keepers”? È “Inside Outside” la seconda, giusto?

 

Sì!
Beh, ecco, questa ha più energia! (ride) Okay, forse ho un approccio differente ogni volta. Comunque, la prima canzone di questo disco l’ho scelta anche perché ho quasi chiamato l’album “Goodbye Bite”. Era un’altra potenziale title track. Per me “Goodbye Bite” è una canzone situata dopo un evento o una serie di eventi e mi sembrava appropriato averla come prologo. È la canzone del “dopo”, mentre “Dibs” è l’inizio. Oh, è divertente, sto realizzando ora quello che ho fatto. Ho messo la fine della storia all’inizio dell’album e l’inizio della storia alla fine. Ma, in qualche modo, ha senso tutto quanto…

 

Sì sì, non ci avevo pensato, ma ascoltando il disco si nota una sorta di frattura tra la prima canzone e la seconda, “Inside Outside”.
Sì, è interessante, però ho l’impressione di non aver ancora risposto alla tua domanda su come scelgo la prima canzone…

 


No, era una bella risposta, ma per la canzone conclusiva come fai?
Le canzoni iniziali e conclusive le scelgo anche immaginando che il disco fosse un concerto e che devo trasportare con me le persone in ascolto. “Dibs” alla fine si è ritrovata con un arrangiamento corposo perché Jesse (Vernon, ndr) ha aggiunto un sacco di cose dopo la registrazione ed è diventata grandiosa, imponente. E in più in “Dibs” c’è questo senso di solidarietà cosmica e di speranza: era un buon modo per concludere il disco.

 

Sì, è vero, c’è una sorta di climax fino a questi ultimi minuti.
Poi c’è anche questa parte di batteria. Stavo pensando a una canzone di Jim O’Rourke sul morire, in cui alla fine la batteria impazza in un’esperienza rumorosa. Avevo l’impressione che “Dibs” avesse bisogno di qualcosa di simile. Lavorare a questa canzone è stato come risolvere un puzzle, uno divertente però!

Trovo che la canzone “More Change” sia molto commovente, sia per la dolcezza dell’arrangiamento che per le immagini evocate dai tuoi versi. Qualcosa in particolare ti ha ispirato mentre componevi il brano?
Questa canzone tratta in parte del modo in cui le relazioni cambiano o non cambiano. Nel senso: è la relazione a cambiare o è la nostra percezione di essa a modificarsi? È un po’ come per “Inside Outside”: siamo noi a cambiare o è il mondo di fuori a farlo? Recentemente qualcuno mi ha parlato di una teoria del paradosso del cambiamento secondo la quale invece di cercare di cambiare le cose, basterebbe stare fermi per fare in modo che il cambiamento si verifichi. Quando questa persona mi parlava, continuavo a pensare che in fondo l’album parla di fenomeni simili. Inoltre, mi imbatto di frequente in citazioni o idee riguardo al cambiamento come assenza di cambiamento e all’assenza di cambiamento come cambiamento. Ad ogni modo, la canzone “More Change” si concentra principalmente sulle modalità con cui il cambiamento di una relazione ci influenza e sul fatto che tale cambiamento possa essere sia pauroso che rassicurante.

Hai un po’ anticipato la mia prossima domanda. Volevo infatti chiederti se leggeresti il verso “more change, more stays the same” più in maniera politica o personale ed esistenziale.
Decisamente in entrambi i modi. Molto spesso le mie canzoni incorporano le due dimensioni. Inizio a scrivere un pezzo che nella mia testa parla di una situazione globale e poi mi accorgo che alla fine sto scrivendo di una mia esperienza personale. Ma accade anche al rovescio: inizio a scrivere di una mia esperienza e poi noto come la canzone tratti di un tema politico. Comunque, penso che entrambi gli aspetti coesistano sempre, poiché le nostre singole vite sono frammenti di un disegno più grande che è quello dell’esistenza umana.

 

Mi sembra che ti piaccia ripetere parole o frasi intere nei tuoi testi per poi inserirci delle variazioni minime e impercettibili.
Sì, sembra proprio così! (ride) Penso che si riallacci al discorso riguardo al cambiamento scaturito dall’assenza di cambiamento. Come quando si è bimbi e si ripetono parole o frasi in continuazione finché all’improvviso perdono di significato e iniziano a suonare in maniera differente. Mi piace che chi ascolta si abitui a un’idea, a una frase, e poi percepisca il cambiamento in una parola, in una sfumatura. Mi diverto a giocare e a scompigliare le parole, ma spero non sia troppo fastidioso da ascoltare.

 

Ti piace però sperimentare anche con il suono delle parole.
Sì, per me le parole sono come argilla. Come esse suonano e come le si sente nelle orecchie, nella bocca o, se le si canta, nel proprio corpo, influenza le scelte che faccio nei miei testi. Però, ovviamente, è importante anche il significato.

 

Come in poesia, del resto. Ma l’aspetto musicale del testo è collegato all’arrangiamento della canzone?
Spero di sì! Per me è tutto connesso, ma è difficile sapere come le persone sentano esattamente questo legame.

 

Negli ultimi anni hai collaborato con molti musicisti e molte musiciste. Come è stato lavorare con così tante persone diverse?
È una cosa che adoro. È sempre stimolante, perché si imparano cose su se stessi e sugli altri, si scopre il tipo di musica che le altre persone scrivono e come lo fanno. È davvero prezioso lavorare con altre persone, non solo per l’interazione umana, ma anche perché si imparano metodi differenti di fare le cose.

 

Ho avuto modo di vederti suonare a Zurigo per il tour a supporto di “Off Off On”. Il concerto era al Bogen F, la sala concerti con le rotaie sopra il tetto.
Ah, quella che fa i rumori strani e divertenti quando un treno ci passa accanto. Me la ricordo, è un bel posto!

 

Mi ricordo che avevi un’energia magnetica sul palco. Come approcci la dimensione live?
Beh, forse, aiuta avere una strada ferrata sopra di te! Tutto qui, è stato un colpo di fortuna! Comunque, non so bene cosa succede durante i concerti; a me sembra di avere un’interazione con il pubblico. Non sono una persona in grado di avere una personalità differente sul palco. Sai, alcune persone sono molto brave in questa specie di forma di recitazione. Io non riesco. Per questo voglio solo essere me stessa. A volte funziona meglio di altre: dipende dal giorno, dalle persone nella stanza e, suppongo, anche dal mio mood.

 

(11/06/2023)

Discografia

Krülle Bol(Microbe, 2008)
Wriggle Out The Restless(Dreamboat, 2010; Brassland, 2013)
Bashed Out(Brassland, 2015)
Moonshine Freeze (Rough Trade, 2017)
Off Off On (Rough Trade, 2020)
Off Off Oddities(Ep, Rough Trade, 2021)
Careful Of Your Keepers(Rough Trade, 2023)
Pietra miliare
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