Una dea sintetica, un'angelica raffigurazione dell'effimero-80 in peplum, calzari e guanti da cucina. O forse solo la fulminante allucinazione di chi aveva fatto troppi cerchi con la mente. Diana Est resta uno dei più grandi misteri dell'italpop. Se fosse stata solo un fenomeno passeggero, cavalcato dalle mode del tempo - come proprio all'epoca si sosteneva - non sarebbe divenuta maschera intergenerazionale, meritevole di dotte analisi e addirittura ispiratrice di racconti e libri (due su tutti: "Magnifica ossessione" di Matteo B. Bianchi e "Diana Est was here - Forse è già mattino e non lo so" di Enrico Panzi). Perché al di là del valore - per chi scrive, tutt'altro che trascurabile - delle due hit lasciate in dote, il personaggio è riuscito a guadagnarsi un'aura di immortalità che è per l'appunto l'esatta negazione dei suoi presupposti. Un'icona di plastica e fugacità, eppure, a suo modo, definitiva. Chissà che ne pensa la Cristina Barbieri di oggi, mamma di due figli e antiquaria, ormai a distanza di sicurezza da quella "civiltà delle banalità" che ha sempre identificato nel music business. In attesa - forse infinita - di saperlo, tentiamo una ricostruzione.
Cambia il tempo attorno a te. E la musica vecchia dov'è? Strumentisti, sessionmen hanno già sviluppato il refrain.
(Enrico Ruggeri, "Nuovo Swing")
Un impero di plasticaQuando nel 1982 firma un contratto quinquennale con la Dischi Ricordi, Cristina Barbieri è solo "la nipote di Mario Lavezzi", una ragazza milanese di buona famiglia, nascosta da un ciuffo ingombrante, con alle spalle un'apparizione in tv come corista per
Ivan Cattaneo nel programma-cult Rai "
Mister Fantasy" di
Carlo Massarini. La stoffa c'è, ma la signorina è acerba, da plasmare. Magari in studio, come avrebbero fatto un paio d'anni dopo con la carneade Monica Stucchi, tramutata in sua maestà Valerie Dore, regina medievale dell'
italo-disco con voce altrui (Dora Carofiglio dei Novecento) nei primi singoli. Ma forse non c'è bisogno di arrivare a tanto: si può cercare di tendere quelle corde vocali da teenager verso ambiziosi traguardi elettropop. Anche perché in cabina di regia c'è un certo
Enrico Ruggeri, che con le sue montature plasticate e il suo
charme neoromantico ha fatto sfracelli, prima con i Decibel e poi al debutto solista con l'incompreso "Champagne Molotov". Ma se il cantautore milanese provvederà soprattutto alla confezione musicale, a quella estetica darà man forte il produttore artistico, Nicola Ticozzi, deciso a forgiare una nuova figura femminile sull'onda delle novelle
yè-yè alla Lio, Nathalie o Nena, ma in chiave più postmoderna. Si compie così la metamorfosi di Cristina in Diana, dea della Caccia che alla sacralità mitologica abbina un gusto futurista provocatorio e glamour, in uno scombinato miscuglio di classicità e fantascienza kitsch. "Una lolita dallo spazio profondo, un'ancella dell'impero romano virata Mitteleuropa fine Novecento, accesa/spenta da un'androginia sottile che sconfina nell'impalpabilità angelica", la definisce Christian Zingales nel libro "Italiani bravi gente" (tratto dall'omonima rubrica di Blow-Up).
Ecco allora spuntare tuniche fucsia, guanti gialli e orecchini in pvc, oltre a quella surreale frangia da party in maschera al Blitz, che Diana scuote con secchi movimenti del capo. Le prime esibizioni la vedono un po' rigidina, ma già altera e sfrontata, nella sua esile silhouette di silfide neoclassica. Affronta temerariamente il pubblico e i pericoli di una comicità involontaria sempre dietro l'angolo. Ad aiutarla è il portamento signorile, un po' meno la legnosità nei movimenti, che però riesce a camuffare in una sorta di
tanz robotica alla
Camerini, perfino sensuale nella sua ingenuità: agita le braccia come pale meccaniche, ma ostenta una grazia innaturale, oltre a uno stacco di coscia che può competere con la divina
Rettore. E ha uno sguardo distaccato, alieno. Buca lo schermo e pure qualche cuore.
Val la pena vivere solo dalle undici
("Tenax")
Forse è già mattino e non lo so
Ma non è solo immagine. Perché all'apparire - fin dal nome - Diana unisce l'essere, e al singolare presente:
est, come da verbo latino. Il mezzo è la musica, condensata in due 45 giri da urlo e un altro destinato a restare solo uno sfizio da collezionisti.
Il debutto è una bomba che deflagra nelle notti (estetiche) dell'italodisco. Con un
beat martellante, tripudi di fiati, bassi slappati e linee di synth cupissime, a incorniciare un ritornello-killer che mescola italiano e latino parafrasando Seneca (o Terenzio, non si è mai capito): "Forse è già mattino e non lo so/ un mondo latino inventerò/ Tenax... / Sed modo senectus morbus est/ Carmen vitae immoderatae hic est". Praticamente un inno alla notte e al
nightclubbing, per dirla con
Iggy Pop ("val la pena vivere solo dalle undici"), chissà se ispirato dalla febbre
wave del fiorentino Tenax, nato un anno prima, o semplicemente dal nome dell'omonima marca di brillantina. Lascia un senso di vacua eccitazione e insieme angoscia, come un tuffo nel vuoto ("Posso solo ridere nell'oscurità"). Firmato da
Ruggeri insieme al produttore dance Stefano Previsti, "Tenax" (1982) diventa in breve un tormentone da Fm e da
dancefloor vendendo oltre centomila copie, pur senza sfondare in classifica (n. 23). Ma, più di ogni altra cosa, lascia il segno. Anche materialmente, sul muro di uno dei templi della movida rivierasca, il Cocoricò di Riccione, dove sarà inscritto a futura memoria il suo verso-slogan "Forse è già mattino e non lo so". Un anno dopo gli Electra ne incideranno una cover in inglese dal titolo di "Are You Automatic?".
Meritevole d'attenzione è anche il lato B, "Notte senza pietà", che abbassa i bpm per una più pacata riflessione sulla vita notturna nel più classico lessico
ruggeriano, avvolta in lussuoso involucro synth-pop: "Notte senza pietà, poca lucidità, quante cose farò/ una notte plastic, con un'anima chic, non mi nasconderò... Notte senza pietà che mi provocherà con un'altra boutade. Se l'amore non c'è io mi porto con me il marchese De Sade. Bene che si sposa al male".
L'amazzone Diana cavalca con incosciente disinvoltura i palchi di tutti gli show musicali dell'epoca: Festivalbar, Discoring, Popcorn, Azzurro. Il suo canto acutissimo viaggia sempre pericolosamente a un passo dalla stonatura, eppure a suo modo seduce, mentre la spigolosità dei gesti si è tramutata definitivamente in eleganza, seppur sempre eccentrica e straniante. I discografici gongolano, immaginando pile di bestseller. Che non arriveranno mai.
Il compito dei postmoderni è quello di recuperare il passato
(Diana Est)
Vincerà chi si distinguerà
Nelle stelle di Diana Est, infatti, è scritto un destino da meteora: solo un'altra hit. Sarà ancora più luminosa e memorabile, ma sarà anche l'ultima di una carriera condannata a chiudersi dopo soli 20 minuti complessivi di musica. Perché vincerà chi si distinguerà. E chi saprà distinguersi più di una popstar decisa a sprofondare nell'oblio all'acme del successo? Un successo non solo italiano, quello di "Le Louvre", il brano che scaraventa il caschetto melodrammatico di Diana Est sulle piste di mezza Europa. La trovata, stavolta, è un
riff sintetico da schianto - insieme trionfale e romantico, pomposo e inesorabile - che si staglia fin dall'inizio introducendo la nuova
novelty da discoteca postmoderna. Diana ora è la vestale di una rivoluzione culturale futurista, che profetizza la fine di ogni convenzione artistica: "Fuori dai musei/ nuovi amici miei/ si distruggerà/ la civiltà delle banalità/ su seguitemi/ esibitemi/ alta moda là/ vincerà chi si distinguerà". In un ardito slancio d'immaginazione, dipinti e opere d'arte prendono vita ed escono dalle loro teche per portare la cultura nella desolata società dei consumi: "Per molti secoli/ quei nobili/ sono rimasti nascosti sempre immobili/ con una voglia intensa/ di entrare nei bistrot... Computer dimmi se, di nuovo liberi/ con la Gioconda corrono nei vicoli". Un nuovo inno, ancora più trascinante e struggente, con uno spunto melodico miracoloso e synth avvolgenti, che sembrano presi in prestito dagli
Ultravox di "
Visions In Blue" e dai Visage di "
Fade To Grey". Naturalmente c'è sempre il marchio di Ruggeri, reduce dalla prodezza di "Polvere" e ormai allo zenit del suo
spleen decadente, in compagnia del fido Previsti.
Diana sta al gioco e filosofeggia nelle interviste: "
Le Louvre esprime un modo di vivere e di pensare. In breve, il compito dei postmoderni è quello di recuperare il passato". C'è chi la prenderà sul serio, come Tommaso Labranca che chioserà: "Con il suo manifesto libertario, la Est annunciava la rottura delle barriere tra arte e vita quotidiana, attendeva il crollo delle pareti dei musei dove si deve tacere e la mescolanza ultima tra statue ed esseri umani. In fondo l'auspicio contenuto in quel testo era uno solo: l'abbassamento dell'opera da artistico a quotidiano, la cancellazione del valore che nasceva quasi esclusivamente dall'esposizione museale".
Ancora una volta, più del piazzamento in classifica (solo n. 43) conteranno le copie vendute (centomila) e il solco lasciato nell'immaginario collettivo, anche grazie a una sfilza di esibizioni televisive, incluso il Festivalbar (chiuso al secondo posto nella sezione Discoverde, quella dei giovani, dietro a Scialpi).
E anche stavolta non va trascurato il lato B, dove accanto a un breve strumentale di "Le Louvre" compare l'ineffabile "Marmo di città", uno di quei deliri elettrici da alienazione metropolitana che all'epoca andavano per la maggiore (da "
Folle città" di Loredana Bertè alla sempiterna "
Fantasia" dei
Matia Bazar). Dietro una muraglia di pulsazioni sintetiche, Diana snocciola la sua nuova, sconcertante litania: "Marmo di città/ non ti sveglierò/ e la verità/ non ti chiederò... Quante storie ha vissuto/ noi non lo sapremo mai/ ed il mondo è cambiato/ coi suoi lunghi giorni bui/ Spettatore distratto/ muto sommergibile/ domicilio coatto/ amore un po' impossibile".
Diana Est è stata solo un'ambasciatrice cosmica, gelida segnalatrice di una eccitante caduta libera.
(Christian Zingales)
Un diamante non è per sempre

Sembra il perfetto preludio al preannunciato Lp, e invece qualcosa va storto. Anzitutto, nei rapporti tra Diana Est e
Ruggeri. Il magico sodalizio, infatti, si interrompe bruscamente, anche per via dei numerosi impegni solisti dell'ex-Decibel. Così per il nuovo singolo la cantante milanese viene affidata alle cure musicali di Oscar Avogadro (Radius, Bertè,
Faust'O, Oxa,
Alice ecc.) e ai testi di Giampiero Ameli e Matteo Fasolino. Ne scaturisce una svolta drastica - sia vocale, sia musicale - che prende il nome di "Diamanti" e occhieggia apertamente ai coevi Matia Bazar, scivolando in un elettrotango (o meglio Libertango, viste le affinità con la hit di
Grace Jones), dal sapore sensuale ma un po' loffio. Questa volta non si salva neanche il lato B: "Pekino" è infatti un ammasso gommoso di tastierine midi e orientalismi
cheap al cui cospetto l'Aneka di "
Japanese Boy" è
Kate Bush.
Sarà un flop, riscattato solo in parte dal valore collezionistico che il 45 giri acquisirà negli anni successivi anche grazie alla particolarità di alcune copie, in cui la "i" in copertina era realizzata con un diamante di plastica.
A questo punto Diana Est, letteralmente, scompare. La Ricordi seppellisce nel cassetto il suo contratto quinquennale e il music-biz cancella il suo nome dalla sua facciata.
Passano gli anni e il nuovo decennio non è certo l'alleato ideale. Per tutti i 90's gli appassionati di synth-pop e italodisco si trovano davanti a un bivio: rinnegare tutto, oppure rinchiudersi in cantina come carbonari di quell'indicibile era plasticata.
È con l'avvento del nuovo Millennio, però, che accade il miracolo. Perché insieme alla riscoperta della (new) new wave, riaffiora anche quel glorioso sottobosco sintetico messo all'indice nel decennio precedente. Si scopre così che l'italodisco, da scheletro nell'armadio, può trasformarsi addirittura in orgoglio nazionale da export. E in questa inattesa ondata rivalutatoria, prende corpo anche la nuova metamorfosi di Diana Est: da sputtanata e inconfessabile meteora kitsch a reginetta di culto dei dilaganti party 80's.
Scatta così un
Chi l'ha visto? mediatico che vede trionfare inaspettatamente Radio Popolare. È la storica emittente rossa a fare il colpaccio nel 2004, catturando la voce di Cristina Barbieri che dal suo non specificato eremo confessa di essersi ritirata a causa del disgusto per l'ambiente musicale dell'epoca, lasciando intuire di non essere nemmeno rimasta in buoni rapporti con il suo mentore Ruggeri. Sono invece accreditati rumors a rivelare come Diana abbia sdegnosamente rifiutato di ricomparire in ogni sorta di malinconico tele-revival - da La Notte Vola a Meteore fino a Cocktail d'Amore di Amanda Lear (l'unico che forse l'avrebbe davvero meritata).
Ritrovarsi e dirsi addioInsomma, se è vero - come ipotizza Zingales - che "a precipitare in un vuoto oceanico sia stata una generazione, quella che dagli 80 puntava il 2000, e che Diana Est sia stata solo un'ambasciatrice cosmica, gelida segnalatrice di quella eccitante caduta libera", resta anche valido l'assioma che dagli 80 non si esce vivi, nemmeno nel nuovo millennio. Così ecco arrivare una impensata pioggia di cover e tributi: nel 2004 Prezioso feat. Marvin riporta "Le Louvre" in discoteca con un tamarrissimo remix dance saturo di
beat; nel 2012 l'amico Ivan Cattaneo le rende omaggio con una bombastica "Tenax" nel suo album di cover "80 e basta!", mentre Ruggeri se ne riappropria assieme ai Serpenti in un ubriacante
remake. Nello stesso anno sono gli Unison Detune a pubblicare una "Le Louvre" in salsa
porno-groove alla
Immanuel Casto, cui segue quattro anni dopo quella firmata dal progetto elettronico tedesco Bionda e Lupo, con tanto di vocina teutonica svaporata a corredo.
Ma la vera notizia è che Diana Est in persona riappare in scena a trent'anni dal ritiro, con alcune sparute esibizioni live (o quasi) nel 2013, nel 2014 e nel 2016. I luoghi prescelti non sono esattamente delle arene, da un club di Mareno di Piave (Treviso) al Chiringuito Parco Forlanini di Milano fino all'80 Festival di Palmanova (Udine) e qualche tappa all'estero (ad esempio,
al Doka di Amsterdam), ma l'accoglienza dei fan è entusiastica e deborda in Rete. "Molti mi hanno detto: 'Sono emozionato nel vederti'. Ma io?! Cazzo, sono passati trent'anni e voi avete la metà della metà dei miei anni", si schermisce sul palco. Sembra identica: stesso taglio carré, stessa tunica, stessa esuberanza naif, solo lievemente smussata dall'esperienza. Ma è solo una riapparizione estemporanea, che niente toglie all'alone di mistero accumulato in questi anni. Diafana e inafferrabile, Diana Est è ormai definitivamente uscita dai radar del pop. Come un miraggio lunare, svanito nello spazio-tempo.