
Sapete qual è la cosa che stupisce di più osservando i ricostituiti Pavement?
Stephen Malkmus è rimasto tale e quale quello di venti anni fa: il tempo non ha scalfito né il fisico né la voce, anzi ne ha migliorato la tecnica chitarristica.
Gli altri membri della band appaiono chi appesantito, chi vittima di un'incipiente calvizie, ma la notizia è che questi cinque signori oramai oltre gli "anta" oggi sanno suonare, e lo fanno come pochi altri.
Al bando lo-fi e tecniche approssimative: i Pavement del 2010 sfoderano grinta da vendere ed una sfilza di canzoni che poche altre band al mondo possono permettersi, tanto da poter suscitare l'invidia di qualsiasi altro artista loro coevo.
Alla faccia di chi se li aspettava imbolsiti, annoiati e fuori forma.
A giudicare dall'approccio tenuto durante lo show, saremmo pronti a giurare sul fatto che i cinque siano tornati per restare, anche perché i rispettivi progetti solistici non hanno poi fruttato particolare lustro ai singoli.
Si parte in quarta, e dopo la prima mezz'ora già si sono volatilizzate "Silence Kit", "Stereo", "Two States" e l'acclamatissima "Gold Soundz": non male davvero come inizio, ma è soltanto l'antipasto.
Il pubblico si diverte ed è stato adeguatamente riscaldato dal selvaggio set degli israeliani Monotonix, devastante trio che ha incendiato la platea del finalmente riaperto Atlantico Live (ex Palacisalfa) suonando in mezzo al pubblico e coinvolgendolo nell'esibizione.
Cose oggi inimagginabili, viste soltanto nella Londra del 1977: cercate qualche loro video su YouTube perché ne vale davvero la pena.
Ma torniamo ai Pavement: il centro focale dello show è senz'altro Malkmus che, oltre a cantare benissimo, padroneggia abilmente la sei corde concedendosi persino qualche numero funambolico.
Non essendoci un nuovo album da promuovere, il concerto diventa una sorta di godibile greatest hits, dove ci sentiamo un po' tutti ringiovaniti di una quindicina d'anni.
Vengono snocciolate una versione iper energetica di "Fight This Generation", la perfezione indie pop di "Range Life", le gemme del disco d'esordio "Trigger Cut" e "Summer Babe" e quello ritenuto da molti il loro inno generazionale "Cut Your Hair".
Così come in "Quarantine The Past", la loro retrospettiva di recente pubblicazione, dei cinque album ufficiali viene ingiustamente (secondo noi) tralasciato soltanto l'ultimo "Terror Twilight", ricordato dalla sola "Spit On A Stranger": atteggiamento che ha il sapore di un mezzo ripudio per il tutto sommato buon lavoro svolto all'epoca con Nigel Godrich
Con "Box Elder" si chiude la prima parte dello show, seguito da due bis, il secondo dei quali dedicarto alla sola "Here".
Fra l'altro Malkmus, in uno dei rari interventi parlati, ci tiene a ricordare come questa sia la loro seconda esibizione romana: la prima risale a quasi vent'anni fa, al tour di "Slanted & Enchanted", con i Pavement band rivelazione dell'anno ad aprire le danze per i meravigliosi Sonic Youth freschi di "Dirty".
E' parso un modo per ricordare a tutti dove risiedano le radici degli sperimentalismi della band.
Roma meritava questo ritorno in grande stile, ed è stata premiata da uno spettacolo eccellente, ricco di energia positiva, ed a fine concerto di moltiplicano i commenti entusiasti da parte di tutti i fan intervenuti.
Ed ora, eterni ragazzi, spero questo sia soltanto un arrivederci.