
Non certo favorito dalle condizioni meteorologiche (che hanno costretto il tutto negli spazi coperti dell’Unwound, a dispetto dell’originaria intenzione di poter godere del Parco Fantasia), e dall’esibizione di Dylan della stessa sera a poche centinaia di metri di distanza, il set degli Xiu Xiu si è rivelato più che memorabile.



L’autore si arrabatta con ogni sorta di escamotage post-rock ed electro (a cura del valente Daniele Pagliero, anche titolare del progetto solista Lo Dev Alm) per aggirarsi in lungo e in largo nel limbo descritto dagli ultimissimi Swans e il primo Mike Gira. Litanie Cohen-iane, loop industriali, drum’n’bass rallentati fino allo spasimo dark, droni panici e uragani cosmici sono personaggi che compaiono irrazionalmente nelle sue composizioni, fino a sfibrarle nella loro stessa natura, a renderle un puro atto di contrizione.
Il suono Xiu Xiu è, prima di tutto, il corrispettivo uditivo dell’ansia post-industriale contemporanea. La sfrontatezza loro propria (Stewart e gregaria, la bravissima Angela Seo) appartiene senz’altro alla musica rock, ma con una filosofia che proviene dal teatro di ricerca, se non dall’happening art. Lo spettatore è chiamato implicitamente e sottilmente in causa a tirare le sue conclusioni, a identificarsi a vari livelli con quel suono, perché si tratta di un suono che non appartiene nemmeno più all’autore, ma che si sparpaglia, si spappola, s’insinua nell’audience fino a negarsi. Xiu Xiu è il suono della mancanza di punti di riferimento (morali o razionali che siano).

Angela Seo, alle percussioni metalliche (una pletora di piatti, gong e campane) e ai dispositivi elettronici, è un piccolo prodigio. E’ lei che pennella un’isterica versione di “I ♥ The Valley”, quasi totalmente germinata sopra un pattern ossessivo, e l’industrial esistenziale di “Guantanamo Canto”, su cui improvvisa e dissona con abnegazione maniacale.
L’insieme dei due è comunque ben al di sopra della somma delle parti. Il loro post-post-wave, ben sorvegliato dallo spettro dei Pere Ubu per quanto riguarda dinamiti elettroniche, atroci torture di rumore e lande di non-musica, chiarisce una tendenza che culmina con “Gayle Lynn”, timbri quasi-giocattolo forzati a sfuriare per qualche istante un brutale siparietto free-jazz degno di Cecil Taylor, nel bel mezzo di una comoda cadenza psych-pop. “Muppet Face”, record di efferatezze, procede per battiti inizialmente regolari ma poi depistati da ogni sorta di accorgimento, quindi lasciati deflagrare in uno spazio privo di alcuna significazione razionale.

Un unico corpo musicale (e anti-musicale), non corredato da bis, che il duo - pure spossato per la calura man mano accumulata – elargisce con disarmante competenza e una professionalità sui generis (pure esagerata dai gargarismi appartati tra brano e brano di Stewart), veicolo fondamentale per trasmettere la giusta credibilità del loro non-messaggio non-nichilista che è, insieme, monito, essenza priva di orpelli, e - forse - presagio di una nuova era. Se la vera arte è quella dell’equilibrio, e talvolta di un equilibrio tra estremi e ostilità, gli Xiu Xiu vi hanno ormai sviluppato salde radici.
(contributi fotografici a cura di deSna B.)