Damo Suzuki è un cantante giapponese che si è assicurato un posto nella storia per aver fatto parte del nucleo dei Can, straordinaria formazione kraut-rock tedesca, in quattro album fondamentali editi a cavallo fra il 1970 e il 1973. Ritiratosi dalle scene per motivi legati a una conversione religiosa, tornò a calcare i palchi soltanto dieci anni più tardi, e di lì a poco partì un singolare progetto di vagabondaggio musicale, che tuttora prosegue.
Suzuki è costantemente in tour per il mondo, e nei vari Paesi dove si trova a transitare unisce le proprie forze e le proprie idee con i musicisti del luogo, dando vita ad imprevedibili fusioni estemporanee. Questo dedalo di collaborazioni ha creato nel tempo un Network mondiale che prende il nome dallo stesso ideatore.
Damo ha fatto tappa in Italia per quattro date, scegliendo di unirsi a quattro protagonisti della scena italiana che non hanno certo bisogno di presentazioni: Manuel Agnelli alle tastiere, Xabier Iriondo alla chitarra, Enrico Gabrielli ai fiati e Cristiano Calcagnile alla batteria.
L'obiettivo è portare in scena una vera e propria jam session, nella quale l'improvvisazione, la sperimentazione e l'avanguardismo regnano sovrani, e si può assistere al trionfo del credo dell'artista giapponese, quella che è stato appropriatamente denominato "composizione istantanea".
I quattro musicisti italiani si conoscono a memoria, e questo facilita notevolmente il compito: basta uno sguardo e già ognuno sa perfettamente dove andare a parare. Emerge una creatività così straripante che non potrebbe essere contenuta facilmente in nessuna band tradizionalmente intesa.
È bello assistere ai sorrisi di compiacimento scambiati fra Manuel e Xabier, due fra i più importanti personaggi musicali degli ultimi vent'anni, che dalla scorsa estate si stanno rincorrendo, prima in un tour estivo che ha visto il chitarrista ospite fisso sul palco degli Afterhours, in una sorta di apprezzato (dai fan e dalla critica) ritorno a casa, ed ora in questo nuovo portentoso esperimento. Che un ricongiungimento definitivo sia nell'aria?
Gabrielli, altro ex della band milanese, ultimamente riesce a mettere lo zampino in tutte le cose più interessanti della scena indipendente nazionale, e continua a non sbagliarne una.
Questa sera non esiste il formato canzone come canonicamente interpretato, ma un free form che può prendere spunto da un sibilo della voce di Suzuki, da una nota emessa dal sax di Gabrielli o da rumori consapevolmente generati da Iriondo. Attraverso l'utilizzo di oggetti o utensili di uso comune (una spugnetta lavapiatti oppure delle biglie di vetro, giusto per fare qualche esempio) Xabier agisce sulle corde della chitarra verticale generando suoni impensabili, e pilotando il tutto con l'ausilio di numerosi effetti che destano la curiosità dei patiti della sei corde.
Quasi sempre, sull'improvvisazione circolare iniziale, si innestano gradualmente tutti gli altri strumenti, in un crescendo emozionale di rara intensità, trascinato dalla voce di Suzuki che si inerpica instancabile sugli arditi scenari disegnati dalla band. Il tutto è cementato dal drumming sincopato di Calcagnile, di evidente matrice jazzy, e dalle tastiere iper-vintage manovrate da Agnelli, in particolare trattasi di uno Stage Eighty Eight rosso corredato da opportuna effettistica.
Tutto procede magnificamente senza intoppo alcuno, con i cinque sul palco che evitano di porsi traguardi predefiniti e lasciano aperta la porta a qualsiasi evoluzione imprevista. Se poi in realtà dovesse esistere una sorta di canovaccio preventivamente concordato, beh, ci piace che il segreto non venga svelato.
Dopo poco più di un'ora di estasi collettiva da delirio avanguardistico, si torna a casa con l'urgenza di imbracciare il proprio strumento musicale e tentare mille nuovi esperimenti.