La basilica di San Giovanni Maggiore è ubicata nel cuore del centro storico di Napoli. Fu fondata in epoca paleocristiana sulle vestigia di un tempio pagano ed è stata poi rimaneggiata pesantemente nel corso dei secoli. Oggi - dopo una serie di restauri occorsi al seguito dei tanti terremoti che l’hanno tormentata durante gli ultimi tre secoli – la chiesa appare come una delle massime testimonianze del tardo barocco napoletano. È in questa suggestiva
location che Tim Hecker ha voluto presentare al pubblico partenopeo il suo ultimo lavoro “
Virgins”, che l’anno scorso ha raccolto miriadi di consensi, anche nelle
nostre classifiche redazionali.
L’evento – organizzato dall’associazione Wakeupandream in collaborazione con l’Ordine degli ingegneri di Napoli che nel 2012 ha restaurato la basilica – si è aperto tra le aspersioni di fumo bianco che hanno accompagnato la performance di Dave Saved. Gracili variazioni
glitch sparse qui e là a caratterizzare un impianto elettronico di natura cosmica, a metà strada tra
Schulze e
Nosaj Thing, hanno evidenziato idee a loro modo intriganti, poco prima dell’ingresso di sua maestà Hecker.
Messa da parte la performance di Saved, Hecker è salito sul presbiterio, e i fumi scenografici si sono dissolti, le luci si sono spente e la penombra ha ingoiato la navata centrale dove erano accomodati gli spettatori. Il flusso creato dal ginepraio di liquami ambient-drone, gliaciali fruscii noise, vibrazioni glitch in grado di scuotere il suolo e solenni partiture di tastiera (tanto camaleontiche nel loro passare dall’organo al synth al piano, quanto sacrali nella loro avvolgente diramazione) hanno trasformato – nonostante la gradevole temperatura partenopea – la cupola della basilica nell'atrio di una grotta. I suoni prodotti dal musicista canadese sembravano occupare gradualmente l’ambiente circostante, stratificandosi e addensandosi in maniera tridimensionale, quasi a voler attagliarsi allo spazio che li ospitava con l’intento di erigere un’architettura sonora dentro l’architettura religiosa. Il muro di suono generato dall’incessante flusso di droni e dalle improvvise bordate a bassa frequenza ha letteralmente devastato i sensi per cinquanta minuti esatti (non uno in più, data la tipologia di musica proposta a duro assorbimento).
La capacità di trasformare gli ambienti – la loro abituale percezione spaziale e relazionale - attraverso il suono è una prerogativa della Sound Art; con la sua performance, Hecker ha dimostrato di collocarsi in una posizione intermedia tra l’arte dei puri suoni e l’organizzazione degli stessi in forme riconducibili alla sintassi musicale. La concretezza dell’impianto sonoro allestito dal produttore canadese è parsa tanto organica quanto clamorosamente esoterica, in un coacervo di luci e ombre atte a delineare un climax al contempo sepolcrale e celestiale.
La sensazione è che i cinquanta minuti di magma sonoro che Hecker propone nei suoi live aderiscano a un’estetica del sublime che nel passato meno recente ha attecchito, più che su altri musicisti, sugli astrattisti della scuola di New York degli anni Cinquanta. Il pittore americano Barnett Newman – per esempio - esortava gli artisti a non “costruire cattedrali su Cristo, sull’uomo o sulla vita”, ma a trarle “da noi stessi, dai nostri stessi sentimenti”. In modo analogo, ascoltare Hecker dal vivo, in una chiesa, amplifica la suggestione - già pienamente avvertibile in cuffia – di una musica atta a manifestare forme acustiche capaci di mostrare l’invisibile, rivelare ciò che è immensamente più grande di noi, ciò che possiamo sapere e dire ma non vedere, e nemmeno ascoltare. Una rivelazione profetica e salvifica, palesata con estrema maestria e con una sensibilità delle “macchine” decisamente fuori dal coro attuale.
Chi ha avuto il privilegio di esserci, ha dovuto fare i conti con la terrificante ed eccitante consapevolezza di trovarsi di fronte a un vuoto sovrastante: incommensurabile, intangibile e nondimeno in grado di riempire una chiesa. Una forza che è oltre l’uomo, irraggiungibile, ma è anche dentro l’uomo. Siamo nulla e siamo tutto: è terribile. È meraviglioso. In un luogo adibito al culto di Dio, Hecker ci ha forse mostrato ciò che gli umani chiamano appunto Dio. Qualche miscredente - che era venuto lì per curiosità - ha lasciato la chiesa anzitempo, senza attendere la fine della performance. Gli altri che sono restati fino all’ultimo secondo hanno continuato a pregare. Probabilmente come non avevano mai fatto prima.