Il Benicio si trova in cima al Montello, nella località Santi Angeli. Si tratta di un locale che, con un nome o un altro, è da anni uno storico ritrovo per gli amanti della musica alternativa nell’ovest della Marca e, soprattutto con l’ultima gestione, ha fatto il salto di qualità a livello di musica dal vivo. Negli ultimi mesi, si sono alternati sul suo palco gli Zeus, Francesco Tricarico, i Diaframma, i Fuzz Orchestra e, sabato scorso, Claudio Simonetti con i suoi nuovi Goblin (ovvero il batterista Titta Tani e il chitarrista Bruno Previtali).
Non è una roba da poco: gli storici Goblin sono forse i secondi autori di colonne sonore italiani più noti all’estero (notevole, pensando a chi è il primo), nonostante il loro nome sia legato soprattutto ad una manciata di film e a un unico regista, Dario Argento (anche se, ad esempio, hanno lavorato anche con George Romero). Per molti, me compreso, il concetto di “terrore” è connesso alle note di “Profondo Rosso” e “Suspiria” e, anche sabato, quando, verso la fine del concerto, è partito il noto coro dei bambini, mi si sono rizzati i peli sulle braccia. Ha contribuito sicuramente la location: la notte Santi Angeli pare un borghetto perso in mezzo al nulla e la sala concerti era poco illuminata e frequentata da una cinquantine di persone esclusivamente vestite in nero. Tant’è che, a un certo punto, mi ritrovavo a chiedermi se io o il mio amico Fabbro saremmo stati tra i primi a trovarci una mannaia tra le scapole.
Eppure, il concerto era iniziato con un piglio decisamente più rock: i Goblin, vecchi e nuovi, con questo o quell’ex-membro, pur essendo generalmente infilati nel calderone progressive, hanno sempre giocato su brani abbastanza brevi e senza le strutture intricate di molti gruppi coevi - e questo sia nelle colonne sonore, sia negli altri dischi (che sono, fondamentalmente, colonne sonore senza film). I primi due brani “Il Cartaio” e “Demoni” vengono suonati con un’aggressività e incisività ai limiti del metal, mentre sullo schermo passano immagini delle pellicole - o, almeno, dovrebbero, visto che la proiezione continua a bloccarsi, costringendo i musicisti a qualche pausa non preventivata, fino alla saggia decisione di limitare lo spettacolo alla musica.
Per il resto, i classici ci sono un po’ tutti: “Dawn Of The Dead”, “Roller” “Tenebre”, “Phenomena”, “Nonhosonno”, vengono suonati con precisione e asciuttezza. Le vere chicche, in realtà, sono le cover: prima il brano “Gamma”, composto dal padre di Simonetti, Enrico, e, poi, un medley con “Halloween” di John Carpenter e “Tubular Bells” (ovviamente, un estratto) di Mike Oldfield. Scelte un po’ paracule, volendo, ma assolutamente funzionali all’atmosfera. Che si fa più oscura nel finale, quando vengono sparate le cartucce più importanti: “Suspiria” e “Profondo Rosso” ça va sans dire, attese in maniera spasmodica dal pubblico.
Sono uscito dal locale soddisfatto, anche se il parcheggio si trovava a lato di un bosco e mi sono sentito sicuro solo quando sono entrato nell’abitacolo… mi illudevo, perché, subito dopo aver messo in moto la macchina, ho sentito un laccio stringermi il collo e…