Quest'anno, Dario Argento ha compiuto 75 anni. Se fosse ancora vivo, il buon David Hemmings spengnerebbe 74 candeline. “Profondo Rosso” è invece al suo quarantesimo autunno. Ciononostante, il lugubre scenario Liberty della “villa del bambino urlante” e il temibile ghigno inciso sul volto ceramico del “mad puppet” riescono ancora a tenere saldi alle poltrone appassionati, avventori e turisti del cinema horror.
Merito anche - se non soprattutto - di una colonna sonora che, attraverso i repentini cambi di registro tipici del prog-rock e una sequela di climax ascendenti che lascia in bocca il sapore ferroso del sangue, riuscì a prendere per mano la tensione partorita dal caschetto malefico di Argento elevandola a paura. Un'impresa portata a casa appena un paio d'anni prima dalle “campane tubolari” di Mike Oldfield, che musicarono l'esorcismo più sfiancante della storia della celluloide.
Del resto cos'altro, nell'Italia di metà anni 70, sarebbe stato più azzeccato di un purpureo abito prog per vestire di ansia e concitazione una pellicola argentiana?
A celebrare la ricorrenza ci ha pensato la Rustblade Records, che in catalogo annovera pubblicazioni a nome Dive, Merzbow, No More, Lydia Lunch, Legendary Pink Dots e Spiritual Front, licenziando a Halloween una succosa riedizione della soundtrack in cd, vinile in 100 copie custodito in un box e 23 esemplari in versione “Mad Puppet”.
La storia vuole che Carlo Bixio, capo dell'illustre etichetta specializzata in colonne sonore Cinevox, avesse consegnato su input di Daria Nicolodi al mefistofelico Dario, già al lavoro per "Deep Red", la demo di alcune composizioni di quattro ventenni - guidati da tale Claudio Simonetti - che si erano dati per nome “Oliver”.
L'ascolto lasciò Argento entusiasta (immaginatene la smorfia di approvazione) e il quartetto ebbe il suo primo lampo di genio: cambiare la ragione sociale in “Goblin”.
Consegnate a Simonetti e soci le partiture del pianista jazz Giorgio Gaslini - quelle che comporranno il lato B del disco - i Goblin si blindarono nel loro studio-cantina romano per concepire, a suon di jam sfornate a rotta di collo, quel maledetto arpeggio che, poco prima dell'arrivo del sole, fece capolino dal grembo creativo del bassista Fabio Pignatelli.
Un accordo reiterato allo sfinimento, uno stillicidio ematico che si dipana in flussi ondeggianti tra un'elettronica à-la Wendy Carlos e un hard-rock ammiccante, guarda caso, a un'altra tonalità di “Red”: quella dei tendaggi che adornano le stanze del re Cremisi.
E così, l'efferatezza dell'omicidio del professor Giordani rivive nell'ordito schizofrenico di “Death Dies” e diventa febbrile nelle iniziali pulsazioni di basso di “Mad Puppet”, presumibilmente mutuate dalla floydiana “One Of These Days” e sparate a una velocità esagerata.
"Deep Shadows” e i barocchismi degli Emerson, Lake & Palmer ci lanciano in una corsa disperata per salvare la pelle dalla furia vendicativa di Carlo, un attimo prima di stramazzare al suolo cullati dal micidiale duetto di carillon e voce infantile di “School At Night”. Nella nuova scaletta non c'è spazio per “Wild Session” e “Gianna”, entrambi firmati da Gaslini.
Si apre dunque la sessione live di “Profondo Rosso”, in cui l'ex-capobanda Simonetti torna a distanza di anni sul luogo del delitto con i componenti dei suoi Daemonia per trasfondere nuova linfa rock ai pezzi più significativi della tracklist originale. Il risultato di quest'ultima parte è a metà tra autocelebrazione e adeguamento agli stilemi della seconda ondata prog che non attualizza, anzi invecchia e appesantisce, un capolavoro che vetusto non è affatto.
07/11/2015