21/10/2022

Editors

Unipol Arena, Casalecchio di Reno, Bologna


Ogni concerto è, a suo modo, un’incognita: come suoneranno quegli artisti dal vivo? Fedeli al disco o più intraprendenti? Saranno all’altezza della loro fama?
Con gli Editors queste domande diventano a dir poco pleonastiche. Ogni loro concerto è una festa in cui tutti, anche coloro che non ne sono fan sfegatati, finiscono per farsi abbacinare dal carisma di Tom Smith e dall’alchimia tra i componenti della band.
 
All'Unipol Arena di Casalecchio di Reno, i cancelli si aprono in perfetto orario alle 18,30 ma, quando le luci si spengono, alle 20, il palasport non è del tutto pieno e gran parte degli spalti è vuota. Con ogni probabilità, la location scelta, che ha una capienza di poco più di 8000 persone, è un po’ grande per la band di Stafford, che la sera prima s’è esibita al Fabrique di Milano. Il pubblico è eterogeneo e l'età media in linea con quella di Tom Smith e soci. E se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, sono i The Kvb ad aprire le danze. La formazione britannica oscilla tra un post-punk oscuro e un’attitudine industrial-techno, senza disegnare accenni gaze. La chiusa, affidata alla potentissima "Dayzed", è solo l'ennesima conferma di una band baciata dall’ispirazione da più di dieci anni. Davanti a me un bambino di due o tre anni si dimena, in preda a una gioia liberatoria, sulle spalle del papà. Sulla magliettina la scritta "Il mio primo concerto". 

Gli Editors compaiono sul palco in perfetto orario, alle 21. "Bones", brano storico del gruppo, sempre presente in scaletta, viene incastonato tra i pezzi più immediati dell'ultimo lavoro, "EBM": dalla morbosa "Heart Attack", cui è affidata l'apertura del concerto, passando per "Strawberry Lemonade", "Karma Klimb" e "Picturesque", in cui un Tom Smith sempre più tarantolato, in preda a convulsioni estatiche, dimostra non solo di essere l'ugola più potente del Regno Unito - con un range vocale sovrumano di 4.75 ottave - ma di possedere anche una sbalorditiva capacità di gestione del fiato.
 
Con "Sugar", "Magazine" (trasformata in anthem da stadio) e "All Sparks", si apre una delle sezioni migliori del concerto, che raggiunge il suo acme in "The Racing Rats". Dopo "Frankenstein", che trasforma l'arena in una discoteca, c’è tempo per prendere fiato e sguinzagliare torce e accendini con "Nothing", cantata al  pianoforte da Tom Smith, lasciato solo sul palco. Ma è solo un momento prima di rituffarsi in un frastuono ebbro di luci e suoni, sulle note di "All The King", "Blood" e "Smokers Outside The Hospital Door". “No Harm” dipinge una melodia dilatata che esplode presto in uno sfolgorio gotico dal fascino mesmerico, mentre s’affastellano synth e arpeggiatori e la voce policromatica del cantante dà il meglio di sé indistintamente sui toni baritonali e sui falsetti.
"Kiss" e soprattutto la caotica "Strange Intimacy", appaiono invece superflue nell’architettura del già lunghissimo live. Quest'ultima, in particolare, suona senz’altro più abrasiva dal vivo, grazie all’impalcatura dubstep della base, ma la sensazione che il brano sia frutto di un taglia e cuci si acuisce ancor più. E l’effetto è un po’ straniante.
 
Ogni perplessità sparisce con il trittico finale "An End Has A Start", "Munich" e "Papillon". Quest'ultima viene dilatata, stiracchiata e potenziata sulla scia di quanto fatto in "The Blanck Mass Sessions" e lascia spazio persino a un piccolo pogo.
È il tempo dei saluti, con tanto di cameo del figlio più grande di Tom Smith sul palco. La band si inchina, ringrazia e raccoglie gli applausi, visibilmente compiaciuta della risposta entusiastica di un pubblico calorosissimo.
 
A fronte di qualche lungaggine evitabile, gli Editors si confermano incredibili animali da palcoscenico, in grado di mediare tra generi assai diversi tra loro senza mai perdere un briciolo di entusiasmo o coerenza. La ciliegina sulla torta sarà infine il dj-set di Russell Leetch, bassista storico della band, al Covo Club, a suon di hit brit-rock.