13/11/2022

Steve Hackett

Auditorium Conciliazione, Roma


Steve Hackett è rimasto da tempo l'unico componente storico dei Genesis che continui a sbandierare con orgoglio il vessillo dei grandi classici di una delle band più influenti e popolari della scena progressive rock, quelli che hanno caratterizzato l'incontenibile ascesa del quintetto inglese nella prima metà degli anni Settanta. Peter Gabriel, che di quell'esperienza fu l'indiscussa mente e voce, ha non dico ripudiato, ma quantomeno evitato di tornare a cantare quelle canzoni, salvo rarissime eccezioni. Chi ha scelto di mantenere il nome del gruppo - Phil Collins, Tony Banks e Mike Rutherford - a partire dagli anni Ottanta ha preferito invece concentrarsi sul repertorio più recente, relegando di solito a uno striminzito medley i ricordi del pionieristico passato.
Hackett, invece, nonostante un cospicuo gruzzolo di album solisti di buona fattura, continua a monetizzare il lascito artistico della sua vecchia band, grazie a tour che sfruttano a dovere anche gli anniversari più attesi. Dopo essere stato in Italia soltanto la scorsa estate, il chitarrista inglese torna in occasione del cinquantesimo anniversario di "Foxtrot", l'album che nel 1972 consolidò il successo su larga scala dei Genesis. Sei serate programmate in Italia, la prima delle quali ospitata nel suggestivo Auditorium Conciliazione di Roma. Sul palco con Hackett la rodata band con Roger King alle tastiere, Craig Blundell alla batteria, Jonas Reingold al basso, Rob Townsend a sax, flauto, clarinetto e percussioni, più Nad Sylvan al quale vengono affidate le parti vocali, l'unico del sestetto che inevitabilmente soffre al confronto con le ingombranti versioni originali.

La prima parte del set dà visibilità ad alcune fra le migliori composizioni soliste di Hackett: tre su sette sono estratte da "Voyage Of The Acolyte", il suo miglior lavoro, pubblicato nel 1975, quando era ancora il chitarrista dei Genesis. Due vengono riprese da "Spectral Mornings" (1979), una da "Highly Strung" (1982), una dal più recente "Surrender Of Silence", inciso lo scorso anno. Canzoni molto note ai fan, che evidenziano complessità nelle strutture ma al contempo un'innata attenzione per gli aspetti melodici, con in più l'innesto di qualche riuscita divagazione dal sapore jazzy. A spiccare è soprattutto il formidabile crescendo che dona grande enfasi a "Shadow Of The Hierophant", posta non a caso in chiusura della prima ora di spettacolo. Dieci minuti di pausa, poi i musicisti tornano per eseguire integralmente "Foxtrot" uno dei dischi più importanti e di successo dell'intera saga del rock progressivo britannico.

L'intera tracklist viene eseguita in maniera fedele e rispettosa, conservando gli interventi del flauto che nelle versioni live dei Genesis post-Gabriel scomparivano del tutto, sostituiti da linee di synth. In questo contesto acquisiscono visibilità le due canzoni rimaste sempre più nell'ombra, "Time Table" e "Can-Utility And The Coastliners", gioiellini armonici e romantici, stretti fra gli altri colossi che popolano l'album: l'incipit tastieristico di "Watcher Of The Skies", la speculazione edilizia letta in chiave surreale per "Get 'em Out By Friday", l'eleganza cristallina di "Horizons" e soprattutto il lungo sviluppo dell'enciclopedica "Supper's Ready", il momento più atteso dal pubblico che gremisce l'Auditorium, quei 25 minuti di sacralità che raggiungono l'apoteosi nel solo di tastiere cristallizzato in "Apocalypse In 9/8".

Segue la prima standing ovation, seguita dai bis che prevedono l'esecuzione di due superclassici: "Firth Of Fifth" (da "Selling England By The Pound", 1973) e "Los Endos" (da "A Trick Of The Tail", 1976, il primo sorprendente lavoro senza Peter Gabriel). Oltre due ore di esibizione tanto generosa quanto rispettosa della storia. Band straordinaria, Steve in grande forma, un eterno ragazzo del classic rock, che grazie a quei sei anni memorabili di militanza effettiva (dal 1971 al 1977) si è assicurato l'immortalità artistica e una venerazione mai scalfita.
Al banchetto i suoi dischi autografati vanno a ruba, e per i non più giovani ammiratori poco importa se gli spettacoli di cinquant'anni fa erano tutt'altra cosa, con un Peter Gabriel imprendibile quanto a talento e inventiva. La full immersion proseguirà nei prossimi giorni con i sold-out di Bologna, Torino, Milano, Padova e Legnano.

(foto di Claudio Lancia)