La commistione del rock d'autore con la musica classica e le orchestre sinfoniche nacque più o meno da quando il pop iniziò la sua rapida evoluzione alla ricerca di una complessità che andasse oltre la forma-canzone da tre minuti. Tra la seconda metà degli anni 60 e l'inizio degli anni 70 videro la luce il rock progressivo con il suo sottogenere detto "rock sinfonico" (dove con gli strumenti canonici del rock si costruiscono architetture sonore paragonabili a quelle della cosiddetta musica colta) e il rock sperimentale e senza regole di Frank Zappa, che nella sua carriera darebbe diventato occasionalmente anche compositore classico di avanguardia.
Nel 1970 uscirono dischi come il discusso “Concerto For Group And Orchestra” dei Deep Purple e il più noto “Atom Heart Mother” dei Pink Floyd (che nella prima facciata presenta una suite con orchestra e coro), mentre l'anno successivo Emerson Lake & Palmer pubblicarono “Pictures At An Exhibition”, che riproduceva con strumenti rock l'omonima composizione di Musorgskij. Passati questi anni di fermento creativo, nei decenni successivi l'occasionale proposizione in concerto (ma, giusto per citare un esempio recente, i Radiohead nell'album “A Moon Shaped Pool” del 2016, fanno massiccio uso degli archi della London Contemporary Orchestra) di versioni dei propri brani con orchestra sinfonica diventerà piuttosto comune per molti grandi nomi del pop e del rock, fin quasi a trasformarsi in un cliché.
In teoria niente di particolarmente originale, quindi, nella scelta della storica band The Who - ridotti da molti anni a due soli componenti a causa della prematura scomparsa del bassista John Entwistle e di quella ancor più prematura del batterista Keith Moon - di esibirsi con l'accompagnamento di un'orchestra. La voce solista Roger Daltrey fu protagonista il 20 marzo 2012 in un lungo concerto al vecchio Teatro Comunale di Firenze con la sua rock band, eseguendo tutto il disco “Tommy” - ovvero la prima grande opera rock della storia - in un contesto votato all'opera lirica. Quello stesso Daltrey nel 1983 era stato protagonista nel ruolo di Macheath di una ripresa cinematografica di “The Beggar's Opera”, facilmente reperibile in Dvd, mentre l'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino può vantare almeno una precedente digressione “hard rock”, quando in un concerto nella sala grande dell'attuale Teatro del Maggio affiancò i Norge, cover band dei Led Zeppelin, il 4 giugno 2016.
Il racconto, inevitabilmente parziale e frammentario, di questo caotico intreccio tra teatro d'opera, opere rock, opere vere e proprie, orchestre, hard rock e Who introduce la cronaca di una serata di Firenze Rocks che avrebbe potuto essere una semplice rimpatriata di lusso per attempati seguaci della gloriosa band britannica, incuriositi dalla presenza dell'orchestra e dal verificare se le due rockstar ormai vicine alle ottanta primavere avessero ancora un residuo di energia per trasmettere almeno una piccola dose delle antiche emozioni. Oltre ogni più ottimistica previsione, gli Who si sono esibiti alla Visarno Arena per oltre due ore con generosità e un'evidente, contagiosa gioia di far musica, tali da dar vita a un vero e proprio evento, davanti a un pubblico intergenerazionale (dai teenager ai coetanei degli stessi Who) stimato in circa 15.000 presenti.
La giornata di musica inizia sotto il sole delle 16 di una Firenze meno torrida rispetto agli ultimi anni, con le esibizioni della band Le Distanze, seguita dai toscani Piqued Jacks, da Lucio Corsi e dalla trascinante performance di Tom Morello, chitarrista dei Rage Against The Machine.
Gli Who si presentano alle 21,30 sul palco con l'Orchestra del Maggio, che si è spostata fisicamente di sole poche centinaia di metri dal Teatro del Maggio nel quale è solita esibirsi. Il concerto è intelligentemente diviso in tre parti, la seconda delle quali concede una pausa all'orchestra per lasciare i componenti della band scatenarsi con il loro repertorio più ruvido ed essenziale, visceralmente rock, mentre la prima e la terza si incentrano sui due iconici concept-album, rispettivamente “Tommy” e “Quadrophenia”, naturalmente portati, per il respiro “orchestrale” con cui furono concepiti, a un'esecuzione epica e grandiosa a cui può dare essenziale sostegno la presenza di un'orchestra di prestigio.
Nessuno si aspettava che dal punto di vista vocale Roger Daltrey a 79 anni potesse essere paragonabile a se stesso di oltre cinquant'anni fa, a maggior ragione pensando a quanto generoso e dispendioso sia stato il suo stile di canto nel corso della carriera. E in effetti sono soprattutto il mestiere e la grinta a sostenere le linee vocali, ma la potenza è ancora notevole, e lo stile e il carisma sono intatti, così che l'esecuzione (e la tenuta alla distanza) appaiono non meno miracolose di quelle di Pete Townshend (di un anno più giovane) alla chitarra elettrica. Entrambi sono sostenuti da una band di prim'ordine che comprende anche il batterista Zak Starkey, figlio di Ringo Starr, e due musiciste classiche come primo violino e primo violoncello.
L'Orchestra del Maggio, diretta nell'occasione da Keith Leverson, è degna della sua fama anche in questa insolita circostanza e impressiona per il diabolico unisono degli archi e per il ribollire di colori delle delle altre sezioni. Le percussioni dei professori del Maggio si sommano al drumming di Starkey creando una sezione ritmica di impatto stordente, che contribuisce a creare i vari climax della lunga serata, iniziata con l'Overture di “Tommy” che con l'accompagnamento di un'orchestra di grandi dimensioni diventa ancor più epica e solenne dell'originale. La selezione dal disco prosegue con “1921”, “Amazing Journey” e la strumentale “Sparks”, l'immancabile “Pinball Wizard” - ma purtroppo non “Sally Simpson” e “I'm Free” - fino all'atteso e grandioso finale dell'opera rock che si crogiola nella ricchezza dell'orchestrazione sinfonica (e fa quasi pensare a che cosa ne sarebbe venuto fuori con anche i coristi del Maggio...), ma non chiude la prima parte, che prevede tre brani da tre album diversi, compresa “Ball And Chain” dall'ultimo album in studio della band, intitolato semplicemente “Who” e uscito nel 2019.
Townshend ringrazia la compagine del Maggio un po' a modo suo (il caratterino scorbutico non si perde con l'età) e la congeda temporaneamente, spiegando che è una ricchezza avere sul palco un'orchestra sinfonica, ma costringe anche a suonare con rigore e che quindi è arrivato il momento di esprimersi per qualche brano senza troppe regole. Un vezzo o poco più, perché la seconda parte scorre ancora rigorosissima dal punto di vista musicale, ma certo più essenziale ed energica, toccando anche un album relativamente meno noto della band come “Face Dances” e un paio di singoli finiti nella raccolta “Meaty Beaty Big And Bouncy”, ma anche un classico da “Who's Next” come la lunga cavalcata rock di “Won't Get Fooled Again”.
Dopo “Behind Blue Eyes” rientra l'orchestra e la terza parte del concerto si incentra su “Quadrophenia”, con i cinque brani più significativi di un disco apparentemente meno articolato e pomposo di “Tommy”, ma in realtà a tratti ugualmente carico di pathos dal respiro sinfonico. L'orchestra accompagna, tra le altre, le potenti “The Real Me” e “5:15”, fino all'apoteosi di “Love Reign O'er Me” da “Quadrophenia” (cui seguirà il bis di “Baba O'Riley”), preceduta da un'introduzione molto più ampia di quella originale, dove Daltrey dopo due ore di esibizione senza risparmio trova, non si sa dove, le energie per due giganteschi acuti che sono brivido puro.
(Versione estesa di un articolo pubblicato su OperaClick)
With Orchestra
Overture
1921
Amazing Journey
Sparks
Pinball Wizard
We're Not Gonna Take It
Who Are You
Eminence Front
Ball and Chain
Band Only
You Better You Bet
The Seeker
I Can See for Miles
Substitute
Another Tricky Day
Won't Get Fooled Again
Behind Blue Eyes
With Orchestra
The Real Me
I'm One
5:15
The Rock
Love, Reign O'er Me
Baba O'Riley