04/07/2024

Ride

Artivive Festival, Soliera (Modena)


Con il concerto dei Ride ho realizzato il mio sogno di vedere dal vivo la Santissima Trinità dello shoegaze. Nel 2013 assistetti al concerto dei My Bloody Valentine all’Orion di Ciampino (Roma). Un set minato da un’acustica indegna e dalle interruzioni che Kevin Shields imponeva ai brani a causa del suo noto perfezionismo. Nonostante ciò, l’emozione di essere davanti agli alfieri dello shoegaze rumoroso fu tanta. Questa primavera ho assistito al concerto degli Slowdive all’Alcatraz di Milano; un evento emozionante e profondo, tanta è l’intensità dei paladini dello shoegaze melodico rinati a nuova e gloriosa vita. Mancava un tassello, quello dei cavalieri dello shoegaze rock: i Ride. Anche loro defunti e rinati dalle loro ceneri, hanno ripreso un’attività live che finalmente li ha riportati in Italia. Non potevo quindi farmi sfuggire l’occasione di andare a sentirli all’Artivive Festival di Soliera, vicino Modena. Artivive è un piccolo e splendido festival di rock alternativo che in un paese assume una dimensione magica e attraente; una programmazione di tutto rispetto (BDRMM, Bar Italia, Marta del Grandi, Venerus) lo ha reso un piccolo gioiello emiliano-romagnolo.

Arrivo al concerto abbastanza in anticipo da piazzarmi vicino al palco. In verità la piazza è quasi deserta e solo a poco a poco arriveranno gli adepti: età media quaranta anni e più, molti hanno i capelli bianchi e le magliette dei Cure, tanto per ricordare chi con gli strati di chitarre creò le basi per lo sviluppo della musica sognante. I Ride ebbero il loro apice all’inizio degli anni 90, per cui è lecito aspettarsi un’audience attempata; nonostante ciò fa un po' effetto far parte di una accolita di reduci che un ventenne difficilmente incrocerà a un concerto.
Quando Andy Bell (voce e chitarra), Marc Gardener (chitarra), Loz Colber (batteria) e Steve Queralt (basso) attaccano “Monaco” dal nuovo album “Interplay”, il pubblico è già pronto per saltare e cantare, perché il brano è potente e si presta a un attacco di impatto. La band suona compatta, il sound è pulito e le chitarre si sovrappongono che è una meraviglia. È con la seguente “Leave Them All Behind” (dallo storico “Going Blank Again”) che esplode l’entusiasmo e gli smartphone si alzano per riprendere la performance. Quello che caratterizza i Ride è tutto in questa canzone: potenza rock, intrecci melodici e tempi lenti, voci all’unisono che cantano di fragili emozioni, un condensato di dolcezza e durezza che toglie il fiato. Un paio di canzoni (“Twisterella” e “Last Frontier”) vengono suonate con due bassi, uno dei quali disegna linee melodiche e l’altro tiene traccia del ritmo. L’alternarsi di brani dai primi due leggendari album e quelli del nuovo corso testimonia il lodevole tentativo dei Ride di ricamarsi una nuova veste che corrisponda a ciò che adesso vogliono esprimere e in questo senso la vetta viene toccata con l’esecuzione di “Lannoy Point”, la migliore canzone del periodo più recente (da “Weather Diaries”, 2017), che la band britannica esegue concentrata provocando l’entusiasmo dei presenti.

I Ride sono questo, è vero, ma sono soprattutto la gloria di una musica che ha fatto sognare chi trenta anni era teenager: i momenti in cui si viene totalmente rapiti dal loro suono sono quelli in cui esplodono meraviglie come “Dreams Burn Down” e “Vapour Trail” (dal capolavoro “Nowhere”) suonate con rinnovato sentimento e chitarre sferraglianti. Fino al bis psichedelico con “Seagull” con il pubblico che non può smettere di agitarsi.
Una stretta di mano con Andy Bell a concerto finito e un sincero ringraziamento suggellano una serata da ricordare, nel segno dell’imperituro “Culto della Chitarra Sognante”.