Nella Germania di fine anni 60, fucina di avanguardie culturali - dal cinema (Wenders, Herzog, Fassbinder) al rock (Can, Popol Vuh, Ash-Ra Temple, Tangerine Dream) - e pervasa dal clima di protesta sociale post '68, nasce il progetto Amon Düül (dal nome del dio egiziano del sole, Amon, e dal personaggio di un romanzo turco, Düül). Il nucleo originario della band si forma a Monaco, in una comune anarchico-freak di una dozzina di persone, parte del movimento internazionale contro la guerra, dove, tra amore libero e droghe psichedeliche, si organizzano sessioni di registrazione di free-rock.
Nella formazione si opera presto una scissione: da una parte gli Amon Düül I, con i fratelli Leopold (Peter e Ulrich) e Rainer Bauer; dall'altra gli Amon Düül II, con Chris Karrer, John Weinzierl, Falk Rogner e la cantante Renate Knaup-Krotenschwanz. I primi incidono per la Metronome, i secondi per la Liberty, con la supervisione del guru dell'indie-rock tedesco, Olaf Kubler.
Gli Amon Düül II prendono presto il sopravvento sui "cugini", sviluppandone le intuizioni in sonorità più complesse, in bilico tra avanguardia e primitivismo naif. La loro ricetta è una libera forma di psichedelia, nel segno di Jefferson Airplane, Grateful Dead e Pink Floyd, nella quale si mescolano rumorosamente sonorità acustiche, orientaleggianti ed elettroniche, oltre a un senso del gotico tipicamente teutonico. Un sound che confluisce nel loro album d'esordio "Phallus Dei".
Il disco, sorta di "opera rock" all'insegna di un ritualismo pagano, contiene quattro brani, più la lunga title-track finale di 20 minuti (la versione rimasterizzata su cd comprende anche i quattro "Freak Out Requiem" e "Cymbals In The End"). Quella degli Amon Düül II è musica sperimentale, fortemente impegnata a livello politico, legata com'è all'utopia “flower-power” imperante anche oltre Oceano. Si spazia dall'electric free-rock a libere digressioni acustiche, dal rock beat al folk più tribale: suoni che prefigurano il caos e l'energia condensati più tardi nella musica punk.
La magnifica ouverture di "Kanaan" introduce subito in un mondo arcano, pervaso da suoni mediorientali ed esoterici, con uno sfondo di cori lugubri a spalancare orizzonti da inferno dantesco. La magia di questa danza stregonesca nasce dalla combinazione dell'energia rock (i riff di basso, le scariche elettriche della chitarra) con l'esotismo di archi e sitar, dall'alternarsi del canto grottescamente "bowiano" di Lothar Meid e dei vocalizzi ipnotici di Renate Knaup. "Dem Guten, Schonen, Wahren" è un altro incubo psicanalitico: aperto addirittura da un mellotron, il brano sprofonda presto in un caos di urla luciferine, violini assassini, percussioni tribali ed effetti psichedelici; il bizzarro canto in falsetto di Meid sembra quasi seguire una via tutta sua, lontana dalle linee melodiche principali, mentre il testo, infantilmente onirico, lascia filtrare qualche raggio di speranza in tanto grandguignol.
Il psych-folk di "Luzifers Ghilom" non accenna ad attenuare la carica blasfema di queste sonorità allucinate e terrificanti, con continui cambi di tempo e un canto che, lasciato fluttuare in un mare di rumori e di percussioni (tra cui i bongo di Shrat), si fa sempre più straniato e folle, mentre i cori femminili acuiscono l'effetto straniante. I vocalizzi demoniaci della cantante proseguono in "Henriette Krotenschwanz", brano più breve che evoca la lunga notte dell'Inquisizione culminando in una corale marcia militare.
Il climax di questo sabbah infernale si raggiunge con la title track, una jam di oltre venti minuti che infila una sequenza di spettacolari trovate sonore. L'inizio è sommesso, ma presto sopravviene una sequela di droni e rumori cosmici, grida disperate e archi impazziti. Quindi, la band suona coralmente, sfoderando una serie di improvvisazioni sempre più sghembe e caotiche, con le percussioni a martellare sullo sfondo. Dopo un veloce assolo di violino, il brano assume definitivamente le sembianze d'una jam percussiva, accompagnata dai vocalizzi sempre più deliranti di Karrer. Il risultato è un'orgia da "nirvana acido" degna dei Velvet Underground. Gli strumenti suonano tutti scoordinati e dissonanti, primo tra tutti il violino (lo strumento del diavolo), che insieme a organo, cori e percussioni africane sembra condurre per mano l'ascoltatore in questo ideale viaggio nel girone dei dannati, alla ricerca degli aspetti più torbidi dell'animo umano.
Disco titanico, vulcano d'infinite risorse sonore, "Phallus Dei" può essere considerato a ragione la risposta tedesca all'acid-blues americano e al nascente progressive-rock britannico. Sarà seguito da altri due album-cardine del rock teutonico quali "Yeti" (1970) e "Dance Of The Lemmings" (1971).
26/10/2006